L’esperienza del vivere da soli nell’arte contemporanea

Articolo della newsletter n. 50 - Maggio 2025

4 minuti di lettura

L’andare a vivere da soli è oggi considerato un importante rito di passaggio che segnala la transizione dalla prima giovinezza all’età adulta e alle sfide che essa comporta.

La contemporaneità ha spesso visto gli artisti utilizzare il linguaggio delle installazioni e della performance per sviscerare il tema del “vivere da soli” come metafora del percorso, spesso irto di ostacoli, verso l’età adulta e le inevitabili trasformazioni che la caratterizzano.

Da My Bed, installazione dell’artista britannica Tracey Emin alle opere iperrealiste dell’australiano Ron Mueck, esploriamo alcune delle opere che, seppur con approcci e prospettive diverse, hanno condiviso l’obiettivo di evidenziare come il “vivere da solinon comporti solo solitudine e nostalgia ma anche occasioni di auto-riflessione e crescita personale. Questo tema diviene così un potente simbolo del passaggio all’autonomia e all’accettazione della fragilità e della ricerca di una nuova forma di relazione con sé stessi e con il mondo.   

My Bed di Tracy Emin, metafora dell’inevitabile sofferenza della quotidianità

Un letto disordinato, disfatto e ingombro di oggetti, come quello di chiunque stia passando una brutta giornata o una brutta settimana, My Bed è l’installazione più famosa dell’artista britannica Tracy Emin, che dal 1997 prende parte al movimento dei Brit Artists, un gruppo di giovani artisti decisi a rinnovare lo scenario artistico inglese.

L’installazione, esposta per la prima volta nel 1998 nella galleria Sagacho di Tokyo, è inspirata a un episodio depressivo dell’artista a seguito della fine di una relazione sentimentale importante.

Nel corso di una terribile settimana di crisi, Tracy Emin, trovatasi a vivere da sola dopo una lunga convivenza, fatica ad alzarsi dal letto, che diventa un vero e proprio microcosmo di disperazione e rimpianti. Uscita dalla depressione, l’artista cristallizza il proprio vissuto nell’installazione My Bed, dove riproduce in tutto e per tutto il letto così come appariva alla fine della settimana di reclusione, inserendovi anche oggetti di vita quotidiana, come vestiti stropicciati, biancheria intima, preservativi, bottiglie vuote e mozziconi di sigaretta. L’opera, definita una metafora della vita, del luogo in cui iniziano le sofferenze e muoiono le logiche, colpì l’immaginario collettivo degli spettatori alla sua seconda esposizione alla Tate Britain nel 1999, ottenendo un grande successo di critica e pubblico, nonostante alcune critiche legate al crudo realismo della rappresentazione.

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Vivere da soli
Tracy Emin, My Bed (1998), Tate Modern, Londra
Fonte: wikipedia.org

L’anno successivo l’opera fu battuta all’asta e acquisita per 150.000 sterline da Charles Saatchi, magnate e collezionista d’arte, che la posizionò nel salone della sua residenza londinese.

In anni più recenti l’opera è entrata a far parte della collezione permanente della Tate Modern, divenendo a tutti gli effetti un’opera simbolo dell’arte inglese degli anni Novanta, nonché una potente metafora delle piccole e grandi sofferenze dell’età adulta.

In recenti interviste l’artista, che oggi ha cinquant’anni, racconta di vedere l’opera come una polaroid sul suo passato, dato che gli oggetti sul letto non appartengono più alla sua quotidianità:

Ognuno di quegli oggetti è diventato un pezzo di storia, ci ricorda che il tempo passa e che tutto quanto cambia: “Voglio che le persone reagiscano alla mia opera. Non è una semplice installazione, è un’esperienza vera e propria”.

Ron Mueck: solitudine e realismo

Esponente di spicco dell’Iperrealismo, movimento nato intorno alla metà degli anni Sessanta negli Stati Uniti, l’australiano Ron Mueck si è distinto per la straordinaria verosimiglianza delle sue sculture, realizzate in silicone e fibra di vetro, con l’inserimento di tessuti e capelli veri per accrescere l’impressione di realismo. L’umanità di Ron Mueck, lontana da ogni idealizzazione, ci mette davanti alle sfide del quotidiano e della vita adulta, costringendoci a guardare con compassione i nostri rassegnati doppi, imperfetti e in balia degli eventi. Le donne e gli uomini di Ron Mueck, spesso rappresentati in scala monumentale per accrescere il senso di disagio e inadeguatezza, con la loro fragilità sono portatori di storie che non si allontanano troppo dalla nostra.

In Woman with shopping vediamo una donna non più giovanissima, forse una madre single, che si affatica nel fare la spesa, probabilmente non potendo contare su un aiuto esterno, mentre il letto torna protagonista nell’installazione In Bed. Protagonista di quest’opera è una donna non particolarmente attraente, colta nell’atto di risvegliarsi sola in un grande letto e fissare il vuoto davanti a sé, forse cercando la motivazione per alzarsi e iniziare la sua giornata.

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Vivere da soli
Ron Mueck, In Bed (2005), Queensland Art Gallery, Brisbane
Fonte: fondationcartier.com

Le Cells di Louise Bourgeois, metafora dell’esistenza

Un complesso percorso di emancipazione ha segnato la vita di una delle artiste più rappresentative del ventesimo secolo, Louise Bourgeois. Formatasi come scultrice all’École des Beaux-Arts di Parigi, sua città natale, si trasferì a New York nel 1938, all’età di ventisette anni, sottraendosi al difficile clima familiare causato dal rapporto problematico con la figura paterna, che aveva segnato la sua infanzia e adolescenza. Ha inizio così un percorso di auto-affermazione come donna adulta che si riflette nella sua produzione artistica.

Particolarmente significative in tal senso sono le Cells (Cellule), situate nella produzione della tarda maturità dell’artista.

Vivere da soli
Louise Bourgeois, The last climb (2008), Galleria Nazionale del Canada, Ottawa
Fonte: artssummary.com

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Le Cells si presentano come strutture autonome, alcune simili a stanze, contenenti forme scolpite e oggetti trovati e conservati nel corso della sua vita. Metafore della memoria, in cui si fondono passato e presente, mettendo in luce il passaggio verso il “vivere da soli”, l’indipendenza e la consapevolezza dell’età adulta.

In The Last Climb, una delle ultime Cell, realizzata nel 2008, la scala a chiocciola, elemento centrale dell’installazione, può essere interpretata come una metafora dei cicli infiniti della vita e del suo viaggio.


Illustrazione di Marco Brescianini

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Arianna Trombaccia

Romana, classe 1996, ha conseguito la laurea magistrale con lode in Storia dell'arte presso l’Università La Sapienza. Appassionata di scrittura creativa, è stata tre volte finalista al Premio letterario Chiara Giovani. Lettrice onnivora e viaggiatrice irrequieta, la sua esistenza è scandita dai film di Woody Allen, dalle canzoni di Francesco Guccini e dalla ricerca di atmosfere gotiche.

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