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La solennità dell’io lirico in “La più amata” di Teresa Ciabatti

4 minuti di lettura

Candidato al LXXI Premio Strega, La più amata, edito da Mondadori, è la storia di Teresa Ciabatti, autrice e insieme protagonista del romanzo. Una quarantaquattrenne che cerca di spiegarsi perché a metà della sua esistenza si senta così fragile e incompiuta, tornando con la mente alla sua infanzia e ripercorrendo le tappe fondamentali della sua vita.

Con una penna che sembra riprendere i tratti di quella che Svevo utilizza nella Coscienza di Zeno, Teresa Ciabatti descrive una intricata vicenda familiare tutta filtrata attraverso il suo personalissimo punto di vista. Ecco che la storie del padre, Lorenzo Ciabatti detto il Professore, e della madre, Francesca Fabiani vengono narrate come se la protagonista ne fosse stata da sempre testimone, riducendo la vita dei genitori a un’esistenza schiacciata dalla solennità dell’io lirico.

Un io lirico bugiardo, megalomane, a tratti schizofrenico. Un io lirico che inganna il lettore, cerca di depistarlo per portarlo il più lontano possibile dalla verità. Un io lirico che racconta in maniera frettolosa e vaga episodi cardine della vita familiare, fondamentali per risalire alla verità dei fatti narrati, mentre descrive, lungo intere pagine, episodi irrilevanti e poco costruttivi per l’economia complessiva del romanzo. Un io lirico che subisce dei forti traumi nel periodo infantile e preadolescenziale. Un padre silenzioso, despota e freddo. Una madre silenziosa, insicura e depressa. Un fratello silenzioso, obbediente e solitario. Domina il silenzio all’interno della famiglia Ciabatti. Ecco che Teresa lo riempie in 218 pagine di racconto senza lasciare tregua al lettore.

Un io lirico, quello di Teresa Ciabatti, che, pagina dopo pagina, sa farsi conoscere e capire dal lettore, il quale inizierà a barcamenarsi tra le tante parole false e quelle poche reali. Eppure chi legge finirà sempre per parteggiare per lei, per la piccola e indifesa Teresa schiacciata dal peso di un padre complesso e misterioso e di una madre fragile e assente. Teresa scrive, descrive, poi cancella, riscrive e inventa una vita trascorsa all’interno di quella società alto borghese anni novanta che sembra annoiarsi e quasi svuotarsi dietro alle ricchezze più sfrenate. L’intero racconto è un puzzle di ricordi. E ogni ricordo ritorna nel corso del romanzo in una maniera rivisitata rispetto alla precedente. Grazie all’aggiunta di particolari che di volta in volta riempiono i buchi della memoria, il lettore sarà in grado di ricostruire l’intricata vicenda della famiglia di Teresa Ciabatti. La narrazione è agile, a tratti nervosa tanto da rispecchiare il linguaggio parlato da un’adolescente del centro Italia che, con modi di dire, parolacce e svariati intercalari, dà vita ad una personale forma di routine per punteggiare il discorso stesso. Ciabatti crea delle descrizioni che corrono veloci di pagina in pagina, spingendo chi legge a cercare all’interno del capitolo successivo un qualche dettaglio omesso nel capitolo precedente. Intrighi, soldi, potere, tradimenti, colpi di stato, politica, mafia, pistole, pellicce, massoneria, possedimenti, rapimenti, morti. Riuscirà Teresa a scoprire il segreto che si nasconde dentro la sua famiglia? Attenzione: anche nel finale l’io lirico gioca uno scherzo al lettore.

Floriana Ciccaglioni 

 

 

Redazione

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