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Venezia76. «Chiara Ferragni – Unposted», una grande occasione mancata

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10 minuti di lettura

Inutile nasconderlo, Chiara Ferragni-Unposted di Elisa Amoruso era uno dei film più attesi della 76esima Mostra del Cinema di Venezia, se possiamo effettivamente considerarlo un film.

Dopo le prime e prevedibili polemiche arrivate con la pubblicazioni del trailer qualche settimana fa, la tribuna stampa del Festival ha potuto finalmente vedere con i propri occhi il pomo della discordia accogliendolo con risate, qualche fischio e decisamente pochi applausi.

Il film, un documentario che dura poco meno di un’ora e mezza, è forse l’agiografia che tutti purtroppo stavamo aspettando, ovvero un collage di video d’infanzia, di interviste a personalità del mondo della moda e dello spettacolo, di stralci di sfilate, red carpet che ci raccontano l’ascesa dell’influencer più potente del mondo con lo scopo di rispondere alla domanda che ognuno di noi almeno una volta nella vita si è posto: chi è Chiara Ferrragni?

Il film e il mondo degli influencer: un’occasione perduta

Anche se si presenta come la confessione del lato intimo dell’essere Chiara Ferragni bisogna dire che di intimo nel film c’è molto poco. Accanto a momenti vicini al più volgare dei reality che toccano veramente il fondo, come la lunga intervista a Paris Hilton, molto più interessanti sono le parti che il film dedica alla scoperta degli influencer, professionisti del digitale che hanno saputo inventare dal nulla nuovi modi di comunicare se stessi ed entrare in contatto con il mondo intorno a loro. Numeri alla mano, il film ha la possibilità di diventare un interessante documento che spiega tale fenomeno per raccontare un aspetto della cultura contemporanea.

Chi pensa infatti che gli influencer siano solo giovani sfaccendati che trascorrono il tempo libero sui social dovrà ricredersi. La loro rilevanza come nuovi imprenditori del digitale non sta solo nella loro inarrestabile forza comunicativa ma anche nella spropositata quantità di denaro che le loro attività riescono a muovere.

Il mondo della moda, l’ultimo a essersi convertito al digitale, ne sta scoprendo ora le potenzialità attraverso la creazione di un linguaggio che si rivolge direttamente al consumatore, parte a sua volta di una  community di utenti online che si incontrano virtualmente uniti da un stesso interesse per interagire, condividere, discutere e soprattutto acquistare.

Ignorare questo mondo sarebbe quindi una presa di posizione sciocca e poco sensata in quanti noi stessi siamo ogni giorno coinvolti negli stessi meccanismi mediatici che vedono nel social network una forma di riconferma e di accettazione da parte della nostra società.

Perchè fare un film su Chiara Ferragni?

Ma allora chi è Chiara Ferragni? E perché fare un film su di lei?

Chiara Ferragni è importante per questa nuova industria che avanza perché ne è la portabandiera, è la capostipite di un lavoro nuovo che lei stessa ha imparato a conoscere e a controllare passo per passo, anticipando le tendenze e seguendo il cambiamento delle varie piattaforme, adattandosi alle nuove forme di comunicazione.

Per questo, il film e il suo scarso valore narrativo mancano in pieno il vero interesse di fare un film del genere. Chiara Ferragni non è infatti la bambina brava, dolce e altruista che il film vuole pateticamente dipingerci, ma è un concetto, è il paradigma del mostrarsi e del raccontarsi notte e giorno, senza filtri, combinando qualche scivolone personale con battaglie sociali, momenti di debolezza e ovviamente business e moda.

La sua figura è segno tangibile della scoperta di un nuovo business che rende infinitamente ricchi e che ha cambiato il modo di consumare, in quanto l’utente non è più destinatario del prodotto ma esso stesso co-produttore che dotato degli stessi strumenti dell’influencer si pone sul suo stesso piano, sviluppando un rapporto di fiducia molto più potente di qualsiasi campagna pubblicitaria.

Un documentario dai risvolti poco credibili

Per chi segue Chiara Ferragni da molto tempo, come chi scrive, l’intento del film poteva essere quindi interessante, ma la regia e il montaggio fortemente discutibili.  

Il film spreca infatti l’occasione di aprire gli occhi agli scettici e ai profani sulla rilevanza economica e sociale degli influencer per trasformarsi in un purea rosa di smancerie, frasi fatte ed elogi poco originali che non ci spiega purtroppo la natura mediatica del suo personaggio, ma che ci vuole piuttosto convincere delle sopravvalutate qualità della sua protagonista.

Inoltre, le poche parti che tentano di mostrare una chiara Ferragni come CEO e fantomatica “business woman” sono totalmente fallimentari, in quanto si tratta recite mal riuscite guarnite da lacrime di coccodrillo, un vocabolario estremamente povero e battute che alla fine prendono per sfinimento e che ridicolizzano non solo il soggetto del film ma anche il suo pubblico che si trova di fronte a una farsa meno efficace del peggiore degli spot dei detersivi.

La cosa paradossale quindi è che la Chiara Ferragni del film non assomiglia per nulla a quella che vediamo sui social. Nel lungometraggio ci appare molto più falsa, impostata e forse non all’altezza di questa prima apparizione sul grande schermo. Il mondo del cinema non è infatti quello di Instagram e se in una story basta un sorriso e qualche moina per convincere il tuo spettatore, al cinema è necessario avere molto più talento.

Per questo motivo, il film ha forse perso l’occasione di riscattare la reputazione (oggi pessima agli occhi dei più) degli influencer e dei nuovi operatori del commercio digitale, confermando invece i pregiudizi e dipingendoli ancora una volta come un branco di perditempo che fanno finta di lavorare.

I difetti di un prodotto di bassa qualità e privo di un obbiettivo

Forse il vero problema è che chi ha prodotto il film non si è mai posto la domanda: a chi mi sto rivolgendo ?

Il film non sembra rispondere alla nostra domanda e scontenta tutte le categorie di pubblico, creando un prodotto francamente trash e forzato per chi si affaccia a questo mondo per la prima volta, e una stucchevole storiella che non aggiunge nulla di nuovo per i fedelissimi che già sanno tutto.

Ovviamente era difficile pensare che il film potesse criticare il lavoro della fondatrice di The Blonde Salad, ma qualche contraddizione avrebbe sicuramente reso il racconto più credibile, dignitoso, e meno surreale.

Forse è lo stesso principio di base del film che è sbagliato: come si può un film di un’ora e venti raccontare il lato più privato di un personaggio che da anni non conosce vita privata?

Semplice, non lo fa. Raccontare il lato segreto di Chiara Ferragni è un inutile spot che dimostra che neanche la regista ha capito veramente il senso di essere Chiara Ferragni. Chiara Ferragni ha rivoluzionato il mondo della comunicazione non per quello che indossa o per le feste a cui va, ma perché ha appunto pagato con la propria vita la creazione di un nuovo archetipo sociale. E la condizione di tale archetipo è semplice: bisogna condividere tutto di se stesse, in qualunque momento, attraverso una piattaforma accessibile a tutti che consegna la notizia direttamente nelle mani dei suoi spettatori e che neutralizza qualsiasi copyright, paparazzo e giornale scandalistico.

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Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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