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«Sentirsi soli no, quello non passa mai»?

Un sentimento sempre più crescente, soprattutto tra i giovani. La solitudine ha un ruolo da protagonista nella musica italiana contemporanea. Da Golden Years e Calcutta, a Lucio Corsi e Liberato.

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Lo scorso venerdì 30 maggio è uscito per Columbia Records Fuori Menù, il nuovo album di Golden Years, nome d’arte del producer romano Pietro Paroletti, che sta già riscuotendo un discreto successo tra critica e pubblico. Un disco inaspettato, così come può esserlo una portata fuori dal menù principale. Qualcosa che si può conoscere soltanto attraverso l’attento ascolto dell’elenco, precisamente decantato dal cameriere di turno, di inedite prelibatezze che quel giorno, solo quel giorno, le chef ha riservato per i suoi commensali. Inaspettato, come scoprire che, nel Menù di Pietro Paroletti, ci siano voci mai sentite insieme prima d’ora: un Frah Quintale con nayt e prima stanza a destra; un Franco126 con i Dov’è Liana; una ARIETE con Lorenzza. Inaspettato, sì, anche come ascoltare la vivace voce di Calcutta che, su un motivetto allegro, quasi spensierato, ci tiene a ricordarti che, no, sentirsi soli, «quello non passa mai». Così ti ritrovi a passeggiare nelle strade della tua città, girovagare tra i vicoli del tuo paese, prendere il sole in spiaggia, canticchiando la tua solitudine o, quantomeno la percezione di essa, che resta lì, incollata, appicciata.

Finché passano emozioni, passano i gabbiani
Passano anche i soldi dei turisti americani
Ma sentirsi soli no, quello non passa mai
Ma tanto passano gli amori appena cominciati
Passano lamette sopra i polsi disperati
Ma sentirsi soli no, quello non passa ma
i

Un sentimento intrusivo, accentuato sempre più nell’epoca della grande interconnessione mediatica, in cui si lamenta, però, una solitudine costante. Il 9 gennaio 2020, anno in cui questo sentire si è aggravato notevolmente, Lucio Corsi pubblicava il suo singolo Freccia Bianca. Una canzone dedicata proprio a quel Freccia Bianca: il treno che percorre il litorale toscano e che portava il giovane cantautore dalla sua Grosseto alla cosmopolita Milano. L’esodo che mostrava a Lucio Corsi quanto questo senso di estraniamento possa farsi sentire, soprattutto «in una grande città». Lucio Corsi, poco prima che ci rinchiudessimo nelle nostre case per fronteggiare la pandemia di Covid-19, parlava della solitudine come lui sa fare, con toni fiabeschi e leggendari. Il Freccia Bianca diveniva quindi «una sorta di spirito di pellerossa che risale la penisola al galoppo e si porta via con sé le persone del luogo, entra nelle bocche delle montagne liguri e poi sparisce nella pianura padana e arriva a destinazione». La destinazione è la metropoli, fra le sue voci e i suoi frastuoni incessanti, che sanno bene amplificare il proprio senso di solitudine.

Sentirsi soli in una grande città
È più dura che nella mia terra
Ci sono troppe pareti, troppi muri
Dove sbattere la test
a

Secondo diverse ricerche degli ultimi anni, sono soprattutto i Millennials e la Generazione Z ad avvertire un senso di solitudine costante. Queste generazioni mostrerebbero, infatti, segni di estrema alienazione e disconnessione più di altre generazioni. Forse data dalla loro età “di mezzo”, di cambiamento, forse dai social. In ogni caso, il 30% delle persone tra i 23 e i 38 anni ha affermato di «sentirsi solo» spesso o sempre. Quel “sentirsi soli”, cantato con estrema naturalezza da Calcutta nell’album di Golden Years, sintetizzerebbe, dunque, in pochi versi, un comune e diffuso sentire dei suoi coetanei, dei suoi ascoltatori. Un sentimento che non ha fatto che acuirsi durante il lockdown. Proprio in quel periodo, il 23 aprile 2020, Venerus pubblicava, insieme a MACE, Canzone per un amico, come estratto dal suo primo album in studio Magica Musica (2021). Il brano, estremamente sensibile e soave, grazie alla voce di Venerus, si apre così:

Forse è normale
Sentirsi soli in un momento così
È dura pensare se guardi il soffitto
Per non guardar dentro te (Yeah, yeah)
Ma niente può cambiare
Se non vuoi cambiare tu

Canzone per un amico suona come una carezza e porta ad una riflessione personale: quanto, in quel sentirsi soli, si finisce per sguazzarci? La morbidezza della voce di Venerus, da una parte, funge da sé come un piccolo antidoto alla solitudine, dall’altra, pone il desolato ascoltatore di fronte alla sua resistenza ad un vero cambiamento.

È così che arriviamo al sentirsi soli fornito allo scoccare della mezzanotte del primo gennaio 2025 da quella che, oramai, è divenuta una delle maschere più famose di Napoli: Liberato. È con l’ultima traccia del suo terzo ed ultimo album, Liberato III, che l’ignoto cantautore e produttore partenopeo si rivolge direttamente ai suoi ascoltatori, esponendosi e parlando di sé come mai prima d’ora. O’ Diario è, infatti, una narrazione intimistica degli ultimi due anni dell’artista: dei suoi blocchi con la musica e la scrittura, delle sue sofferenze, emozioni e liberazioni. Un racconto personale che tratta di salute mentale e di ripresa, ma in pieno stile Liberato: con uno stretto dialetto napoletano e i richiami ai Daft Punk e al loro Giorgio By Moroder. Con questo brano, Liberato si rivolge anche alla grande fetta di adolescenti che vivono esperienze di ansia e depressione, trasformando ‘O Diario in un manifesto per un’intera generazione. Una testimonianza che risuona, quindi, ai più giovani, ma non solo, e che si conclude con un messaggio di conforto, ripetuto ben dieci volte:

Arricuordete sulo ‘e na cosa
Ca nun staje maje sulo tu

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Margherita Coletta

Classe 1998. Mezza etrusca, mezza romana. Le piace girovagare e fare incontri lungo la via. Appassionata cacciatrice di storie, raccontagliene una e sarà felice.

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