America, 1994. Un uomo sulla trentina si aggira in quello che negli States è noto come garage sale: una svendita casalinga, utile per svuotare le soffitte o i garage da cianfrusaglie, vestiti e oggetti di ogni tipo. Un modo per racimolare qualche soldo in più ed alleggerire gli scaffali dalla decadenza e dalla polvere. Per i più sognatori, il mercatino dell’usato è l’antidoto all’oblio, un luogo che concede a vecchi capi ed utensili una nuova possibilità. L’occasione di una nuova vita. L’uomo fruga qua e là, passa tra gli scatoloni e i prodotti ben esposti dai proprietari di casa. Sposta i lunghi riccioli scompigliati che gli pendono davanti alla faccia, cerca di rovistare al meglio che può tra i libri usati. Le sue dita scorrono di copertina in copertina, per conoscere il contenuto di quelle pagine, di quei libri odoranti di vecchio. La mano si ferma. Sposta un libro dall’altro, legge la copertina di quello che ha catturato la sua attenzione. Vitalogy. Lo scruta: qualcosa lo incuriosisce. Poi, un’illuminazione. L’uomo si affretta verso la cassa fai-da-te del mercato casalingo. Compra il libro, un vecchio manuale medico del 1899, e rincasa. Il giorno seguente ne parlerà con i compagni della sua band. Quello che gli autori di quel trattato di fine Ottocento non sanno e non potranno mai sapere è che quel libro sarà destinato a rivivere per altri decenni in una veste che nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare. Siamo nel pieno dell’era del grunge. Seattle è un polo per una nuova musica, che disprezza le logiche del mercato e, di base, anche la società stessa. Nel 1994 i Pearl Jam pubblicheranno Vitalogy, il loro terzo album. L’uomo che frugava tra i vecchi libri di quel garage sale di trent’anni fa era Eddie Vedder. Oggi, quel disco(-libro) lì spegne le sue candeline.
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«Ed brought in that book», ricorda il bassista dei Pearl Jam, Jeff Ament, «and we said, man, that would make a great album cover!». La band era nel pieno di un periodo piuttosto turbolento. Nonostante avessero ignorato quasi tutte le regole del music business, detestando le logiche della macchina tritacarne nella quale le rock star venivano scaraventate, nel 1993 i Pearl Jam erano al culmine del loro successo. Avevano venduto milioni di copie con i loro primi due album, Ten e Vs. e la loro ispirazione era tale da portarli a lavorare al terzo album durante il tour di promozione del secondo. «A pensarci è pazzesco», affermò Jeff Ament, «ma per i primi quattro o cinque anni ci saremmo presi due settimane libere al massimo». Danno inizio alle sessioni di registrazioni, spostandosi tra Atlanta, New Orleans e la loro Seattle. Quel vecchio libro darà una forma tutta nuova al progetto al quale inizieranno a lavorare nel novembre del ’93. Vitalogy, «studio della vita», era, infatti, una sorta di trattato riguardante l’anatomia e le malattie, ma conteneva anche rimedi erbacei e consigli per la casa. Tuttavia, i temi di cui trattava erano dalla validità scientifica oramai messa ampiamente in discussione e, in diversi casi, fermamente negata. L’infondatezza di molti dei suoi contenuti, alla fine degli anni Novanta, aveva reso quel libro soltanto un vecchio manuale del passato dalla bella copertina, certamente con un grande fascino e interesse storico, ma mancante ormai della funzione per la quale era stato scritto: informare e curare correttamente. Con Eddie Vedder nel pieno di un processo creativo e l’intenzione iniziale della band di chiamare il loro terzo album Life e con il ritrovamento di quel vecchio libro ormai inutilizzato, tutto sembrò essere al posto giusto.
Ispirati dal trattato ottocentesco, i Pearl Jam distribuiscono l’album Vitalogy come fosse un vero e proprio libro d’epoca, con tanto di indice e illustrazioni prese dall’omonimo libro. Il booklet di Vitalogy, l’opuscolo informativo che accompagna il disco, è unico nel suo genere. Esso contiene le discussioni obsolete su salute e benessere presenti nel manuale di fine Ottocento, tra consigli su chi sposare e chi no e note con riflessioni dal carattere più personale sulla vita e sulla morte. Vi sono anche alcune poesie o detti originali, foto di capi indiani, di dottori dell’epoca e di mura romane con scritte contro George Bush Sr. Ma non solo. Whipping, la sesta traccia dell’album, è scritta su una copia di una petizione indirizzata all’allora presidente Bill Clinton, sulla morte di un dottore abortista. Una radiografia dei denti di Eddie Vedder è messa, invece, al posto del testo di Corduroy. L’album contiene generi diversi, dalle ballad al punk più puro, fino a lunghe canzoni collage con voci di pazienti di un ospedale psichiatrico, registrati alla televisione da Eddie Vedder quando era ragazzo. Vitalogy mostrava come i Pearl Jam fossero capaci di avventurarsi in sentieri mai battuti negli album precedenti. Nonostante la loro avversione verso la promozione, al pubblico piacevano: nella prima settimana dopo la pubblicazione del 22 novembre 1994 l’album raggiunse quasi 900mila copie vendute.
Vitalogy mostra, inoltre, la forte insofferenza vissuta dai membri del gruppo e da Eddie Vedder in particolare nei confronti del successo. Il cantante della band era sempre più frustrato dall’appropriazione del grunge da parte del mercato. Lo stesso termine – che indicava qualcosa di sporco, sudicio – era visto dai musicisti del genere come una strategia di business. Infatti Kim Tahyil dei Soundgarden aveva dichiarato:
Il termine grunge non è mai piaciuto a nessuno di noi. È una mossa di marketing per mettere Seattle tra gli scaffali dei negozi di dischi. Alla fine lo abbiamo accettato come un termine convenzionale, comprensibile a tutti, per descrivere quello che facciamo.
L’introduzione di un personaggio simile a Eddie Vedder nella soap televisiva General Hospital (interpretato da un giovane Ricky Martin), aggiunge ulteriore rabbia a quella già covata dal cantante nei confronti di un mondo capace di tradurre tutto in profitto. Vitalogy diviene lo spazio creativo all’interno del quale manifestare le proprie idee e frustrazioni. Nel minuto e un secondo della settima traccia, Pry, To, Eddie Vedder ripete per quattro volte di fila «P-R-I-V-A-C-Y is priceless to me». Dopo aver visto in un negozio di abbigliamento la replica di una delle sue giacche di velluto a coste in vendita a centinaia di dollari, il cantante dei Pearl Jam scrive Corduroy. «Loro possono comprare, ma non possono mettersi nei miei panni», canta Eddie Vedder. «Can’t buy what I want because it’s free / Can’t be what you want because I’m». «La musica veniva cooptata, era spaventoso», dichiarò il cantante a riguardo. Soprattutto con Not For You, Vedder sente di aver messo «un po’ di cose in chiaro». La sua voce è altamente feroce e sprezzante nel cantare la sua avversione per la macchina dell’intrattenimento: «Oh, da dove sono arrivati? Hanno preso d’assalto la mia stanza / E osate dire che appartiene a voi». «For You? This is not for you!».
Gli stessi Pearl Jam stavano vivendo un momento di alta tensione. Eddie Vedder non si limitava più a cantare come nei primi album, ma aveva iniziato a suonare, rendendo i Pearl Jam un gruppo con tre chitarristi. Il cantante – e chitarrista – si stava facendo carico pian piano dell’intera direzione musicale e creativa del gruppo, cominciando a scrivere canzoni in solitaria. Eddie Vedder aveva dichiarato di essere ormai il membro più riconoscibile della band e di sentire il bisogno di essere maggiormente rappresentato a livello musicale. Alcuni membri del gruppo iniziano ad abusare di droga e alcol e nel mezzo della creazione del terzo album il bassista Dave Abbruzzese viene rimpiazzato da Jack Irons, ex membro dei Red Hot Chili Peppers. Lo stesso produttore Brendan O’Brien anni dopo si era detto esausto e stressato durante tutto il tempo della produzione dell’album: «Ce la mettevo tutta per restare positivo, ma era un momento faticoso… come se stessero implodendo internamente». La determinazione della band di Seattle finì per avere la meglio e oggi, ascoltando il susseguirsi delle tracce di Vitalogy e guardando la sua copertina, tutto un mondo sembra rivivere e dialogare in esse perpetuamente. Dal 1899, passando per il 1994, fino ad oggi. Forse Vitalogy è davvero un piccolo manuale sullo studio della vita: delle sue casualità, delle ostinazioni, della giustizia e dell’armonia che la popolano.
Buon compleanno Vitalogy, che sia per i tuoi trent’anni, o per i tuoi 125.
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