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Girlfriend in a coma

4 minuti di lettura

Girlfriend in a coma.

girlfriend in a comaSembra il titolo di una nuova serie tv americana, ma in realtà è un film documentario realizzato da Bill Emmott (ex direttore della rivista britannica The Economist) e Annalisa Piras (Corrispondente da Londra per l’Espresso), tripartito in maniera tale da ricordare la tripartizione Inferno-Purgatorio-Paradiso dell’opera dantesca. Si parla dell’Italia.

E’ davvero curiosa l’amarezza che si prova nel seguire l’associazione tra immagini e sonoro: un’Italia tanto bella quanto degradata e svilita.

L’attenzione si sposta velocemente da un risvolto sociale e politico all’altro, seguendo però il filo conduttore della crisi che dilania il nostro Paese in seguito al medioevo del berlusconismo. Viene opposta alla Mala Italia la Buona Italia, e tuttavia rimane anche l’ulteriore componente – potremmo dire purgatoriale – dell’Italia ignava.
Sono gli italiani a parlare. Italiani che semplicemente forniscono la loro propria testimonianza, e personalità emergenti all’interno della società che regalano allo spettatore il loro critico punto di vista sulla situazione italiana.
Mario Monti parla di iperpolarizzazione della società e della politica, e gli fa eco la Fornero ritenendo l’Italia un paese anche “economicamente frammentato”.
La voce di sottofondo, che dovrebbe essere quella di un Dante catapultato nell’Italia del XXI secolo, parla di una separazione netta tra nord e sud, una disparità tra sessi e tra generazioni.
Si affrontano temi quali il bistrattamento del sistema giudiziario e scolastico, secondo alcuni voluti dalla classe dirigente al fine di evitare la costituzione di una società pensante, piuttosto che la mercificazione del corpo femminile e l’immagine della donna promossa dai mass media.
Si vedono italiane in intimo che mostrano le curve con sguardi ammiccanti e un buffo atteggiamento da donne realizzate. Si parla di mafia e si ascoltano intercettazioni telefoniche. Si sentono gli urli di Sgarbi e della Mussolini, che solo e soltanto in questo contesto diventano il motivo di minore vergogna.
Ogni tanto il film si interrompe perché è lento a caricarsi – si trova su internet in streaming – e rimango indecisa davanti allo schermo se continuare a martoriarmi per l’attesa ma soprattutto per quello che devo vedere e sentire sul mio Paese tra un’attesa e l’altra.
Decido di continuare ad aspettare incoraggiata dagli interventi ottimistici di John Elkann, che esordisce con un “I am optimistic about Italy and I remain optimistic”  e di Carlo Petrini (fondatore di Slow Food) che mi dice che il termine “crisi” deriva dal greco e significa “passaggio”, e dunque potremmo vedere questa crisi come una grande opportunità – sempre che invece non si finisca nel baratro. Dettagli.
Travaglio aggancia la mia attenzione dicendo che il peccato principale degli italiani sia l’ignavia. E’ il più nascosto, quello che sembra “meno peccato”, il più facile da auto-assolvere. Anche Saviano definisce come “neocinico” l’atteggiamento degli italiani per cui l’italiano medio è incline al “Siamo tutti la solita schifezza, nessuno osi alzare lo sguardo e criticare”, che sfocerebbe nel contagioso atteggiamento della convinzione del “Tutti qui siamo comprabili”.
Ma è Umberto Eco ad essere lucido, asciutto, chiaro nella sua spiegazione: non ricerca le cause della crisi nel medioevo del berlusconismo, non lo ricerca negli ultimi decenni, ma scava in maniera più profonda. E dice: “La colpa più grande degli italiani è quella di non avere un senso dello Stato. Avevano uno Stato immenso, l’Antica Roma, che poi è crollata, e per 2000 anni il Paese è stato invaso e governato dagli stranieri. Quindi per gli italiani, lo Stato era il nemico. Erano gli altri, non i rappresentanti della comunità italiana. Inoltre, all’interno del Paese risiedeva un altro Stato, la Chiesa. E’ l’unico Paese in cui c’è un problema politico fondamentale: l’opposizione tra Chiesa e Stato”.
E’ vero. Il problema degli italiani è che la loro identità nazionale non esiste, potrebbe essere presunta. Sono stati messi insieme, così diversi, così in disaccordo, come un puzzle con pezzi incompatibili.
E così quello che ho realizzato è stato che noi italiani abbiamo insieme costruito soltanto una cosa: un ATTEGGIAMENTO DI BOICOTTAGGIO. L’atteggiamento mafioseggiante italiano, che è l’unica cosa che storicamente ci accomuna oltre alla passione per la pizza, è anche la cosa di cui più ci dobbiamo vergognare. E così gli onesti se ne vergognano, i disonesti ci sguazzano, i potenti lo esercitano clandestinamente (e poi nemmeno così tanto). Il fatto è che essere nati italiani è meno facile di essere nati inglesi, o tedeschi, o americani. Siamo nati in provetta, non dal coronamento di una passione.
E allora cosa dovremmo fare? Andare via dall’Italia? Rinnegarci? Odiarci? Tanto in questo Paese non funziona nulla, tanto tutti fregano, tanto, tanto, tanto… Ignavia. Questa è l’ignavia di cui parlava Travaglio.
Prima di gettare la spugna, forse alla nostra generazione conviene quantomeno provare a ricostruire dalle fondamenta, dalle basi, un’identità. Non si deve trattare di un’identificazione contro un avversario, e nemmeno di un’identificazione partitica e faziosa che metta gli uni contro gli altri.
Dovremmo trovare un’identità a partire da questo documentario. Dovremmo guardare questo documentario e chiederci se ci piace l’immagine che diamo e abbiamo di noi stessi. Dovremmo guardare uno qualsiasi dei film stranieri che ridicolizzano l’immagine dell’italiano medio.
Dovremmo iniziare ad auto-addestrarci all’onestà come si addestra un cucciolo a dare la zampa. L’onestà ripaga molto più che la disonestà, e il bocconcino, anche piccolo, che otterremo ogni volta che daremo la zampa sarà la nostra gratificazione. Un giorno, se realmente saremo un vero Paese, potremo sommare le gratificazioni.
Cerchiamo in noi l’amor proprio che ci faccia avere il coraggio di dire e credere veramente: “BASTA!”.
Svegliamo la nostra girlfriend dal coma. O meglio: svegliamoci dal coma.
Silvia Lazzaris

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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