Vittorio Gassman: l’energia teatrale del Mattatore

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Vittorio Gassman è stato una figura centrale del teatro e del cinema italiano. Un attore in grado di incarnare il corpo, la voce, ma anche l’inquietudine del teatro italiano del Novecento. Il 29 giugno sono trascorsi 25 anni dalla sua scomparsa e a buon diritto è possibile affermare che Gassman sia stato più di un attore, ma anche un pedagogo della recitazione, un interprete unico che ha saputo fondere il rigore della tradizione classica con la sua personalità divenendo un simbolo culturale. Rivediamo qualche momento saliente della sua carriera teatrale.

Un attore vero non si vaccina contro il bacillo istrionico; lo coltiva invece e ne sfrutta l’irrazionale virulenza fino a farlo esplodere nella pestilenza metaforica di cui parla Artaud.

Il corpo come strumento scenico e la voce come arte

Gassman sviluppò uno stile attoriale fortemente fisico. La sua recitazione si basava sostanzialmente su due elementi: il corpo e la voce. Il primo estremamente consapevole, energico, vivo, soprattutto nella cornice del teatro, che nonostante il grande successo cinematografico non abbandonò mai. Per quanto riguarda la voce, per lui era fondamentale la dizione. Nonostante soprattutto nei film il pubblico abbia potuto ammirare un meraviglioso accento romano e vari dialetti, Gassman recitava con una precisione di dizione estremamente maniacale. Nella sua precisione, probabilmente Gassman trovò per un periodo una sintonia con Luchino Visconti, riguardo al quale l’attore ricordò che per una minuzia si potevano interrompere le prove per ore. Anche se proprio per la sua grande personalità non poteva sottostare alle direttive del regista, di suo molto severo, e quindi il sodalizio si interruppe.

Non credo di essere cattivo, ma un po’ feroce, maniaco, con sfumature di pedanteria. Il gusto matematico, simmetrico dell’esistenza, si traduce in una furia, anche verso di me.

L’attenzione al verbo come unità principale dell’esperienza recitativa non si traduceva comunque in una recitazione, quindi, “testuale”: la mimetica per Gassman era fondamentale, diventare il proprio personaggio altrettanto. Ecco perché fu chiamato il Mattatore (dall’omonimo programma televisivo), grazie alla capacità di attrarre e conquistare il pubblico. Al centro della capacità interpretativa dell’attore c’era una fortissima energia, secondo molti dovuta, per opposizione, a una malinconia interiore. In tal senso l’energia e la verve attoriale di Gassman furono quasi una “difesa” contro il mondo, un urlo contro la tristezza, un modo per aumentarsi e diventare più forte di una sofferenza che diventò sempre più evidente, finché non si parlò proprio della sua depressione. Disse Mario Monicelli a proposito:

Poi arrivò la sua depressione. Mi resi conto quanto ne fosse già segnato assistendo, qualche anno fa, a una sua interpretazione di Otello. Un Otello straordinariamente insolito, malinconico, ripiegato su se stesso, consapevole del tempo che passa. Ho sempre pensato che l’immagine forte, autorevole, positiva, sempre capeggiante che Vittorio offriva di sé, fosse un artificio edificato in nome della sua enorme insicurezza. Era come se vivesse nel timore che la terra gli mancasse sotto i piedi da un momento all’altro. Strafaceva per nascondersi. Quella depressione cupa, violenta, divorante, gli era nata dentro dal contrasto col personaggio che s’era costruito. Era il prezzo della sua verità.

Vittorio Gassman e la modernità dell’Amleto

Una delle tappe fondamentali del percorso teatrale di Vittorio Gassman fu il suo iconico Amleto. Con Luigi Squarzina, fondò e diresse il Teatro d’Arte Italiano ed ebbe modo, infatti, di produrre le prime versioni complete in Italia di varie opere classiche, prime fra tutte proprio l’Amleto, ma anche testi classici come il Tieste di Seneca o I Persiani di Eschilo. Amleto fu però il ruolo che divenne più emblematico dello stile di Gassman. Innanzitutto poiché l’opera di William Shakespeare è una delle più complesse con un protagonista estremamente difficile da interpretare, in quanto non esiste un solo Amleto, ma tanti, come osservò Oscar Wilde:

Di fatto, non esiste una cosa come l’Amleto di Shakespeare. Se Amleto possiede qualcosa
della definitezza di un’opera d’arte, possiede anche tutta l’oscurità che appartiene alla vita. Vi
sono tanti Amleti quante malinconie. (Oscar Wilde, Il Critico come artista)

La capacità di Gassman fu infatti proprio quella di restituire la complessità del personaggio preservandone gli aspetti più classici, ma aggiungendo tutta una sua profondità e uno sguardo psicologico. Da un lato fu lodato per la sua profonda fedeltà al testo originale, dall’altro l’Amleto di Gassman è assolutamente moderno, reso benissimo nella sua staticità che lo rende, paradossalmente, anche energetico nella paralisi. Infatti, il modo di rendere il corpo quasi inerte rendeva benissimo tutta la dinamicità mentale che caratterizza il personaggio. Gassman diede vita a un Amleto sì pensieroso, ma anche nevrotico, teso eppure profondamente sicuro, inquieto ma anche affascinante. Come sempre, l’attore non si dissolve nei suoi personaggi, ma ci mette la sua personalità che è molto forte e carismatica. Il rifiuto di personaggi che stanno fermi o interiori non sembrava adatto alla figura di Gassman, visto il suo stile di recitazione molto fisico e, come detto, basato sul corpo, eppure riesce a cogliere un dinamismo dentro l’Amleto anche solo con la voce.

Non solo: la stasi nervosa che caratterizzò la sua performance consentì al pubblico di rivedersi nell’inquietudine dello stesso personaggio, sentendosi compreso nelle sue idiosincrasie. Ecco che i dilemmi di Amleto diventano quelli dell’uomo moderno, anche lui confuso, smarrito, nel dubbio, folle. Probabilmente il giovane principe così incerto e malinconico non fu difficile da interpretare per l’animo tormentato di Gassman.

Da Shakespeare al Teatro Popolare Italiano e l’Adelchi

Non è possibile passare in rassegna ogni opera a cui ha preso parte Gassman, ma tutte le sue performance hanno in comune la poliedricità, la precisione al limite del maniacale per la parola e l’uso del corpo come strumento unico di comunicazione. Monicelli, che abbiamo citato poc’anzi, faceva riferimento non a caso al suo Otello. L’attore gli dà il volto in una celebre produzione teatrale del 1956, insieme a Salvo Randone. La traduzione di questo Otello è stata scritta da Salvatore Quasimodo che vi aggiunse moltissimo della sua personalità, allontanandosi un po’ dal testo originale ma costruendo una chiave di lettura interessante. Gassman ne approfittò per metterci come sempre del suo: gioca con lo scambio di ruolo tra Otello e Jago e può dare sfogo alla sua bravura nella voce, che utilizza in modo estremamente potente, alternando momenti di forte rabbia a vulnerabilità.

Il nostro successo era il successo della novità dell’impresa, del prestigio dei nostri spettacoli, dell’autorità dei nostri interpreti, della larghezza dei mezzi impiegati; il fenomeno teatro acquistava, sì, improvvisamente, una risonanza maggiore, ma la sua eco andava poco al di là del luogo dove noi ci trovavamo ad agire.

Uno dei progetti teatrali più interessanti di Gassman fu poi il Teatro Popolare Italiano (TPI) che fondò nel 1960. Il suo obiettivo centrale era rendere il teatro accessibile a tutti, creare quasi un teatro viaggiante, come un “circo-teatro”. Fin da questa idea di spettacoli itineranti si intuisce la grande inventiva dell’attore, desideroso di diffondere la bellezza del teatro sempre più profondamente. L’idea di Gassman del teatro si lega tantissimo a una funzione pedagogica: il testo teatrale non è solo una forma d’arte, ma uno strumento educativo che può formare individui responsabili e consapevoli. Ciò senza voler ridurre, tuttavia, la fruizione del teatro a persone colte, anzi, il teatro è aperto a tutti proprio per questo motivo.

Vede, l’attore è come una scatola vuota e più vuota è meglio è; interpreta un personaggio e la scatola si riempie, poi il lavoro finisce e la scatola si svuota. Mi hanno raccontato che una volta Gary Cooper ancora ragazzo guardava fisso davanti a sé in silenzio. La mamma gli domandò: che pensi? Rispose: non penso assolutamente a nulla. E la mamma: allora sarai un buon attore. Vede, l’attore non dev’essere particolarmente colto e nemmeno particolarmente intelligente; dev’essere – forse – anche un po’ idiota. Sì, sì, se fosse anzi completamente idiota sarebbe un grandissimo attore.

Primo grande progetto del Teatro Popolare Italiano fu l’Adelchi. Ancora una volta una sfida enorme per Gassman: si tratta di una delle opere più difficili di Alessandro Manzoni. Interpreta naturalmente il ruolo del protagonista, un altro principe, ma stavolta non è danese, bensì longobardo. Adelchi tenta invano di opporsi alla guerra contro i franchi e vive un dramma dovuto alla ciclicità della storia.

Curiosamente, ancora una volta un principe e soprattutto un personaggio che deve rapportarsi al padre, ma in modo molto diverso. Gassman si approccia a un testo complesso con la solita ineguagliabile personalità. Infatti, il personaggio di Adelchi per quanto ben scritto è inevitabilmente passivo, inadatto a comandare, desideroso di giustizia ma senza capacità di imporsi. Gassman con la medesima energia che è in grado anche però di tacere ne mette in scena il dramma in maniera precisa e ancora una volta eccezionalmente moderna. Probabilmente, erano agi antipodi, ma l’attore è riuscito a interpretare in modo come sempre autentico il proprio personaggio. L’autenticità e il corpo furono elementi distintivi del talento recitativo di un uomo che dalla sua malinconia è riuscito a tirare fuori la bellezza del teatro, così come dal silenzio di Adelchi ha fatto emergere la sua grande voce.

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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. È docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale e critica musicale. È autrice di due saggi dal titolo "Dietro lo specchio, Oscar Wilde e l'estetica del quotidiano" e "La fedeltà disattesa" e della raccolta di racconti "Dipinti, brevi storie di fragilità"

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