Il nostro percorso attraverso uno dei temi più importanti dell’arte cristiana – la Pietà – continua. Nella quinta tappa del nostro viaggio incontreremo grandi artisti come Mantegna, Raffaello e, finalmente, Michelangelo.
ANDREA MANTEGNA, Cristo morto, 68×81, tempera su tavola, 1470 ca., Milano, Pinacoteca di Brera
Anche chiamato Cristo in scurto per sottolineare lo scorcio prospettico con cui Mantegna ha dipinto il corpo sdraiato di Cristo al sepolcro. Lo scurto è un particolare tipo di prospettiva che in effetti accorcia le distanze ma che Mantegna in questo caso corregge perché se avesse davvero riproposto la figura di Cristo con una prospettiva esatta, quindi con un punto di fuga sulla linea dell’orizzonte in corrispondenza della testa in questo caso, i piedi in primo piano sarebbero risultati troppo grandi e la testa troppo piccola. Per cui corregge la prospettiva e le linee della prospettiva matematica, che dovrebbero convergere verso la testa di Cristo, le rende quasi parallele. E quindi i piedi hanno proporzioni più corrette, così come le mani e la testa fortemente scorciata.
L’inquadratura è molto ravvicinata e dà anche in questo caso un effetto cronotistico: è come se noi ci trovassimo lì ai piedi di Cristo insieme a Maria e San Giovanni. Da quel punto di vista così particolare, noi riusciamo a percorrere con lo sguardo tutto il corpo di Cristo. Ed è attraverso quella visione che noi riusciamo a cogliere, in quel corpo morto, il dolore che deve avere patito, e cogliamo quindi le ferite ancora aperte ma già pulite provocate dai chiodi, la posizione delle mani per la slogatura dei polsi, il viso rilassato nella morte che si rivolge verso la luce che arriva dall’uscio del sepolcro.
E questa posizione è ovviamente simbolica: la luce allude alla rinascita, alla resurrezione. Elemento di crudo realismo, nell’angolo in alto nella lastra tombale, c’è il barattolo che doveva contenere gli unguenti, gli oli profumati per la pulizia del corpo prima della sepoltura. Dall’altra parte, questo profilo che viene avanti che colpisce la nostra attenzione è quello di Maria. Una donna anziana con le rughe, le palpebre gonfie e rosse per il pianto, e ancora le lacrime che scendono sulla guancia, e le labbra contratte in una smorfia di dolore. È il pianto disperato quando quasi ci si soffoca, e con una mano e il fazzoletto si asciuga gli occhi. Vicino a lei, quel profilo appena rientrante nell’inquadratura è Giovanni che in questo caso piange come lei, con la bocca aperta, una mimica e una gestualità molto vera e molto umana.
RAFFAELLO, Crocifissione Gavari, 279×166, olio su tavola, 1502-1503, Londra, National Gallery
Diversissimo Raffaello in questa pala di altare, propone un altro modo per trattare la scena della crocifissione, e anche per raffigurare la partecipazione di chi rimane ai piedi della croce. C’è una giovanissima Maria, idealizzata, molto garbata ed elegante. Raffaello è definito il pittore della grazia e questo lo si vede nella gestualità delle sue figure ma anche nella linearità, nella gradevolezza del suo disegno. Sono tutti davvero molto composti, questa è una scena di contemplazione e non è una scena drammatica. Gli angeli raccolgono con i calici il sangue che esce dalle ferite delle mani, ma è tutto molto studiato, molto razionale e simbolico.
MICHELANGELO, Pietà, 1497-99, 174×195, marmo di Carrara, San Pietro in Vaticano
Questa è l’immagine più nota della Pietà, una delle quattro Pietà che Michelangelo realizza nella sua lunga carriera, la prima composta all’età di soli 25 anni quando si trova a Roma e viene ingaggiato dal cardinale francese Jean de Bilhères per rappresentare un’iconografia che in Italia non era ancora apparsa e che aveva origini nordiche. Soggetto che in Germania si chiamava Vesperbild, “l’immagine del Vespro”: l’immagine di Maria che tiene in grembo il figlio morto era l’immagine scolpita, tridimensionale, a cui si rivolgevano le preghiere all’interno dei conventi. Questa scena non è altro che una sintesi figurativa del compianto del Cristo Morto, per cui si escludono tutte le altre comparse e l’attenzione si concentra esclusivamente sul rapporto tra madre e figlio. Maria è una figura fortemente idealizzata perché è giovanissima.
Michelangelo era un appassionato cultore di Dante e in questo caso traduce nel marmo una terzina dantesca che appartiene all’ultimo Canto del Paradiso, quella in cui San Bernardo intona una preghiera a Maria e si rivolge a lei con queste parole che sembrano una contraddizione, ma che traducono in realtà il dogma dell’Immacolata Concezione e il rapporto tra Cristo e Maria: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura…». Quindi la rappresenta così: madre, ma anche casta e pura. Figlia del tuo stesso figlio, ed è per questo che la rende ancora più giovane del Cristo che tiene fra le sue braccia. Umile nella posa e nella fisicità ma anche alta perché madre di Dio.
È un concetto reso in maniera credibile nella bellezza del marmo. C’è del realismo nelle pieghe dell’abito di Maria, ha un vestito ampissimo, molto più grande rispetto alla sua taglia, soprattutto sotto il corpo di Cristo. Questo vistoso panneggio riempie un vuoto compositivo. Se non ci fosse, sotto il Cristo si creerebbe un’ombra pesante che disturberebbe la visione dell’opera. Naturalmente c’è il braccio della morte, che pende verso il basso e si impiglia con le dita nelle pieghe dell’abito.
Pietà Roetgen, legno policromo, metà XIV sec., Bonn
Questo è un modello di riferimento, una delle tante sculture del Vesperbild che venivano prodotte in Germania, una scultura in legno di piccole dimensioni dipinto. Il soggetto è molto più espressionista ma di fatto la figura di Maria che tiene fra le braccia il Cristo morto con la corona di spine.
MICHELANGELO, Pietà Rondanini, h.195 cm, marmo, 1552-64, Milano, Castello Sforzesco
Alla fine della sua carriera e della sua vita, Michelangelo torna a trattare il tema della Pietà per la quarta volta con la Pietà Rondanini, scultura oggettivamente non finita perché muore prima di poterla terminare. Ci ha lavorato per tanti anni, l’ha ripensata più volte perché non era mai soddisfatto. Lo dimostra il fatto che, vicino al corpo esangue di Cristo, c’è il moncherino di un braccio già ben modellato.
Per cui all’inizio Michelangelo aveva studiato un’altra composizione, forse più tradizionale, e poi ha scalpellato il marmo per fare uscire questa Pietà assolutamente moderna e nuova come concezione. Oggi potremmo apprezzarla proprio per quel non finito che probabilmente non era voluto ma che di fatto ci dà l’idea di una fusione dei due corpi. Non sono ancora completamente modellati, quindi sembra che il corpo di Cristo esca e si modelli dal corpo di Maria, in una fusione empatica tra i due personaggi. Insolitamente Maria sostiene Gesù ma sembra non fare nessuna fatica. Lo solleva come se quel corpo già fosse anima.
A lezione di Storia dell’Arte con la prof.ssa Daniela Olivieri • Cengio (SV), 3ª Stagione Culturale
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