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Il Simbolismo a Palazzo Reale tra arte e letteratura

Promossa dal Comune di Milano-Cultura, la mostra è a cura di Fernando Mazzocca e Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet. Qual è il programma?

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Simbolismo
Carezze (L’Arte), Fernand Khnopff, 1896, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux Arts de Belgique

Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra è il titolo dell’esposizione in corso a Palazzo Reale a Milano fino al 5 giugno prossimo. Inaugurata lo scorso febbraio, la mostra si inserisce in un più ampio programma dedicato all’arte di fine Ottocento e inizio Novecento, di cui fa parte anche Alfons Mucha e le atmosfere art nouveauvisitabile fino al 20 marzo. Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale, 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e Arthemisia Group, la mostra è a cura di Fernando Mazzocca e Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet. Con 24 sale e 137 opere la mostra ha anche reso possibile il restauro e la manutenzione di alcuni importanti capolavori provenienti da vari musei italiani: dimostrazione di come gli eventi temporanei possano essere anche l’occasione per una partecipazione attiva alla conservazione del patrimonio artistico grazie ai finanziamenti che da esse ne derivano.

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Quando si parla di Simbolismo si pensa subito a Charles Baudelaire, vuoi per gli studi scolastici, vuoi per il fascino che da sempre esercita. Non a caso la mostra di Palazzo Reale comincia proprio con alcune fotografie d’epoca del poeta, a firma di Gaspard Felix Tournachon detto Nadar, e la poesia di Baudelaire nel suo capolavoro Les fleurs du mal è il filo conduttore dell’intera esposizione, dove i versi e le opere d’arte si intrecciano in un dialogo continuo che rende facilmente evidente la reciproca influenza tra le diverse forme artistiche nel periodo. Un momento, quello che segue la diffusione de I fiori del male, Bibbia del Simbolismo, che è da considerarsi una vera e propria rivoluzione tanto nell’ambito letterario quanto in quello artistico: una fuga dalla realtà e dalla storia, un’analisi critica alla modernità e alla sua espansione e insieme un passo fondamentale della modernità stessa.

Charles Baudelaire
Charles Baudelaire, Félix Nadar, 1855-1862, Parigi, Musée d’Orsay

Seguendo le linee fondamentali della ricerca poetica di Baudelaire, di Arthur Rimbaud e, in generale, degli autori e capolavori della letteratura simbolista e decadente, italiana ed europea, le sale mostrano al visitatore la resa pittorica, visiva, dei medesimi temi affrontati nella parola scritta: un’occasione decisamente interessante sia per chi conosce in modo approfondito le radici e le immagini della letteratura simbolista, sia per chi ne conosce solo la fama e il fascino intramontabile. Si comincia dal sogno, dalla rêverie, dall‘incubo come momento di rivelazione della verità ultima delle cose, scaturito dall’arrivo della notte ma anche dall’uso di droghe, oppiacei, assenzio e sostanze artificiali. Una ricerca di piacere e insieme di follia, che permetta all’uomo di allontanarsi quanto più possibile dalla propria condizione naturale, una condizione di spleen, per avvicinarsi alla dimensione dell’assoluto: «au fond de l’inconnu pour trouver du nouveau», «fino al fondo dell’ignoto per trovare qualcosa di nuovo», dice Charles Baudelaire nella poesia Le Voyage.

Simbolismo
Lucifero, Franz Von Stuck, 1891, Sofia, The National Gallery
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Il giorno sveglia la notte, Gaetano Previati, 1905, Trieste, Museo Civico Revoltella

È la volta poi dell’Eros, connesso con la Morte, Thanatos, in cui si inscrive la ricerca di amore sadico, violento, infernale, altro strumento di evasione dal reale. La donna è vista qui come portatrice di piacere sessuale vitale e insieme di morte, di decomposizione macabra e distruzione crudele. È la Cleopatra Morente di Giacomo Previati, sono le donne di Gabriele d’Annunzio. Alla dimensione infernale si connette l’opposizione dualistica tra Luce e Oscurità, tra figure angeliche e mostruosità. Giulio Aristide Sartorio la rappresenta attraverso la Parabola evangelica delle Vergini Folli e delle Vergini Savie, tanto cara anche a Rimbaud in Une Saison en enfer: salve coloro che hanno saputo conservare la luce della propria virtù per l’arrivo dello sposo, dannate quelle che l’hanno lasciata spegnere. Il tema della tenebra e del diabolico rimanda poi al mito di Lucifero, portatore di luce caduto nell’oscurità per volere di Dio, ma «Che cos’è la caduta? Se l’unità è diventata dualità, è Dio che è caduto; in altri termini la creazione non sarebbe forse la caduta di Dio?» si chiede Baudelaire ne Il mio cuore messo a nudo. In effetti, il grande Lucifero di Franz Von Stuck che fissa il visitatore della mostra con aria di rassegnata superiorità sembra proprio volergli ricordare che Lucifero è lui stesso, l’uomo. A queste riflessioni si affiancano quelle sullo scorrere del Tempo come alternarsi di alba e crepuscolo, momenti di passaggio tanto cari alla cultura simbolista. In alcune delle opere esposte è possibile notare la forte influenza che l’arte di questo periodo ebbe sulle successive Avanguardie: chiare per esempio le riprese che ne fece la pittura di Umberto Boccioni e dei Futuristi. Non mancano nemmeno i riferimenti alla musica con il motivo del Claire de Lune, famoso nella versione di Claude Debussy.

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Rapimento, da Un guanto, Opus VI, Max Klinger, 1881, Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio
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La leggenda di Orfeo, Luigi Bonazza, 1905, Rovereto, MART

Ampio spazio è dedicato al disegno e ai bozzetti preparatori. Interessante il ciclo Pornokrates di Félicien Rops, rappresentante una donna nuda con dettagli alla moda trascinata da un maiale al guinzaglio su un fregio che raffigura le arti: simbolo della società moderna, schiava della lussuria che ottenebra la creatività e il pensiero. Altrettanto degna di nota la serie di dieci disegni a penna di Max Klinger, tratti dal ciclo Un guanto, che raccontano una storia d’amore tormentato e non corrisposto attraverso il dettaglio raffinato e borghese del guanto perso dalla donna amata: dal guanto-feticcio di desideri e sogni ambigui fino al guanto sgualcito per le pene d’amore sofferte, con Cupido che abbandona le armi. Immagini che richiamano il gusto simbolista per il dettaglio raffinato e modaiolo, che si fa simbolo di altro e diventa anche pretesto di numerosi componimenti poetici come Autre éventail di Stephane Mallarmé.

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Il ciclo ha peraltro ispirato la canzone omonima del cantautore Francesco De Gregori.

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Importanti poi le sale dedicate a Odilon Redon, che con i suoi disegni a carboncino e inchiostro raffigura la dimensione dell’inconscio, del primordiale, il visibile che si mette a servizio dell’invisibile, il bizzarro: una fabbrica iconografica che trae ispirazione sia dalle ricerche di Sigmund Freud

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e sia da quelle di Charles Darwin, che ebbero un notevole influsso sull’arte simbolista.

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Sempre di disegni si tratta anche per le opere a inchiostro di china di Alberto Martini, che affronta il mondo dell’occulto e dell’esoterismo, altro tema caro ai Simbolisti, attraverso alcune illustrazioni dedicate ai racconti dell’orrore di Edgar Allan Poe, notoriamente legato alla figura di Baudelaire.

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Corteo delle Principesse, dal ciclo Le mille e una notte, Vittorio Zecchin, 1914, Venezia, Fondazione Musei Civici

Non mancano poi i riferimenti all’importanza assunta dalla mitologia nella letteratura e nella pittura simbolista, così come nella musica: l’omaggio a Richard Wagner e alla sua considerazione sulla «comunità armonica di tutte le arti», intesa come possibilità di far convergere in un’unica grande opera tutte le forme della creatività umana, lo dimostrano. Il mito è sia fuga dal reale sia modello ideale di valori a cui attingere. Due immagini molto care all’arte simbolista sono quelle di Orfeo e Medusa, accomunate dalla decapitazione, l’uno delle Baccanti l’altra di Perseo. I due soggetti si rivelano metafora della caducità delle passioni terrene, suggestione per la coscienza dell’osservatore. Ma negli occhi di Orfeo decapitato c’è anche quella «sregolatezza dei sensi» che è condizione imprescindibile per l’artista, il «poeta veggente» di Rimbaud. Evidente è la forte influenza della produzione di Gustav Klimt e dei Secessionisti di Vienna, come nel caso di La leggenda di Orfeo di Luigi Bonazza.

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Argomento delle opere in mostra è anche il tema della Natura come luogo delle Corrispondenze, titolo del famoso sonetto di Baudelaire, luogo dell’armonia universale, delle rivelazioni dell’Assoluto, in base a una concezione panteistica tipica del secondo ‘800. A questo si affianca la figura femminile, rappresentata sia come donna-angelo, simbolo di maternità e fertilità, sia come femme fatale, sfinge demoniaca, la Bellezza che annienta l’uomo, come nell’opera icona della mostra: Carezze (l’Arte) di Fernand Khnopff.

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Il mare giallo, Camaret, Georges Lacombe, 1892, Brest, Musée des Beaux-Arts

A conclusione dell’esposizione alcune opere che dimostrano il forte interesse dei Simbolisti per la componente esotica e orientaleggiante, nonché per il preziosismo e il decorativismo. Di notevole effetto scenico la sala interamente dedicata all’enorme Poema della vita umana di Giulio Aristide Sartorio, con i suoi 500 x 600 cm circa. All’interno della mostra, infine, anche una piccola parentesi dedicata all’arte dei cosiddetti Nabis, la cui pittura sceglie colori puri e piatti, diventa spirituale e si fa tramite per svelare i significati nascosti del reale.

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Alessia Carsana

Sono nata ad agosto nel 1992. Vivo tra le montagne in provincia di Lecco, ma scappo spesso in città. Ho studiato Lettere Moderne all'Università Statale di Milano e mi incuriosisce la Linguistica. Cerco di scrivere, di leggere e di vedere quante più cose possibili. Cerco storie. Amo i racconti, la scultura, la poesia, la fotografia. Mi piacciono i dettagli, le simmetrie, i momenti di passaggio.

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