In occasione del 25 novembre, anche quest’anno in numerose piazze, cortei di persone si sono radunati per denunciare a gran voce la violenza di genere. In una società sempre più consapevole di come e quanto il patriarcato sia ancora radicato nella vita quotidiana, sradicare il fenomeno della disparità e della violenza contro le donne è una sfida ancora complessa.
Questa giornata si accompagna spesso non solo al silenzio per le ancora troppe numerose vittime, ma serve come promemoria per ricordarci quanta strada ci sia ancora da fare. Quante donne che si sono impegnate in questa lotta per affermare non solo il rispetto, l’indipendenza economica, il riconoscimento professionale e intellettuale, la libertà di scelta e di disporre del proprio corpo, ma anche del diritto fondamentale di ogni essere vivente: la vita. In questa lotta si impegnarono anche le tre sorelle Mirabal nella Repubblica Domenicana degli anni Sessanta. Patria, Maria e Antonia furono tre attiviste politiche dominicane che si opposero alla dittatura di Rafael Leónidas Trujillo, il brutale regime che governò la Repubblica Dominicana dal 1930 al 1961 e che persero la vita proprio il 25 novembre 1960.
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Le tre sorelle Mirabal
La famiglia Mirabal viveva a Ojo de Agua, un piccolo borgo rurale nella provincia di Salcedo, nel nord della Repubblica Domenicana, in una famiglia benestante e liberale. La prima figlia, Patria Mercedes, nacque nel 1924, due anni dopo Maria Argentina Minerva, e nel 1936 Antonia Marìa Teresa. la quarta sorella, Bélgica Adela, nata nel 1925 invece non si dedicò mai all’attività politica come le sorelle. Le sorelle Mirabal vennero incoraggiate fin dall’infanzia a studiare e poterono frequentare l’università. Non solo, in un Paese che ormai era diventato una dittatura, abbracciarono la lotta contro il regime che si era instaurato.
La dittatura di el jefe Trujillo
La giovinezza delle sorelle Mirabal venne vissuta in un clima di forte tensione politica, infatti la Repubblica Domenicana in quegli anni si stava trasformando in un regime dittatoriale, sotto la guida del politico e generale Rafael Leónidas Trujillo Molina. Rafael Trujillo nel 1930 prese il potere e si autoproclamò Generalísimo y Benefactor del Pueblo, generalissimo e benefattore del popolo, instaurando un regime dittatoriale. Dominò come un padrone assoluto la scena politica ed economica della Repubblica Dominicana per quasi trent’anni.
La sua dittatura era improntata sull’anticomunismo, sul culto della propria personalità, vessatorio nei confronti dell’opposizione, razzista nei confronti degli haitiani. Il suo regime è considerato come uno dei più sanguinosi tra quelli latini, contando circa 50.000 vittime. Impose pesanti limitazioni alla libertà di parola e di stampa, perpetuò una violazione sistematica dei diritti umani attraverso l’incarcerazione arbitraria, le minacce e l’eliminazione degli oppositori e dissidenti. Il suo controllo non fu solo politico, ma anche economico: la maggior parte della popolazione viveva in condizione di miseria, mentre una cerchia ristretta di sostenitori di Rafael Trujillo si arricchì a dismisura, controllando l’economia del paese.
In linea con idee e azioni improntate sulla violenza e sulla forza bruta, anche la sottomissione della donna era un elemento chiave nel suo regime. Tra le varie forme di sopraffazione del genere femminile c’era anche la pratica di invitare le famiglie più benestanti a balli e feste: queste occasioni diventavano il momento per avvicinare le ragazze e poter abusare di loro impunemente. Fu proprio in una di queste occasioni che Minerva Mirabal, la secondogenita, attirò le attenzioni del dittatore.
La coscienza politica delle sorelle Mirabal
Nel 1949, durante la ricorrenza di San Cristobal, la famiglia Mirabal come tante altre venne invitata a una festa organizzata da Trujillo stesso per l’alta società di Salcedo. In quell’occasione, Minerva sfidò apertamente il generale, rifiutando le avancé dell’uomo. Il “no” di Minerva, portato avanti con coraggio, in breve tempo attirò la vendetta del generale e la famiglia finì per entrare nel mirino dei soprusi.
Tra le altre difficoltà che dovette affrontare la famiglia Mirabal, come molte altre nel paese, fu quella di perdere quasi totalmente i propri beni, prima nazionalizzati, poi incamerati direttamente dal dittatore tra le ricchezze private. Questi beni venivano utilizzati per finanziare l’ambizioso processo di industrializzazione e rinnovamento economico dello stato, ma finivano per arricchire solo una cerchia ristretta di imprenditori vicini a Rafael Trujillo.
Non solo la famiglia conobbe la povertà, ma anche il carcere. Prima vennero imprigionati i genitori, poi la stessa Minerva la quale in seguito venne liberata. Nonostante le dure condizioni alla quale venne sottoposta, la sua idea di partecipare alla lotta contro il regime non venne mai meno. Il suo impegno politico non venne nemmeno messo a dura prova quando il regime ostacolò con ogni mezzo il suo obiettivo di ottenere una laurea in giurisprudenza. Minerva riuscì a laurearsi nel 1957, ma non poté mai praticare la professione.
La vita privata e il Movimento del 14 giugno
Nel frattempo anche María Teresa Mirabal, che aveva intrapreso la facoltà di architettura e ingegneria, riuscì a laurearsi e ottenere il titolo di agronomo. Nel 1958 si sposò con l’ingegnere Leandro Guzmán e nel 1959 ebbe con lui una figlia, Jacqueline. La maggiore delle sorelle, Patria Mirabal contrasse matrimonio nel 1942 con un proprietario terriero, Pedro González Cruz, e dall’unione nacquero quattro figli. Patria, Minerva e María Teresa furono sempre mosse da un forte spirito politico e condivisero l’impegno per porre fine alla dittatura trujillista.
Le tre sorelle Mirabal divennero un problema per il regime a partire dal 1960, quando entrarono a far parte del Movimento del 14 Giugno. Questo movimento si diffuse velocemente in tutto il paese e finiva per abbracciare fasce della popolazione e il clero locale, il quale si opponeva alle politiche del generale. Il Movimento prendeva il nome dall’evento che era accaduto l’anno precedente: in quel giorno era infatti fallito un tentativo armato di insurrezione contro Rafael Trujillo.
Questo gruppo politico clandestino si espanse in tutta la Repubblica Domenicana ed era strutturato in nuclei di combattenti contro la dittatura. Insieme ai rispettivi mariti, anche Patria, Minerva e María Teresa entrarono a far parte del movimento e si diedero il nome in codice di battaglia: Las mariposas, le farfalle. Nonostante tutte le accortezze, il Movimento venne scoperto dalla polizia segreta nel 1960 e i suoi membri vennero perseguitati e incarcerati. Tra le persone scoperte e messe in carcere ci furono anche le tre sorelle Mirabal e i mariti.
La scarcerazione e l’attentato
Le sorelle Mirabal e i mariti vennero incarcerati con l’accusa di attentare contro la sicurezza dello stato. Il clima nella Repubblica Domenicana era sempre più teso: il regime non godeva più del sopporto della maggior parte della popolazione, ma anche tra le file dell’esercito stava cominciando a crescere il malcontento. Inoltre il supporto internazionale si stava sgretolando intorno alla Repubblica Domenicana.
Per scongiurare un’ondata di proteste contro i metodi antidemocratici del regime, molti dei prigionieri che erano stati condannati ai lavori forzati vennero rilasciati. Tra questi c’erano Patria, Minerva e María Teresa Mirabal, ma non i loro mariti che restarono in carcere. Le tre Mariposas erano tre figure scomode da monitorare e per questo il SIM, il Servico de Inteligencia Militar di Rafael Trujillo, escogitò un piano per risolvere il problema definitivamente.
Il 25 novembre 1960, mentre si dirigevano in visita ai mariti nel carcere della città di Puerto Plata, le sorelle Mirabal, accompagnate dall’autista Rufino de la Cruz, vennero colpiti da un attacco. L’auto sulla quale viaggiavano le tre sorelle e l’autista venne intercettata e i passeggeri vennero costretti a scendere dal veicolo. Furono poi condotti in un casolare abbandonato, in una piantagione di canna da zucchero, e lì vennero uccisi a bastonate. I loro corpi vennero poi portati di nuovo nel veicolo, che venne fatto precipitare da un dirupo per simulare un incidente.
Il regime pensava di essersi liberato delle sorelle Mirabal, ma nessuno credette alla versione ufficiale. Anzi, fu proprio questo atto brutale a segnare l’inizio del tramonto della dittatura trujilliana: il governo in breve tempo non riuscì a far fronte alle violente proteste e perse il sostegno. Nonostante la censura, l’opinione pubblica fu scossa dal violento attentato alle sorelle Mirabal, portando a un risveglio violento della coscienza popolare. Questo terremoto culminò con l’assassinio di Rafael Leonidas Trujillo Molina nel 1961.
Las Mariposas: un simbolo di resistenza contro la violenza
Le sorelle Mirabal, Las Mariposas, divennero, non solo nel loro paese, ma anche a livello internazionale, un simbolo della resistenza, del coraggio e dell’attivismo politico femminile. Il frutto del loro impegno fu raccolto già nel 1962, quando nella Repubblica Domenicana si svolsero le prime elezioni libere.
Nel 1999 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì il 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne in ricordo del sacrificio e dell’impegno politico de Las Mariposas. Le sorelle Mirabal sono ricordate come martiri della libertà e della giustizia. La loro storia continua a ispirare le lotte per i diritti umani e l’uguaglianza di genere in tutto il mondo, con la speranza che arrivi un giorno in cui l’obiettivo sia raggiunto e nessuna donna debba più pagare con la vita o subire violenza di alcun genere.
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Fonti:
- Focus storia – 25 Novembre: perché si celebra oggi la giornata contro la violenza sulle donne?
- L. Farinato, Squarci: Le sorelle Mirabal e la lotta alla violenza di genere (podcast)
- J. Alvarez, Il tempo delle farfalle, Giunti