di Davide Cassese
Il tira e molla tra Grecia e istituzioni europee è destinato a perdurare. Non foss’altro per la distanza incolmabile che c’è tra le due posizioni: da un lato il governo greco guidato dal premier Tsipras, leader del partito di sinistra radicale Syriza, dall’altro Fmi, Commissione europea e Bce. Da mesi vanno avanti le trattative che mirano a cercare un’intesa tra la Grecia e i creditori. Il tempo passa e l’aria si fa sempre più pesante, sia tra le parti in gioco – che ritengono spetti sempre all’altro fare qualche passo in più e dare segnali di distensione – sia nei mercati, che palesano sfiducia relativamente agli esiti delle contrattazioni. L’ex Troika, formata da BCE, Commissione Europea, FMI, prescrive politiche restrittive sul fronte lavoro e pensioni, proponendo un aumento dell aliquota IVA. La Grecia, dal canto suo, non vuole cedere a tali politiche – che, negli anni passati, l’hanno ridotta in uno stato comatoso – e, forte del consenso elettorale ricevuto, propone ristrutturazioni del debito, mantenimento dell’attuale sistema pensionistico e concessioni da parte dei creditori. In un rapporto tra privati, in cui un creditore presta del denaro ad un debitore, quest’ultimo sarà obbligato a restituire quanto ricevuto più una quota interessi. Se tale situazione non si verificasse, il debitore, sprovvisto di tale possibilità, deve dichiarare fallimento. Nel privato. Nel caso in questione, tale dinamica risulta essere di non facile applicazione. Per tre motivi. Il primo è rappresentato dal fatto che un’accettazione dei diktat imposti dall’ex Troika rappresenterebbe il tradimento delle promesse elettorali fatte da Syriza in campagna elettorale; il secondo è rappresentato dalle conseguenze negative relative all’integrità interna del partito che, specie nelle sue ali più radicali, potrebbe silurare in Parlamento Syriza; la terza, drammatica e devastante, è relativa alle conseguenze relative all’impossibilità di onorare il debito. Il primo e il terzo scenario prefigurerebbero conseguenze – seppure in misura sensibilmente diversa – politico-sociali. Il secondo scenario potrebbe essere meno forte, vista la possibilità di ricorrere ad elezioni anticipate con la speranza di rafforzare la posizione di Syriza. Sebbene l’evidente difficoltà di cavarsi dall’impaccio agevolmente – rappresentata da una chiusura dei negoziati che vedrebbe nuovi aiuti alla Grecia a fronte di riforme, pervasive e potenzialmente recessive, sullo stato sociale e sulle pensioni – e visto l’oltranzismo (discutibile) manifestato voracemente da entrambe le parti, il fallimento della Grecia non avrebbe grandi probabilità di manifestarsi. Vediamo perchè.
Se la Grecia fallisse dovrebbe uscire dall’Euro, adottare una nuova valuta e far fronte ai tumulti di piazza e alle annesse conseguenze sociali. La possibile Grexit – cioè l’uscita della Grecia dell’Euro – determinerebbe la corsa agli sportelli da parte dei correntisti e il probabile blocco dei capitali da parte del governo. Il ritiro dei depositi determinerebbe la chiusura delle banche sia per mancanza di denaro, sia per l’impossibilità di accedere ai finanziamenti della BCE – dato l’abbandono della divisa unica. L’abbandono della moneta unica avrebbe i seguenti effetti: porterebbe alla conversione dell’euro in dracma – che si svaluterà pesantemente – e se da un lato causerà l’aumento delle esportazioni e del turismo, dall’altra avrà effetti negativi sulle importazioni, visto l’elevato ricorso all’import da parte della Grecia, sulla svalutazione del patrimonio e sull’aumento vertiginoso dell’inflazione che (tradotto) significherebbe tracollo dell’economia data la pesante manna che cade sul potere d’acquisto delle famiglie. L’impossibilità di accedere a prestiti dal mercato, se non a tassi terribilmente alti, porterà il governo greco ad aumentare l’imposizione fiscale e a operare pesanti tagli alla spesa sociale con conseguenze devastanti sulla vita delle persone. Il paese, quindi, cadrebbe in una nuova recessione raggiungendo livelli di disoccupazione e povertà ragguardevoli.
Non è da escludere, allora, che alcuni Stati – lontani dalla sfera europea ed americana – possano contribuire al risanamento delle finanze della Grecia attirando questa alla loro calamita, determinando delle significative conseguenze geo-politiche . Per tale motivo gli USA, pur esortando le parti a raggiungere un accordo sostenibile, non forzano la mano. Dati questi scenari tendenzialmente apocalittici, si troverà il modo di evitare che la Grecia esca dall’Euro, poiché una tale soluzione (finale) rappresenterebbe il fallimento del progetto europeo, sublimato dall’adozione di un’unica moneta che favorisse un processo di liberalizzazione degli scambi e una maggiore integrazione politica ed economica, segnando di fatto la reversibilità dell’Euro. Il fallimento del progetto Europa, osteggiato da molti ma figlio di anni di politiche orientate alla convergenza e alla coesione, aprirebbe la porta a possibili imitazioni della Grecia da parte di altri stati membri in cui, sempre più, va annidandosi una profonda concezione anti europeista portata avanti con vigore e non senza qualche punta di populismo da diversi partiti, come Podemos, M5S, Lega nord (mio Dio!), e Front National compromettendo la stabilità dei governi e la lieve ripresa che li caratterizza.
E questo non ce lo possiamo permettere.