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“Flight”, storia di un pessimo eroe

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Sono film che nessuno di noi vorrebbe vedere prima (o durante) un volo, eppure ottengono sempre molto successo, probabilmente perché offrono il giusto mix di adrenalina e dramma: sono le pellicole sui disastri aerei, il più delle volte tratte da storie vere che il regista rielabora. Ne è un esempio l’ultima fatica di Clint Eastwood, Sully, che recensiremo nei prossimi giorni. Ma prima di Sully un altro regista di successo ha voluto dedicare un proprio lavoro alla tragedia di un aereo schiantatosi al suolo a causa di un guasto: il risultato è Flight, firmato nientemeno che da Robert Zemeckis.

Zemeckis è regista di pellicole di culto, tra cui l’indimenticabile trilogia di Ritorno al futuro, Chi ha incastrato Roger Rabbit?, La morte ti fa bella e, soprattutto, i due indimenticabili capolavori con protagonista Tom Hanks, Forrest Gump, che gli è valso l’Oscar come miglior regista nel 1995, e Cast Away. Quest’ultimo ha segnato l’inizio di una lunga pausa dai live action: dal 2004, infatti, Zemeckis si dedica alla tecnica detta performance capture e produce Polar Express, La leggenda di Beowful e A Christmas Carol. Forte di molti successi, il regista torna a dirigere attori in carne e ossa, tra cui un grande Denzel Washington, proprio con Flight nel 2012.

Flight dura 138 minuti, ma varrebbe la pena vederlo anche solo per i primi 30, quelli in cui si consuma il disastro aereo. L’inizio del film ci presenta subito il protagonista, William “Whip” Whitaker (Denzel Washington), che si risveglia in una stanza d’albergo accanto ad una bella ragazza e ha un volo alle 9 del mattino. Diverse bottiglie di alcolici sparse per la stanza, un paio di spinelli e una striscia di coca sul comodino ci fanno già capire che tipo è Whip e la mente, quasi in automatico, va all’esagerato Jordan Belfort interpretato da Di Caprio in The Wolf of Wall Street. Ma Whip non è uno spregiudicato broker newyorkese, bensì un comandante dell’aeronautica e il volo delle 9 del mattino non deve semplicemente prenderlo, ma pilotarlo.

Nessuno vorrebbe che il proprio aereo fosse pilotato da un comandante con problemi di alcol e droga, eppure Whip si dimostra straordinariamente capace e sicuro di sé. Affronta in modo impeccabile una serie di turbolenze causate dal maltempo, parla con gentilezza al suo secondo, alle hostess e ai passeggeri. E sono caratteristiche non gli mancano nemmeno nel momento più drammatico, quando l’aereo inizia a precipitare a causa di una serie di guasti. Con una grande padronanza di sé, Whip fa planare l’aereo in volo rovesciato e riesce a farlo atterrare, salvando 96 passeggeri su 102.

Flight

Al suo risveglio Whip viene salutato come un eroe e anche noi siamo costretti a riconoscerlo come tale, nostro malgrado. Questo donnaiolo, cocainomane, arrogante pilota è riuscito brillantemente a evitare un disastro e ci pone un problema: come è possibile che un personaggio così scorretto, così lontano dall’ideale dell’eroe sia effettivamente un eroe? Le vite salvate riscattano tutti i suoi vizi? E, se non fosse stato per i suoi vizi, quelle vite sarebbero state salvate?

Sono interrogativi interessanti, che il regista pone in modo molto preciso e che Washington – che ha guadagnato con questo film la sesta candidatura agli Oscar come miglior protagonista – interpreta magistralmente nella vicenda di un uomo intrappolato da quello che avrebbe potuto essere l’evento più straordinario di tutta la sua vita. Perché paradossalmente quell’atto di eroismo porta alla rivelazione del lato oscuro di Whip e mette in discussione non solo l’esatta dinamica dell’incidente, ma tutta la sua carriera. Mentre le autorità indagano, il protagonista porta avanti la propria vita nel tentativo di rimettersi sulla giusta via, cercando di lasciarsi alle spalle quell’aereo precipitato.

C’è da dire che verso la metà Flight scade un po’ nel cliché della dipendenza che è difficile da sconfiggere, dell’uomo che cerca la redenzione ma viene abbandonato da chi poteva aiutarlo. È forse per questo che una parte della critica lo ha bollato come un film eccessivamente buonista e politically correct. Ma un film con una pretesa di insegnamento morale, in genere, o finisce molto bene oppure molto male. Flight, invece, semplicemente finisce. Con un colpo di scena del tutto inaspettato, tra essere un irresponsabile alcolista o un eroico comandante, Whip sceglie una terza opzione: essere un uomo libero. Non c’è volontà di riscatto in questa sua scelta, ma solo il bisogno di gettare via, una volta per tutte, le maschere che gli sono state attribuite.

 

Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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