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25 anni fa nasceva il mito degli 883

883, una storia che parla di amicizia e di un successo a dir poco inaspettato. Max Pezzali e Mauro Repetto, il duo che 25 anni fa ha dato vita a un vero e proprio fenomeno musicale e di costume.

7 minuti di lettura

Venticinque anni fa, il 10 febbraio 1992, veniva pubblicato Hanno ucciso l’uomo ragno, l’album d’esordio per Max Pezzali e Mauro Repetto.

Due giovani originari di Pavia, compagni di banco al liceo, con tanta passione per la musica e la voglia di scrivere canzoni. Comincia così la storia degli 883, una storia che parla di amicizia, di un successo a dir poco inaspettato che ha dato vita a un vero e proprio fenomeno musicale e di costume, tanto importante da contagiare diverse generazioni, nonostante il sodalizio artistico sia durato il tempo di raggiungere l’apice con Nord Sud Ovest Est.

Certo non tutti amavano gli 883, la critica era costantemente divisa tra chi li osannava e chi li considerava «troppo commerciali», la voce personalissima e nasale di Max non piace a tutti, i testi ad alcuni sembrano banali, i brani diventavano dei tormentoni, ci si chiedeva sul ruolo di Repetto, che nei live era quello che saltava da una parte all’altra del palco, senza apparentemente apportare alcunché. E il fatto poi che uscì definitivamente dal gruppo alimentò continue leggende metropolitane.

Sta di fatto che la favola – seppur breve – degli 883 ha assunto i contorni del mito che rimane nelle fondamenta della carriera solista di Max Pezzali.

Al primo disco erano arrivati dopo alcune esperienze già dalla fine degli anni ’80. Furono ospiti nel 1989 della trasmissione di Jovanotti, in cui cantarono canzoni rap in inglese, sotto il nome di I Pop. Nel 1991 avevano partecipato al Festival di Castrocaro con il brano Non me la menare, incluso poi nel disco, come prima traccia ed ultima in versione gospel.

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Già con questa canzone, saltava agli occhi, e alle orecchie, che Max e Mauro «non le mandavano a dire». Questo era il loro linguaggio, scrivevano di se stessi, del gruppo di amici, delle storie d’amore, vissute o sognate, delle loro vicende con lo slang giovanile, semplice e diretto, condito di orgoglio e di spiccata autoironia.

883

Non me la menare parla di conflitti all’interno della coppia, un reciproco scambio di accuse tra fidanzati, a colpi di rock e rap. Invece, l’eterno scontro tra genitori e figli è al centro del secondo brano dell’album, S’inkazza, con il suo ritornello «Questa casa non è un albergo…», che di per sé dice tutto.

Se 6/1/sfigato prende in giro il «fighetto» che si atteggia e si finge ciò che non è, Te la tiri è la sua versione al femminile, puntando il dito su quelle ragazze che si credono da copertina di Vogue e guardano tutti e tutte dall’alto in basso. Entrambe le canzoni in salsa hip hop.

Arriviamo alla title track, così fumettistica, è ormai un cult, anche se raffigura la metafora della società, come svelato dallo stesso Pezzali: «L’Uomo Ragno rappresentava la purezza adolescenziale ammazzata dal mondo degli adulti». Quindi non è così immediato interpretarne il significato, risultando quasi essere l’unico pezzo che paradossalmente «stona» rispetto al filo conduttore dell’album e cozza con l’immediatezza testuale degli altri brani. Con questa canzone, gli 883 parteciparono al Festivalbar e si aggiudicarono il premio come «Rivelazione dell’anno» a Vota la voce.

Con un deca è considerata una delle canzoni più riuscite del gruppo, un connubio perfetto tra melodia e testo, incentrato sulla realtà della vita in periferia, che sta un po’ stretta ai giovani che sognano «in grande» per sfuggirle. La musica passa dal lento di una chitarra acustica all’energia del rock, ma pervaso da malinconia e con la piacevole presenza di un sax in perfetto stile anni ’80.

Si ritorna a un sound più ritmato con Jolly Blue, dedicato alla vecchia sala giochi in cui Max e Mauro passavano molte ore a divertirsi con gli amici senza alcuna preoccupazione, quasi fosse una seconda casa.

Lasciati toccare, ancora sonorità hip hop, ci porta in una discoteca a seguire i pensieri non proprio innocenti di chi è stato colpito da una bellezza femminile in pista.

È proprio per questo che gli 883 sono diventati un mito: «vedevi» esattamente quello che cantavano, le immagini ti passavano davanti agli occhi come se vedessi un film, una foto. Nei loro brani, che erano meri racconti di vita, ognuno poteva sempre immedesimarsi e ritrovare qualcosa di sé.

E mostravano uno spaccato della provincia italiana in modo decisamente nuovo, raccontando quel mondo giovanile, in bilico costante tra spensieratezza e disillusione, senza giudicarlo ma facendolo diventare protagonista, con i suoi cliché, con la sua moda, con la sua musica rock contaminata dall’hip hop e dal rap. Gli 883 avevano creato una sorta di manifesto sonoro degli anni ’90, un inno che con fierezza i ragazzi di quelle generazioni – e non solo – avrebbero fatto proprio, nella ricerca dell’autoaffermazione.

Mi sono accorto proprio adesso dell’importanza che ha avuto questo disco nella vita di molti, e poi in generale anche nell’evoluzione del gusto della musica italiana. All’epoca per noi era semplicemente l’album di esordio e comunque lo vedevamo ancora tacciato di essere commerciale.

(Max Pezzali)

Nel 2012, a 20 anni dall’uscita di Hanno ucciso l’uomo ragno, Max Pezzali ha realizzato una riedizione rap dell’album con la collaborazione di Club Dogo, Entics, Two Fingerz, Fedez, Emis Killa, Ensi, Baby K, Dargen D’Amico e J-Ax, il quale è anche co-autore dell’unico inedito del disco, Sempre noi.

883

Hanno ucciso l’uomo ragno 2012 è balzato subito in vetta alla classifica iTunes ed è stato certificato disco d’oro alla fine di quell’anno.

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Lorena Nasi

Grafica pubblicitaria da 20 anni per un incidente di percorso, illustratrice autodidatta, malata di fotografia, infima microstocker, maniaca compulsiva della scrittura. Sta cercando ancora di capire quale cosa le riesca peggio. Ama la cultura e l'arte in tutte le sue forme e tenta continuamente di contagiare il prossimo con questa follia.

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