Cixi l’imperatrice che fece entrare la Cina nell’era moderna

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Nella penombra ovattata della Città Proibita, tra l’odore di legni laccati e il fruscio di passi felpati sui corridoi infiniti, una donna manovrava il destino di un impero. Non aveva mai indossato la corona, almeno non ufficialmente, eppure per quasi mezzo secolo ogni decisione passava da lei. Cixi – concubina, madre, reggente – era un enigma vivente. Capace di sorridere con grazia mentre spostava pedine invisibili su una scacchiera politica che pochi riuscivano a vedere. Una partita lunga e complessa, simile a quelle in cui l’azzardo si mescola al calcolo, un po’ come accade a chi sa attendere la mano giusta su SafeCasino IT, dove la pazienza diventa un’arma.

Dalle retrovie del potere al centro della scena

Yehenara, questo il nome con cui era nata nel 1835, non proveniva da una dinastia di grandi condottieri. Eppure, a sedici anni, entrò nella Città Proibita come concubina di quarto grado dell’imperatore Xianfeng. Non la più bella, non la più blasonata. Ma rapida nel capire dove volgevano i venti e nel trasformare una conversazione di cortesia in un seme di influenza. Nel 1856 mise al mondo Zaichun, l’unico figlio maschio dell’imperatore: un passaggio che, in un contesto rigidamente patriarcale, la proiettò in una posizione di forza inattesa.

Alla morte di Xianfeng, il giovane erede aveva appena cinque anni. Cixi non perse tempo: si alleò con l’imperatrice vedova Zhen e un manipolo di funzionari pronti a rovesciare i reggenti nominati dal defunto sovrano. Non fu un colpo di teatro, ma un’operazione chirurgica di potere. Da quel momento, la “reggenza condivisa” fu una formula elegante per mascherare un fatto semplice: l’ultima parola era spesso la sua.

Il difficile equilibrio tra tradizione e modernità

La seconda metà dell’Ottocento per la Cina non fu un periodo tranquillo: ribellioni, pressioni straniere, trattati che erodevano la sovranità. Cixi intuì che il Paese non poteva barricarsi dietro i suoi bastioni millenari senza pagare un prezzo altissimo. Promosse arsenali navali, linee ferroviarie, officine meccaniche. Aprì scuole di lingue straniere e permise, con prudenza, l’introduzione di studi scientifici.

Non era, però, una riformista radicale. Alcune sue scelte – come il blocco delle riforme dei Cento Giorni del 1898 – le valsero la fama di conservatrice. Ma la verità, forse, è che il suo passo era misurato: preferiva un avanzamento lento e controllato piuttosto che uno slancio che avrebbe potuto frantumare l’intera struttura imperiale.

Il volto doppio della diplomazia

Cixi sapeva cambiare registro con disinvoltura. Lo dimostrò durante la ribellione dei Boxer. All’inizio sostenne i ribelli anti-stranieri, vedendo in loro una difesa contro le ingerenze occidentali. Ma quando la situazione degenerò e un’alleanza internazionale marciò su Pechino, mutò strategia: negoziò un accordo che, pur gravoso, evitò la disgregazione territoriale.

Era una diplomazia fatta di pieghe e retromarce, più simile a una danza che a una marcia. Una consapevolezza che, per sopravvivere, a volte bisogna saper arretrare senza farsi spingere giù dal palco.

Tra propaganda e realtà

Per anni, soprattutto in Occidente, la sua immagine è stata deformata: una donna capricciosa e crudele, simbolo di un impero decadente. In parte, il frutto di una narrazione coloniale che voleva la Cina arretrata e incapace di riformarsi. Solo studi più recenti hanno restituito un ritratto più sfaccettato: una leader pragmatica, attenta alle arti, capace di far dialogare l’estetica millenaria della sua cultura con elementi di modernità.

Restaurò templi, finanziò produzioni artistiche e sostenne artigiani che ancora oggi rappresentano il vertice di un’arte raffinata. Non era un vezzo, ma un modo per mantenere viva l’identità culturale mentre il mondo intorno cambiava in fretta.

L’epilogo di un’epoca

Quando morì, nel 1908, lasciò il trono a Pu Yi, un bambino che avrebbe assistito, da ultimo imperatore, al tramonto definitivo della dinastia Qing. Con lei si chiudeva un capitolo in cui il potere poteva essere esercitato da dietro un paravento di seta, con un ventaglio aperto a schermare lo sguardo e un piano ben chiaro nella mente.

Redazione

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