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Distopie del presente nel cinema di Piotr Szulkin

5 minuti di lettura

Stando alla Treccani, per “distopia” s’intende una «[p]revisione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi». La distopia, dunque, si configura in letteratura e nel cinema come un’elaborazione fantasiosa di una degenerazione nel futuro di istanze già presenti in società. Opere come 1984 di George Orwell, Il mondo nuovo di Aldous Huxley sono esempi talmente lampanti ed evidenti che quasi superfluo citarli. Il cinema di Piotr Szulkin, d’altra parte, sembra lavorare su istanze e modalità sostanzialmente differenti.

Piotr Szulkin, cineasta visionario e politico

Piotr Szulkin

Cineasta audace, visionario e controverso, Piotr Szulkin ha rappresentato una pietra miliare del cinema polacco, di genere e non solo. Nato nel 1950 – a ridosso della nascita della televisione polacca – Szulkin si è laureato presso l’Accademia di Belle Arti di Varsavia nel 1970. Successivamente, ha frequentato la Scuola di cinema di Łódź, la più prestigiosa del Paese. Ed è proprio qui che inizia a lavorare ad alcuni di cortometraggi fantascientifici, genere allora molto popolare in Polonia.

Questo interesse per la fantascienza distopica troverà uno sbocco evidente nella sua Tetralogia dell’apocalisse1. Di essa fanno parte i suoi primi quattro lungometraggi: Golem (1979), La guerra dei mondi (1981), O-bi O-ba: la fine della civiltà (1984) e Ga-Ga: Glory to the heroes (1985). Questa tetralogia, in realtà non struttarata e ufficiale, costruisce quattro mondi distopici collocati in futuri indefiniti, uniti da temi e da un immaginario strutturalmente definiti.

L’elemento di maggiore interesse dei quattro film, tuttavia, è l’impiego del genere fantascientifico come strumento di critica verso la società polacca degli anni Ottanta. All’epoca, infatti, la Repubblica Popolare di Polonia era sottoposta all’influenza dell’Unione Sovietica, pur non facendone parte formalmente: governata dai comunisti, la Polonia viveva in condizioni di forte indigenza. A livello mediatico dominava una forte censura che impediva ai cineasti e agli artisti in generale di denunciare apertamente le condizioni di indigenza in cui gran parte del paese si trovava a vivere.

Ga-Ga: Glory to the heroes (Piotr Szulkin, 1985)

Proprio a partire da questa limitazione, Piotr Szulkin sviluppa un suo linguaggio e un suo immaginario che gli permettesse di parlare dei temi cari aggirando – o almeno provandoci – la censura. Riferendosi a un’idea sociale del cinema come strumento di denuncia del presente, le sue opere risultano delle vere e proprie “distopie del presente“. Szulkin, infatti, non immagina tanto un futuro possibile, quanto piuttosto rielabora in una cornice fantastica la realtà polacca del suo tempo. È proprio per questo che Szulkin, infatti, non si è mai dichiarato un cineasta di genere:

I have never considered myself a director of science fiction films. My films are socio-psychological, perhaps even social. There is always an opportunity to make a valuable film in any genre, of course, but today, when it is all about selling products, that is so rare. I do not make sci-fi, but rather borrow from its aesthetic.2

I non-luoghi della Trilogia dell’apocalisse

Le quattro pellicole di Piotr Szulkin sviluppano temi differenti tra loro all’interno di mondi e narrazioni indipendenti l’una dalle altre. Ciononostante, l’immaginario imbastito dal regista polacco si ripresenta in maniera ciclica e costante all’interno delle diverse opere.

Le distopie di Szulkin sono ambientate in un futuro spesso indefinito, lontano ma non troppo – sempre e comunque a ridosso del XXI secolo. Anche gli spazi in cui i personaggi si muovono son spesso indefiniti, o comunque lontani. L’Australia-458 di Ga-Ga, l’edificio di O-bi O-ba, ma anche la stessa Polonia futuristica del Golem e de La guerra dei mondi sono dei non-luoghi. Gli ambienti raccontati sono infatti sospesi tra suggestioni legate al panorama urbano polacco ed elementi cyberpunk fatti di luci al neon e ambienti claustrofobici. Tale continua sospensione spazio-temporale non solo ha permesso di aggirare i limiti della censura, ma permette anche agli spettatori odierni di riflettere sulla nostra società.

La dimensione sospesa che Szulkin è riuscito ad ottenere, infatti, permette anche una lettura meno storicamente e politicamente definita e più di carattere universale. I non-luoghi in cui si muovono i personaggi, infatti, son dominati da degrado, sporcizia e povertà. In questi spazi, resi ancora più liminali da un numero sempre limitato di persone messe in scena, i personaggi si muovono confusi e impauriti. Questa dimensione di ambienti sospesi rende perfettamente l’idea di luoghi altri, lontani – almeno in teoria – dalla realtà manifesta. Una sorta di specchietto per le allodole, dunque, che universalizza i propri temi e nasconde dalla censura le vere intenzioni di Szulkin.

Golem (Piotr Szulkin, 1979)

Burocrati e servi del potere

Al centro della Trilogia dell’Apocalisse, vi son sempre piccoli uomini che hanno a che vedere col potere. Personaggi che non sono esterni alla macchina del consenso sulla quale però non hanno un vero potere decisionale sono al centro di queste pellicole. Un “androide”, fatto a immagine e somiglianza di un detenuto nelle prigioni polacche. Il conduttore televisivo e giornalista indipendente che si trova costretto a divulgare falsità e propaganda sull’invasione marziana in corso. Un pastore che diffonde il culto per l’Arca, ultima speranza per gli ultimi superstiti di una guerra nucleare, pur cosciente del fatto che non esista. Un condannato a morte che viene mandato in missione spaziale in un pianeta in cui verrà impalato.

Tutti questi personaggi al centro delle opere di Szulkin, invischiati più o meno volontariamente con i meccanismi e gli ingranaggi del potere, si ritrovano loro malgrado a farne le veci e, al tempo stesso, a subirne le conseguenze e le oppressioni. Le loro azioni rimangono limitate, la loro agentività è ridotta proprio in virtù di un sistema più grande che annichilisce qualsiasi tentativo di azione contro esso stesso.

Il potere di cui questi personaggi fanno le veci è costituito, all’interno delle opere di Szulkin, da personaggi assenti. Come per il Grande Fratello orwelliano, i potenti sono esclusi dalla narrazione pur aleggiandovi al suo interno in maniera costante. La loro manifestazione passa attraverso figure piccole come i protagonisti dei film, pienamente succubi e consapevoli del sistema di cui fanno parte – personaggi come quelli di Jerzy Stuhr3 in La guerra dei mondi e di Ga-ga, vale a dire figure vicarili, che non mascherano la loro aderenza al sistema.

La guerra dei mondi (Piotr Szulkin, 1981)

I media e le fake news secondo Szulkin

I film della Tetralogia dell’apocalisse sviluppano tutti delle tematiche differenti – dalla bioetica al consenso, fino all’uso strumentale della religione da parte del potere. Se c’è tuttavia un elemento tematico ricorrente in tutte e quattro le pellicole, tuttavia, questo è la pervasività dei media e la distorsione delle informazioni da esse veicolate. I non-luoghi raccontati dal regista pullulano, infatti, di schermi televisivi che moltiplicano e diffondono immagini. Tali immagini, tuttavia, ritraggono o raccontano verità distorte, manipolate dall’alto. La scena del Golem in cui il regista televisivo lamenta di avere un pubblico, proiettato sullo schermo, sbagliato, con cui è impossibile lavorare è esemplificativa in questo senso. Diventano, insomma, un ottimo strumento di manipolazione delle masse.

La messinscena di tale processo era sentita da parte di Szulkin, visto che è stato tra i primi a nascere in un’era di informazioni dilaganti seppur errate. Egli stesso, infatti, ha sempre percepito la televisione come una “failed utopia4, un luogo virtuale con potenzialità infinte ma che è stato ridotto a mero strumento di divulgazione propagandistica. Questa visione critica dei media nella società5 è la spia maggiore proprio del lavoro di rimediazione e rielaborazione della realtà vissuta dal suo autore.

Se da un lato, questa visione di “distopia del presente”, di forte critica al sistema mascherata da opera di genere e di immaginazione, è più facilmente leggibile e intuibile adesso, dall’altro lato la dimensione sospesa delle opere di Piotr Szulkin rende queste opere ancor’oggi fruibili e, soprattutto, in grado di farci riflettere sul nostro rapporto con la politica, la religione, il potere e i media. Elementi e temi che, nella nostra contemporaneità, sono senz’altro ancora estremamente caldi e centrali.

Per quanto non possiamo dire che Piotr Szulkin con le sue “distopie del presente” abbia effettivamente predetto il nostro presente, il suo cinema ci permette comunque di riflettere su di esso.

Illustrazione di Lucia Amaddeo

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  1. L’intera tetralogia è disponibile nel nostro paese su Mubi, grazie ad una collaborazione tra il servizio di streaming e il Polish Cultural Institute New York. ↩︎
  2. Ela Bittencourt, “Interview: Piotr Szulkin,” Film Comment, giugno 2015, https://www.filmcomment.com/blog/interview-piotr-szulkin/. ↩︎
  3. Ritratto nella copertina di questo articolo, è tra i più noti e amati attori polacchi della storia del cinema. Ha collaborato più volte, oltre che con Szulkin, con Krzysztof Kieślowski (Tre colori – Film Bianco, Destino cieco – Il caso, Decalogo X), Andrzej Żuławski (La terza parte della notte) e Nanni Moretti (Il caimano, Habemus Papam, Il sol dell’avvenire) ↩︎
  4. Ela Bittencourt, “Interview: Piotr Szulkin,” Film Comment, giugno 2015 ↩︎
  5. Tale critica ai media, tuttavia, non investe il cinema, come ben evidente in Golem: la sequenza in cui il protagonista entra in un cinema che ha una funzione spirituale, simile a quello di una chiesa, attesta la visione trascendentale che Szulkin ha del cinema. ↩︎

Carlo Pisani

Classe 2001, cinefilo a tempo pieno. Se si aprissero le persone, ci troveremmo dei paesaggi; se si aprisse lui, ci troveremmo un cinema. Ogni febbraio vorrebbe trasferirsi a Berlino, ogni maggio a Cannes, ogni settembre a Venezia; il resto dell'anno lo passa tra un film di Akerman, uno di Campion e uno di Wiseman.

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