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Venezia76. Con «The Perfect Candidate» l’Arabia Saudita per la prima volta in concorso

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Fiore all’occhiello della 76^ edizione della Mostra del cinema di Venezia sono sicuramente le sue donne: produttrici, attrici, protagoniste di storie che hanno finalmente ottenuto lo spazio che meritavano attirando l’attenzione di tutto il mondo attraverso il linguaggio della settima arte.

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Tra gli esempi più ammirevoli ritroviamo in concorso quest’anno la caparbia regista Haifaa al-Mansour, di origini saudite ma vissuta in una famiglia aperta e liberale, laureata in Lettere all’Università Americana del Cairo e specializzata con un Master in Regia presso l’Università di Sidney. Al-Mansour vive da anni negli Stati Uniti ma non ha mai smesso di pensare all’Arabia Saudita, al cinema e alle sue donne.

Dopo aver prodotto numerosi cortometraggi e documentari sulla difficile condizione femminile nella cultura araba come Who? o Women without shadows, è stato La bicicletta verde (Wadjda) nel 2012 ad aver definitivamente acceso i riflettori sullo scontro tra emancipazione femminile e tradizione, uno dei tasti dolenti della società saudita. Presentato nello stesso anno al Festival del Cinema di Venezia, dove si è aggiudicato il Premio Cinema d’Arte e d’Essai nella sezione Nuovi Orizzonti, La bicicletta verde ha ricevuto anche la nomination ai BAFTA (British Academy of Film and Television Arts) come miglior film non in lingua inglese e ai Satellite Awards come miglior film straniero (2014), oltre che al Primo Premio al British Independent Film Award (2013) e la prima candidatura dell’Arabia Saudita al premio Oscar.

The Perfect Candidate Haifaa al-Mansour

Venezia 76: un traguardo importante per il cinema saudita e le sue donne

The Perfect Candidate è il primo film di nazionalità saudita a essere proiettato in concorso al Festival del Cinema di Venezia. Sempre quest’anno la giovane connazionale di al-Mansour, ShahadAmeen presenta invece il suo Eye and Mermaid per la settimana della critica. Anche qui Un’latra giovane donna, Hanan, si fa rappresentante della lotta sull’emancipazione femminile, sfidando le regole del suo piccolo villaggio affacciato sul mare del Golfo.

Quello di Haifaa al-Mansour è un cinema che, mostrando la quotidianità senza ipocrisie e mistificazioni, vuole stimolare una visione critica della realtà, e in questo potremmo avvicinarlo al neorealismo italiano del quale la regista è una profonda estimatrice.

La trama

L’eroina di The Perfect Candidate, l’affascinante Maryam (Mila Alzahrani), è un medico dell’ospedale di una cittadina saudita. Le piccole e grandi ingiustizie sono all’ordine del giorno in un Paese che al-Mansour ci racconta come profondamente diviso tra modernità e tradizione. In un nuovo contesto le cui rapide evoluzioni della società e della tecnologia mettono in evidenza l’assurdità di alcune regole, un po’ per caso un po’ perché appassionata alle grandi sfide, Maryam si candida per le elezioni dei membri del consiglio comunale, dando il via a un’inedita campagna elettorale che cattura l’interesse dell’opinione pubblica nazionale.

The Perfect Candidate

Un Paese diviso tra modernità e integralismo

La vita della cittadina alterna infatti momenti di apertura a momenti invece di integralismo, aspetti che si riflettono poi in maniera speculare nella stessa famiglia della giovane dottoressa.

Se il padre Abdulaziz, un uomo solo apparentemente forte e sicuro di sè, è rappresentante di un mondo ancora legato alle tradizioni, Maryam e le sue due sorelle sono le perfette ambasciatrici di una promettente gioventù saudita capace di guardare al futuro.

Bastano pochi secondi di film per comprendere la duplicità di un Paese sospeso ancora tra novità e tradizione, contraddizione che si incarna nella tradizionale alternanza cinematografica tra esterni e interni. Fuori casa, Maryam e le sua sorelle sono infatti obbligate a indossare l’hijab, si muovono accompagnate dal padre e per alcune pratiche burocratiche devono ancora far riferimento al loro tutore.

Tra le mura di casa, invece, la situazione si ribalta. Il padre di famiglia è ancora scosso dalla perdita della moglie, che capiamo essere sempre stata la vera colonna portante della famiglia. L’uomo, ormai disincantato, vive nei ricordi di una giovinezza ormai perduta, trovandosi quasi in balia di una nuova e ruggente generazione di donne consapevoli dei propri mezzi. Maryam e le sue sorelle sotto il nero hijab si vestono all’ultima moda, si scambiano messaggi su Whatsapp, si servono dei tutorial di Youtube, padroneggiano Photoshop e amministrano i propri risparmi in autonomia (“anche se dovreste avere un martio per questo”). Sono imprenditrici di loro stesse, famigliari con i linguaggio internazionale e con il nuovo mondo professionale che aspetta i figli di questo XXI secolo. Fundraising, viralità, immagine, streaming, storytelling e moda sono solo alcune delle piccole conquiste che le giovani donne saudite, anche guardando all’Occidente, hanno saputo raggiungere.

The Perfect Candidate

Il mondo degli uomini e quello delle donne

Al contrario, il mondo degli uomini sembra restare fermo alla norme imposte dalla tradizione, dalla musica al modo di vestirsi, di parlare, di riunirsi e di rivolgersi alle donne. Il contrasto tra i due mondi si manifesta anche nei brevi incisi musicali che animano la proiezione e strappano ogni tanto un sorriso. Le giovani donne sanno unire la tradizioni anche a diverse forme musicali e artistiche, con contaminazioni pop e gospel, riunendosi in locali nuovi, a metà strada tra feste da ballo e eventi di networking, il tutto rigorosamente accompagnato da colori sgargianti e un impercettibile filtro rosa che pare uscito da una video girato con lo smartphone.

Il sottile equilibrio su cui la società saudita però non è perfetto e nemmeno destinato a durare. Come cambiare la società?

La battaglia di Maryam

Forse bisogna partire dalle cose più semplici, quei piccoli passi che possono essere significativi per molti. É questo il caso di Maryam, moderna e brillante proprio perché coltiva delle ambizioni senza dimenticare la realtà della sua quotidianità. Una delle battaglie che più le sta a cuore è di poter far riasfaltare la strada ormai distrutta che conduce dalla città all’ospedale.

Per attirare l’attenzione su questo fatto apparentemente secondario ma di grande urgenza – “come potrete promettere ai vostri figli di essere curati se non sarà possibile avere accesso all’ospedale” chiede Maryam alla platea – la giovane dottoressa si candida e costruisce con le proprie forze una campagna elettorale dal nulla, grazie al “porta a porta”, al passaparola e ai nuovi strumenti che il mondo del web mette oggi a disposizione, quasi fosse una versione alternativa dell’americana Alexandria Ocasio-Cortez.

The Perfect Candidate

Una campagna elettorale dai risvolti inaspettati

La campagna elettorale si trasforma in qualcosa di più grande e la posta in gioco diventa molto più alta. Maryam realizza che candidarsi non significa più solo asfaltare la strada dell’ospedale, ma sdoganare il taboo della discriminazione di genere per cambiare la mentalità dei cittadini più radicali e diffidenti.

Ciò che la spaventa Maryam non è pero tanto la sconfitta quanto ciò che la comunità penserà di lei. Le cosiddette “voci di corridoio”, i commenti sul web e per le strade, la vergogna, il giudizio degli altri sono una delle battaglie più difficili da affrontare. Nei primi momenti della campagna, Maryam preferisce quindi non esporsi, indossando il suo niqab e all’occorrenza coprendosi addirittura gli occhi. Solo dopo essere riuscita a parlare in pubblico per la prima volta, Maryam scoprirà il suo volto come scoprirà se stessa.

A partire quindi dal suo modo di vestire, la nostra protagonista combatte una battaglia sociale ma prima di tutto personale che le permette di maturare e di riconciliarsi con una famiglia di cui la giovane sembrava quasi vergognarsi. Il punto non è infatti vincere ma dimostrare di valere, di essere più di “una figlia di cantanti per matrimoni” per alla fine dimostrar qualcosa anche a se stessa.

The Perfect Candidate

Un finale che è più importante di qualsiasi vittoria

In un finale che arriva forse troppo rapidamente rispetto alla travagliata costruzione della campagna elettorale, scopriamo che Maryam perderà le elezioni contro la sua controparte maschile, il navigato politico Tarek: 97% contro il 3%. Di fronte alla delusione del risultato, però Maryam ottiene proprio ciò che voleva: la strada per l’ospedale viene finalmente asfaltata e, ancor più importante, uno degli anziani uomini che inizialmente l’aveva maltrattata in quanto donna e medico si rivolge a lei con riconoscenza esplicitando ciò che tutti noi in sala stiamo pensando: “perché non ha vinto? Se lo meritava! Lei è un bravo medico, è giovane ed è la speranza per il futuro”.

La storia di Maryam non è una reale vittoria ed è ben lungi dal raggiungimento dell’emancipazione e della parità di genere, ma dimostra che anche le piccole conquiste possono segnare l’inizio di un cambiamento, soprattutto nel campo politico, ambito da cui ancora troppe donne sono escluse non solo in Arabia Saudita ma in tutto il mondo.

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Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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