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Un “Weekend” di successo: lo stop della CEI non basta a fermare il film di Haigh

L'ostracismo della chiesa nei confronti del film di Haigh non fa che aumentare il successo di un film tenero ma non indimenticabile che lascia troppe cose irrisolte e uno spazio troppo ampio alla droga.

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10 minuti di lettura

Se si dicesse “non pensate a un elefante”, quale sarebbe il vostro primo pensiero? Un elefante, naturalmente. Funziona esattamente allo stesso modo con la proibizione: vietare di fare qualcosa o, in questo caso, di guardare un film è un metodo sicuro per ottenere l’effetto contrario. Qualcuno dovrebbe prendersi la briga di spiegarlo alla CEI.

Probabilmente è proprio grazie alla disapprovazione da parte del Vaticano e alla risonanza mediatica che questo giudizio ha avuto che Weekend, il film del 2011 scritto e diretto da Andrew Haigh, ha avuto nei suoi primi tre giorni di distribuzione un successo clamoroso, ottenendo un incasso di quasi 57mila euro. E questo pur essendo distribuito soltanto in dieci sale in tutta Italia.

Il motivo per cui Weekend è stato snobbato da un numero incredibilmente alto di sale è, come si diceva, l’occhiataccia del Vaticano. La Commissione Nazionale Valutazione Film della Conferenza Episcopale Italiana, che si occupa di esprimere un giudizio sulle pellicole approdate nel nostro Paese e suggerire eventuali linee guida per una corretta visione, lo ha definito «sconsigliato/non utilizzabile/scabroso« per via delle sue tematiche principali: «droga, omosessualità». Il risultato è che il film non può essere proiettato nei cinema d’essai, quelli con cui le piccole case di distribuzione si trovano a lavorare, perché molti di questi – ben 1126 – sono ospitati in spazi appartenenti alla Chiesa. E non si tratta soltanto di piccole sale parrocchiali, ma anche del cosiddetto “circuito d’eccellenza”, gestito da laici ma vincolato in qualche modo alle disposizioni della CEI. Non è una vera e propria censura, ma sicuramente ci si avvicina molto.

Di certo questo episodio porta a galla molti interrogativi. È possibile che i gestori di sale cinematografiche non possano sentirsi completamente liberi di proiettare i film che più ritengono opportuni? Che l’affitto di una sala includa come condizione necessaria una limitazione della libertà d’espressione? A quanto pare, sì. Ma se è vero che la CEI ha dimostrato il suo disprezzo per il film, è anche vero che non è scattato nessun divieto formale alla sua proiezione; già in passato pellicole che affrontano tematiche, per così dire, delicate sono state proiettate, affiancate da un dibattito, dietro insistenza degli interessati. La Commissione, dunque, possiede una certa flessibilità; semplicemente è mancato qualcuno che la chiedesse.

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Forse è una coincidenza che a Weekend sia stata sbattuta la porta in faccia proprio a poche settimane di distanza dall’estenuante dibattito sulle unioni civili, in cui parole come adozione, utero in affitto, famiglia tradizionale, famiglia arcobaleno sono state pronunciate con speranza e con disgusto, urlate da persone con intenti completamente opposti, ripetute fino a farci dimenticare il loro vero significato. O forse è proprio questo il problema: il fatto che, dopo mesi di scontri, dibattiti, rinvii e canguri vari, questa storia dei gay un po’ ci ha stancato. Perché tirare fuori proprio ora un film su una coppia omosessuale? Perché andare a chiedere alla Chiesa se, per favore, può tollerare la proiezione di una storia d’amore tra due uomini? Lasciamo stare, cambiamo argomento.

In tutto questo la cosa più incredibile è che Weekend di scabroso non ha proprio niente; è “solo” una storia d’amore che, diciamolo francamente, se avesse riguardato due eterosessuali anziché due omosessuali sarebbe sembrata abbastanza insignificante perfino alla CEI. Lo scopo di Andrew Haigh, regista anche del più recente 45 anni, è proprio la normalità di un amore che cresce a poco a poco, nello spazio di tre giorni.

I due protagonisti, Russell (Tom Cullen) e Glen (Chris New), si incontrano una sera in un locale gay e finiscono a letto. Doveva essere solo l’incontro di una notte, ma l’attrazione è troppo forte. E si rivedono ancora e ancora. C’è il sesso, certamente, ma c’è anche un dialogo, aperto e sincero, su ciò che vogliono dalla vita. E mentre loro cercano di capirsi e accettarsi, anche noi impariamo a conoscerli e a sentire affinità con le loro paure. Entrambi, in modo diverso, non si sentono a loro agio con il mondo che li circonda e, in parte, nemmeno con se stessi: in pratica, cercano disperatamente il loro posto nel mondo e qualcuno con cui condividerlo.

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La tematica dominante di questo film non è il sesso e neppure la droga: è il sentimento. Un sentimento davvero tenerissimo, una storia d’amore che si sviluppa attraverso piccoli gesti che non possono che far sorridere: una tazza di caffè offerta di prima mattina, una carezza sui capelli, SMS scritti e cancellati decine di volte, il voltarsi indietro per un ultimo sguardo dopo essersi appena salutati. E contemporaneamente un sentimento pieno di dubbi, gli stessi che può avere una qualsiasi coppia che muove i suoi primi passi. Qualcosa, insomma, di assolutamente normale, quasi banale, verrebbe da dire.

Una normalità espressa anche dalla tecnica scelta dal regista per girare le scene: la telecamera è spesso in movimento e le inquadrature vengono quasi “rubate”, spiate attraverso una rete metallica o la folla dei mezzi pubblici, in modo da farci sentire quasi degli intrusi in un momento di intimità. È dato un grande rilievo al silenzio, grazie al quale anche i piccoli gesti acquistano pienezza, e i dialoghi, quando presenti, sono spesso sussurrati, sepolti dai rumori di fondo, tanto che talvolta si fatica a capire cosa i due protagonisti stiano dicendo. Di sesso, lo ripetiamo, ce n’è veramente poco: una sola scena si può definire veramente spinta, ma anche qui la telecamera indugia piuttosto sulle mani, sui baci, sulle schiene nude; decisamente più scabroso il linguaggio, che risulta a tratti decisamente troppo duro.

Da Weekend ci si poteva aspettare, più che un maggior numero di scene hot, una più profonda introspezione psicologica. In fondo, dopo aver seguito i due protagonisti per i tre giorni in cui si innamorano, su di loro rimangono ancora molti interrogativi: perché Glen non vuole una storia seria? Che cosa è successo con il suo precedente partner? Che cosa blocca Russell, che pure afferma di aver fatto coming out con i suoi amici e di non avere problemi nell’ammettere la propria sessualità? Nonostante i lunghi e complessi dialoghi, Russ e Glen conservano delle zone d’ombra. Forse il regista poteva dedicare qualche scena in più a questo e qualche scena in meno alla droga, che nell’economia del film è abbastanza immotivata. Eppure tutto può trovare una spiegazione nel finale del film, che lascia aperti nuovi sviluppi, nuove possibilità per i due protagonisti.

Weekend è, in definitiva, un film decisamente tenero, che non meritava un ostracismo così forte, neppure da parte della Chiesa. Per questo la Teodora Film che lo distribuisce ha invitato le persone ad andarlo a vedere nei primi giorni dalla sua uscita, in modo da incoraggiare una più ampia distribuzione. A quanto pare, molti hanno raccolto l’appello: ad oggi le sale in cui il film viene proiettato sono più che raddoppiate rispetto all’inizio.

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Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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