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L'opera di Robert Indiana, The Sweet Mystery esposta alla Biennale di Venezia

Robert Indiana: The Sweet Mistery

Presentata come evento collaterale della 60° Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, si è conclusa il 24 novembre l’esposizione in onore dell'artista statunitense.

3 minuti di lettura

Si è conclusa da poco la più importante esposizione mai realizzata in Italia in onore di Robert Indiana. La retrospettiva che ha ripercorso oltre cinquant’anni dell’ attività artistica del celebre autore di LOVE si è svolta nello spazio espositivo delle Procuratie Vecchie.

Aperte al pubblico per la prima volta in 500 anni, sono state recentemente restaurate dall’architetto David Chipperfield, vincitore del Premio Pritzker nel 2023. Nelle stanze, che si affacciano proprio su Piazza San Marco, è stato possibile ammirare la mostra a cura di Matthew Lyons e organizzata da Yorkshire Sculpture Park con il supporto della Robert Indiana Legacy Initiative.

Il dolce mistero di Robert Indiana

Presentata come evento collaterale della 60° Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, Robert Indiana: The Sweet Mistery è stata un’occasione per riflettere sulla produzione artistica del celebre esponente della Pop Art. All’inizio del percorso, le opere che attiravano maggiormente l’attenzione erano le composizioni, create con scarti di legno e oggetti metallici che risalgono alla fase giovanile dell’artista. Negli anni Sessanta realizzò elementi denominati erme, che richiamano quelli che nell’antica Grecia erano i segnali stradali in pietra scolpita dedicati al dio Ermes. Le sculture, adornate da grafiche dai colori vivaci, hanno anticipato ciò che lo spettatore ha trovato proseguendo lungo il percorso espositivo.

Cuore di questa esposizione sono stati quindi numeri come gli Exploding Numbers e parole brevi come “love” “eat” o “die”. Queste, sono state riproposte anche sotto forma di sculture o installazioni luminose, come Electric American Dream, situata nella nona e ultima sala.

La Biennale Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere ha trattato temi come razzismo e xenofobia, attraverso un dialogo tra storia e contemporaneità, passato e presente, un approccio affine alla poetica di Robert Indiana. La mostra alle Procuratie Vecchie, ha esplorato temi legati alla spiritualità, all’identità e alla condizione umana, elementi centrali per comprendere l’artista. Riferendosi al titolo dell’opera Sweet Mystery, che ha dato il nome alla mostra, scrisse infatti:

The Sweet Mystery: life and death. The hereness and nonhereness. The words: among my first cautious uses of them on canvas, here muted and restrained. The Sweet Mystery: song breaking through the darkness.

Il dolce mistero: vita e morte. La presenza e l’assenza. Le parole: tra i miei primi usi cauti di esse sulla tela, qui attenuate e contenute. Il dolce mistero: il canto che irrompe nell’oscurità.

Inoltre, la Biennale si è focalizzata sulle figure marginali del contemporaneo. Attraverso artisti queer, outsider, indigeni e autodidatti, è emerso come il loro lavoro rappresenti una resistenza ai canoni dominanti. Le opere di Robert Indiana, da questo punto di vista, sembrano riflettere temi simili. Già nella sua epoca, l’artista affrontava questioni di identità queer, appartenenza e alienazione sia personale che culturale, partendo da un approccio autobiografico.

Ad esempio, Robert Indiana reinterpretò il proprio nome e le proprie origini per costruire un’identità artistica, un parallelismo con il tema dello straniero che si reinventa, uno dei temi centrali in Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere, che si è concentrata sulla parola straniero sia dal punto di vista metaforico che reale. 

Da Clark a Indiana

All’anagrafe Robert Clark, Robert Indiana è una delle figure di spicco dell’arte americana degli anni Sessanta. Nato nel 1928 a New Castle, nell’Indiana, trascorre un’infanzia segnata dai disagi economici causati dalla Grande Depressione. Vive in diverse città del Midwest, e in seguito studia al Art Institute of Chicago, dove si laurea nel 1953. Prosegue la sua formazione al Edinburgh College of Art in Scozia. Nel 1954 si trasferisce a New York, dove entra in contatto con una vivace comunità artistica. Inizia a creare opere che combinano assemblaggi di materiali di recupero e elementi grafici e in questo periodo, adotta il nome Robert Indiana come omaggio alla sua città natale.

Nella sua carriera, esplora l’identità americana attraverso un linguaggio tutto suo, mescolando l’astrazione a delle parole brevi. Ciò che lo distingue dai suoi colleghi della Pop Art è il costante impegno verso questioni sociali e politiche, che integra nelle sue opere insieme a profondi riferimenti, oltre che personali, storici e letterari. Si ispira alle riflessioni sul rapporto tra sé, anima e natura presenti negli scritti di Walt Whitman e Herman Melville e agli esperimenti sul linguaggio circolare di Gertrude Stein. Questi segnano la sua visione artistica, mentre Hart Crane, poeta degli anni Venti, rappresenta per Robert Indiana un modello su come intrecciare il percorso di una nazione con i cambiamenti del XX secolo.

E così nella sua arte lettere e parole si trasformano in elementi grafici potenti, capaci di evocare molteplici significati attraverso scelte linguistiche brevi e dirette. Queste però, sono cariche di stratificazioni interpretative che hanno dato vita ad opere che ancora oggi dialogano con il presente

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Dorasia Ippolito

Curiosa, iperattiva e appassionata d'arte, classe 2002, studentessa fuorisede di scenografia all'Accademia di Belle Arti di Venezia giornalmente tormentata dalla domanda "ma sei pugliese?".

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