L’arte ha infiniti volti, si manifesta nelle forme più svariate e non segue regole; non è qualcosa di necessariamente tangibile, lo scultore esprimerà la sua arte col marmo ma il musicista lo farà con note e suoni. Possiamo definire l’arte come un mezzo per veicolare un messaggio, una forma di comunicazione che parte da un essere umano e si concretizza nel mondo fino a raggiungerne un altro e poi un altro, chiunque sia disposto ad accogliere il messaggio e farsi emozionare da esso. L’espressione è quindi il fine ultimo di un’opera d’arte, e ogni artista ha la vocazione di trasmettere sé stesso e le proprie emozioni attraverso gli strumenti che il suo talento gli ha messo a disposizione.
Un viaggio tra pittura e fisicità: I mille volti di Carolee Schneemann
Affascinante ed emblematica è, alla luce di questa riflessione, la figura di Carolee Schneemann, artista contemporanea ed eclettica nelle sue molteplici modalità di espressione.
Schneemann nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni Trenta e nei suoi 50 anni di audace e provocatoria carriera si fa portavoce di diverse cause attraverso un’arte vissuta a 360 gradi. L’artista si identifica innanzitutto come pittrice, ma la sua arte abbraccia la performance, il corpo, il video e l’installazione. Per lei, tutte le sue opere — anche le più radicali e performative — diventano un’estensione della pittura. In un’intervista, disse:
Sono una pittrice e mi penserò sempre come tale, tutto ciò che ho fatto è una continuazione della pittura.
Il suo corpo diventa dunque un’estensione della tela, facendosi tramite per raccontare sensazioni intime e baluardo di una protesta politica e sociale, diventando un linguaggio che si rivolge a tutto il mondo rendendo l’arte democratica attraverso la performance.
Il percorso di crescita della Schneemann, come artista e come persona, è stato senza dubbio ostacolato da tutta quella fetta di società che riteneva la sua arte scandalosa ed esagerata. In un’intervista, alla fine della sua carriera, la pittrice ha dichiarato:
Ero affascinata da come i miei colleghi uomini potessero assistere alle mie performance fisiche e trasformarle nell’immediato in qualcosa di sessuale.
Schneemann porta avanti una fisicità radicale — come sarà poi definita nel 2022 da Photo London — che la espone al giudizio e alla censura sin dagli esordi: basti pensare alla sospensione dal Bard College per aver osato autoritrarsi nuda, mentre lo stesso istituto non esitava a chiederle di posare svestita per gli studenti uomini.
La performance come liberazione della propria sessualità
Eppure è proprio nel corpo, e attraverso la performance, che l’artista trova il linguaggio più diretto, provocatorio e sincero. Una forma di espressione che si concretizza in opere intense e visionarie, tra cui spicca Meat Joy (1964), forse la sua performance più celebre. L’opera è un progetto collettivo coreografato nei dettagli, in cui i corpi dei performer si intrecciano sensuali su uno sfondo bianco e giocano in modo crudo e provocante con diversi elementi tra cui: cibo crudo come carne o pesce e vernice fresca che si lanciano e nella quale si rotolano a turno. Il sottofondo musicale del video è un collage sonoro fatto di rumori, urla, risate, versi, suoni ambientali e frammenti musicali. Suscita sensazioni contrastanti, a tratti disturbanti, trasmettendo un senso di liberazione e di contatto primordiale con la carne e la sessualità, senza il filtro del giudizio esterno o della moralità tradizionale.
Meat Joy vuole abbattere i confini tra la fisicità umana e gli oggetti, tra la bellezza e l’orrore e tra il desiderio e la violenza mescolandoli in modo crudo e caotico.
Tra le sue opere cinetiche troviamo anche Fuses, 1964-67, un film erotico realizzato insieme al compagno storico della donna. L’artista riporta nelle sue note:
Fuses è stato realizzato come un omaggio a una relazione di dieci anni, con un uomo con cui ho vissuto e lavorato come pari. Siamo percepiti attraverso gli occhi del nostro gatto e ho filmato per un periodo di tre anni usando delle Bolex a carica manuale prese in prestito.
La Schneemann diventa al tempo stesso regista e protagonista della propria opera, nulla è lasciato al caso anche le riprese sono spontanei momenti di vita e passione della coppia. L’artista non accetta i tabù riguardo a nessuna parte del corpo e crea un taglio preciso tra i primi piani dei genitali femminili e maschili. L’opera permette agli spettatori di confrontarsi con le loro identificazioni e attitudini verso il proprio e l’altro genere. Fuses è un’interazione sensuale equa; nessuno dei due amanti è “soggetto” o “oggetto”. L’artista riporta nelle sue note:
Dopo una delle prime proiezioni di Fuses, una giovane donna mi ha ringraziato per il film. Mi ha detto che non aveva mai guardato i propri genitali, non aveva mai visto quelli di un’altra donna, che Fuses le aveva permesso di sentire la sua curiosità sessuale come qualcosa di naturale, e che ora pensava che avrebbe potuto iniziare a vivere la sua integrità sessuale nei modi che aveva sempre desiderato. Era il 1967.
Body performance e scandalo: l’azione scenica come strumento espressivo
Il percorso artistico della Schneemann è un perfetto equilibrio di ecletticità e sperimentazione, con l’aggiunta di una buona dose di scandalo ad incorniciare il tutto. Esempio esaustivo è sicuramente la performance Interior Scroll (1975), definita dalla critica come l’opera più femminista della Schneemann e dibattuta ancora oggi.
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Davanti a una folla di gente a New York, la pittrice sale su un tavolo coperta da un lenzuolo bianco e un grembiule e inizia a leggere il suo libro Cezanne, She Was A Great Painter. Della lettura perde rapidamente interesse e con naturalezza comincia a togliersi i pochi indumenti indossati e inizia a cospargersi di fango tra lo stupore della gente.
Dopo aver assunto una serie di pose rituali e, ancora una volta, quasi disturbanti, si accovaccia e comincia a sfilarsi una pergamena dalla vagina, segnando una pietra miliare nella storia della performance art.
Il contenuto della pergamena era un’invettiva indirizzata alla storica dell’arte americana Annette Michelson che, secondo Schneemann, si rifiutava di guardare i suoi film. Schneemann ha descritto il testo della pergamena come una sorta di dialogo con gli studenti della Michelson, che non avrebbero mai potuto conoscere il suo lavoro.
Quest’opera è la prima opera di body performance sulla sessualità femminile creata da una donna. L’opera vuole collocare la forza immaginativa e creativa delle donne all’interno dei loro stessi corpi. Il cosiddetto “spazio vulvico”, che sposta la produzione artistica dal predominante pensiero creativo maschile, dandogli una connotazione femminile.
Con la sua arte a tutto tondo Carolee Schneemann segna quindi l’inizio della body art e performance per il genere femminile, manifestando un pensiero creativo poliedrico e contro corrente. Attraverso le sue opere possiamo percepire la sfida lanciata al mondo, sia maschile che femminile, un grido di liberazione. Un grido dalle mille sfaccettature che non vuole essere tenuto a freno, moderato o abbellito per il pubblico ma che arriva alle nostre orecchie e ai nostri occhi in modo crudo, provocando fascino e allo stesso tempo fastidio.
L’artista ci accompagna alla scoperta delle proprie intimità fisiche e psichiche senza pudore, rifiutando l’idea di una storia narrata esclusivamente dal punto di vista maschile e facendosi portavoce del genere femminile nella storia dell’arte.
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