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Apollineo e dionisiaco in «Narciso e Boccadoro» di Hermann Hesse

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Lo scrittore Hermann Hesse pubblica nel 1930 Narciso e Boccadoro, romanzo che racconta la vita e l’amicizia tra Boccadoro, giovane studente in convento, e Narciso, maestro nel convento stesso e quasi coetaneo del primo. L’opera è ambientata in un sospeso Medioevo – non troppo definito da limiti temporali – e si muove all’interno della Germania, tra scuri boschi, castelli, monasteri e paesi.

HERMANN HESSE

I due protagonisti del romanzo racchiudono in sé l’eterna e inesauribile ricerca che Hesse compie in tutti i suoi scritti: la ricerca della propria identità e la definizione della propria individualità, in perfetta conciliazione con l’armonia del mondo esterno a se stessi. Come è possibile realizzarla? E anzi, prima di tutto: è possibile questa armonia? Riprendendo in toto la filosofia nietzscheana del contrasto tra apollineo e dionisiaco, lo scrittore crea i suoi Apollo e Dioniso, rispettivamente nelle figure di Narciso e Boccadoro.

Narciso è un giovane erudito, dotato di straordinario talento, che persino i suoi superiori temono. È un colosso, è il vero detentore del potere nel monastero. Egli controlla e governa tutto e tutti con le sue stupefacenti capacità. Incarna lo spirito della metafisica, la sua ricerca della Verità è condotta unicamente tramite l’ascesi. Egli è dotato dello stesso sguardo penetrante della Filosofia raffigurata da Boezio: sia fisicamente, per la loro bellezza e purezza, sia metaforicamente, i suoi occhi e il suo sguardo sono in grado di penetrare nei meandri dell’anima delle persone. Narciso è un ascoltatore in grado di comprendere a fondo l’indole di chi gli si presenta innanzi. Boccadoro invece è di indole inquieta e piena di turbamenti, possiede un temperamento artistico. È l’istinto e la passione. È lo spirito sensibile, colui che vive di emozioni, le amplifica e ne sente la violenza e anche la fugacità, in questo risiede tutto il suo dramma.

I due protagonisti si incontrano nel convento in cui Narciso è assistente di greco e Boccadoro viene mandato a studiare dal padre, che l’ha destinato alla carriera ecclesiastica per espiare le colpe che ha ereditato, per il solo fatto di esserne figlio, dalla madre, gitana e girovaga. Tra i due nascerà subito una profonda amicizia, sostanziata di stima, rispetto e ammirazione reciproca, oltre che da una fatale forza di attrazione, inevitabile tra opposti. Boccadoro fatica ad adattarsi alla vita del convento, non perché non sia abbastanza dotato intellettualmente, ma perché la sua indole non ammette il rigore dell’ascesi, nonostante lui voglia a tutti i costi imitare la sua figura di riferimento: l’amico Narciso. La verità gli verrà rivelata da Narciso stesso, il quale, svelandogli senza alcuna delicatezza di che sostanza sia la sua anima, lo incoraggerà a seguire la strada che lo porterà alla realizzazione di se stesso.

Io ti prendo sul serio quando sei Boccadoro. Ma tu non sei sempre Boccadoro. Io non mi auguro altro se non che tu divenga Boccadoro in tutto e per tutto. Tu non sei un erudito, tu non sei un monaco… per far un erudito ed un monaco basta una stoffa meno preziosa della tua.

(…)

Le nature come la tua, dotate di sensi forti e delicati, gli ispirati, i sognatori, i poeti, gli amanti sono quasi sempre superiori a noi uomini di pensiero. La vostra origine è materna. Voi vivete nella pienezza, a voi è data la forza dell’amore e della esperienza viva.

Da questo momento in poi il protagonista della storia sarà il solo Boccadoro, il quale intraprende il suo pellegrinaggio mosso innanzitutto dalla figura della Madre. Ma non si deve pensare che sia Boccadoro il motore del romanzo: un primo motore è proprio la madre, prima il ricordo della madre naturale che il ragazzo custodisce gelosamente e insegue come miraggio, ma che nel corso del romanzo si trasfigura prima nella Madonna e infine nella Madre Primigenia, la Natura, della cui sostanza l’animo di Boccadoro è del tutto formato: sangue, terra, passioni, gioie, violenze. Sono queste le esperienze che egli compirà lungo il suo cammino. In primis l’amore e la carne, nella lunga serie di donne di cui è costellato il viaggio di Boccadoro, amori tutti diversi e in ciascuno del quale cercherà proprio una parte di quella madre perduta, per poi ritrovarle tutte nel volto di Maria. Infine, cercando una bellezza che non è mai essenza, decide di sublimare tutte le sue imperfette esperienze nell’arte, realizzando la profezia di Narciso. Boccadoro è il mezzo di cui si serve l’autore per esprimere il dissidio fra spiritualità e mondanità, fra eros e logos. L’unico tratto del suo carattere che emerge con energica chiarezza è la sua incertezza psicologica che lo porta a condurre continuamente una vita da vagabondo. È Narciso, allora, il vero motore della vicenda. Da Narciso l’azione parte e a Narciso essa torna. Infatti, alla fine delle sue peregrinazioni, Boccadoro torna nel convento tra le braccia dell’amico, quasi con la tacita certezza che lui sarebbe sempre stato ad accoglierlo. Ma Boccadoro era tornato da Narciso ancora prima, nel momento in cui realizza l’acmé della sua esistenza: la scultura dell’Apostolo Giovanni, che non a caso non è altro che un autoritratto dell’amico Narciso.

narciso e boccadoro

All’interno del romanzo si dipana un filo rosso che acquisisce il suo significato ultimo nel momento del ricongiungersi di Yhin e Yhang: Lo Spirito, Narciso, trae dall’amico Boccadoro, la pienezza della Vita e dell’Amore, che aveva completamente dimenticato negli anni in cui egli era stato lontano dal convento, vivendo di sola filosofia. Boccadoro, l’eterno ragazzo viene guidato dall’ascetico abate alla tranquillità interiore, sapendo che entrambi per quanto lontani saranno, non smetteranno mai di essere uniti. È solo nella piena compartecipazione di sensi e spiriti che si ha l’ultima comprensione della Verità, e questo rende la morte serena, un semplice punto a una vita ben vissuta, avendo realizzato pienamente ciò che si era destinati – per natura non per provvidenza, Hesse è panteistico non certo cristiano – a essere.

Non è il nostro compito quello d’avvicinarci, così come non s’avvicinano fra loro il sole e la luna, o il mare e la terra. Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci l’uno nell’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e d’imparare a vedere e a rispettare nell’altro ciò ch’egli è: il nostro opposto e il nostro complemento. […] Lascia che te lo dica oggi quanto ti voglio bene, quanto tu sei stato sempre per me, come hai arricchito la mia vita. […] Tu non puoi misurare ciò che significhi. Significa la sorgente in un deserto, l’albero fiorito in un terreno selvaggio. A te solo debbo che il mio cuore non sia inaridito, che sia rimasto in me un punto accessibile alla grazia.

Costanza Motta

 


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Costanza Motta

Laureata triennale in Lettere (classiche), ora frequento un corso di laurea magistrale dal nome lungo e pretenzioso, riassumibile nel vecchio (e molto più fascinoso) "Lettere antiche".
Amo profondamente i libri, le storie, le favole e i miti. La mia più grande passione è il teatro ed infatti nella mia prossima vita sono sicura che mi dedicherò alla carriera da attrice. Per ora mi accontento di scrivere e comunicare in questo modo il mio desiderio di fare della fantasia e della bellezza da un lato, della cultura e della critica dall'altro, gli strumenti per cercare di costruire un'idea di mondo sempre migliore.

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