Giovedì 19 novembre 2015 a Verona si è consumato uno di quei “delitti perfetti” di cui, di solito, si sente solamente nei film. Ed in effetti, qualche anno fa, un film su questo era stato girato proprio da Giuseppe Tornatore, con un meraviglioso Geoffrey Rush protagonista (La migliore offerta, ndr). Poco prima della chiusura del Museo Civico di Castelvecchio, infatti, tre uomini armati e a volto coperto hanno neutralizzato un vigilante e sono fuggiti con 17 quadri di immenso valore (per conoscere meglio le dinamiche, vedi news). Per non lasciare le opere vittime di tal misfatto completamente all’oscuro dell’eventuale caveau in cui potrebbero essere finite, abbiamo deciso di dedicare loro, in questi giorni, degli speciali approfondimenti.
Andrea Mantegna si potrebbe definire uno dei “fiori all’occhiello” del Veneto e di Verona, dove è custodita Pala di San Zeno, considerata uno dei capolavori del Rinascimento. Mantegna viene considerato pittore dei contrasti, definito da Ruskin «freddo, incisivo, analitico». Nella sua personalità artistica Goethe riconobbe la pratica di ritrovare la forma attraverso lo studio dell’antico e di renderla viva mediante l’osservazione della natura. Sicuramente egli fu uno dei più influenti volti all’interno del panorama rinascimentale ed umanistico italiano: i suoi studi sulla figura umana, sull’uso della luce e sulla prospettiva sono, in parte, figli del contesto di fermento culturale antropocentrico e di amore per le proporzioni, che aveva fulcro in Firenze e, in parte, frutti del personale genio artistico del pittore, che influenzeranno poi l’arte a venire. Scrive Maria Bellonci:
Andrea Mantegna è come un solido geometrico di cristallo; ciascuna faccia risponde rigorosamente a una regola numerica; ma in realtà i numeri ci sfuggono negli scatti delle molteplici rifrangenze.
Il quadro prima custodito e poi sottratto al Museo di Castelvecchio (VR) porta come titolo Sacra Famiglia e una santa. Datato al 1497-1505 circa, tempera su tela, fa parte delle opere tarde dell’artista, come si può notare dall’andamento geometrico delle pieghe del panneggio delle vesti della Madonna, lontano dal panneggio bagnato, di influenza donatelliana, tipico delle opere giovanili del Mantegna. Al centro del dipinto si osservano le figure della Vergine e del Bambino seduto in piedi sulle cosce della madre, mentre le avvolge un braccio attorno al collo.
Le forme sono plastiche e sintetiche, evidenziate da netti passaggi di luce, usata per creare volumi geometrici pieni. Se da un lato l’uso della luce può avere valori luministici, che rimandano alla sfera del sacro e dell’allegoria medioevale, dall’altro essa, abbinata alla sapiente abilità geometrica, restituisce alle due figure sacre una piena parvenza umana: esse sono anche, e soprattutto, carne e corpi. Il profondo umanesimo del Mantegna è evidenziato anche da un altro particolare: le aureole sono appena accennate, con una sfumatissima pennellata gialla. A definire la santità della famiglia è piuttosto, come già detto, l’uso della luce, l’atteggiamento e l’atmosfera che il pittore sa ispirare nel quadro, quasi a dargli un’anima. La Madonna è completamente raccolta in un atteggiamento materno, con lo sguardo basso, forse simbolo di quell’umiltà che la caratterizza, forse solo per controllare i passi malfermi del Bambino (oppure entrambe le cose). Non è la giovane e serena Maria delle raffigurazioni precedenti: appare qui quasi più matura e con un velo di tristezza.
La raffigurazione di San Giuseppe, nell’intensità espressiva dello sguardo, è quasi la prefigurazione al successivo Ecce Homo, nel suo guardare il cielo quasi con mesta interrogazione; inoltre, per la potenza del ritratto, rimanda all’abilità del pittore in questo genere, così spesso lodata dai contemporanei.
Rimane senza identità la figura della Santa, non avendo essa gli usuali segni e simboli identificativi.
Infine basta osservare il quadro per poter notare il rivoluzionario uso dello spazio tipico del Mantegna: i quattro volti si stagliano su fondo nero, non ci sono paesaggi, e le figure laterali non sono forzatamente rappresentate nella loro interezza, ma tagliate ai lati, quasi fosse una moderna fotografia.
L’atmosfera pare essere differente da quella dell’altra Sacra Famiglia (Sacra Famiglia con i santi Giovanni Battista ed Elisabetta). Quest’ultima appare più lieta e serena, rispetto al quadro di Castel Vecchio, dove lo sguardo abbassato della Madonna e quello di San Giuseppe quasi di supplica a Dio sembrano essere già volti al futuro di sacrificio e sofferenza. In fondo, il dipinto appartiene agli ultimi anni del pittore; ma forse, ancor più di questo, a conferire quel sentimento di tristezza ad un ritratto intimo estremamente umano, è la nostalgia del Mantegna per una famiglia che l’aveva dato in adozione a 10 anni all’odiato maestro Squarcione.
Costanza Motta
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