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Il mercato non è innocente: verso un’etica per l’economia

5 minuti di lettura

Comprare una cella di categoria superiore, accedere a corsie privilegiate di car-pooling per gli automobilisti che viaggiano soli, avere i servizi di una madre surrogata indiana per portare a termine una gravidanza, acquistare il diritto di immigrare negli Stati Uniti, quello di sparare ad un rinoceronte in via di estinzione, ottenere il numero del proprio medico per poterlo contattare ventiquattro ore su ventiquattro, avere il diritto di emettere una quantità di CO2 nell’atmosfera sforando le soglie massime consentite dalla legge: per tutti questi servizi, e non solo, è possibile stabilire oggi giorno, almeno negli Stati Uniti, una tariffa, in una sorta di prezzario cui possono fare riferimento tutti coloro che sono interessati alla merce in vendita.

D’altra parte, per quelli che non possono permettersi simili comodità, o meglio, per tutti coloro che non possono permettersi nemmeno i beni di prima necessità, è possibile svendere il proprio corpo per guadagnare il denaro necessario: tatuandosi, ad esempio, una pubblicità sulla fronte, prestandosi a cavia umana per esperimenti, combattendo in qualche guerra per compagnie militari private, stando in fila per qualche lobbista, che vuole andare al Congresso, e in molti altri modi.

SandelCome emerge dagli esempi qui proposti, sembra che ormai quasi tutto sia in vendita. La pervasività dell’economia di mercato ha colpito ogni aspetto della vita quotidiana nella società contemporanea, rivoluzionando completamente gli stili di vita e le formae mentis delle persone. Secondo il filosofo americano Michael Sandel, il pensiero orientato dai valori di mercato si è esteso negli aspetti della vita tradizionalmente governati da norme non di mercato. Di fronte a simile mutamento, che non esitiamo a definire antropologico, dall’homo politicus all’homo oeconomicus, pare che nessuno abbia opposto resistenza, né si sia posto in modo critico. Il passaggio dall’avere un’economia di mercato ad essere una società di mercato è avvenuto, sostiene Sandel, senza che ci fosse la minima discussione. La stessa crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti nel 2007 e successivamente l’Europa, poteva essere la miccia scatenante un movimento di protesta e rivolta urbana contro un certo modello di società, ma non è stato così e il fallimento di movimenti, da Occupy Wall Street a Occupy London, ne sono stati la triste conferma.

Se dunque un dibatto non c’è stato e non c’è ancora oggi, sorge spontanea la domanda: perché preoccuparsi del fatto che siamo in una società in cui tutto è in vendita? A questa domanda la risposta di Michael Sandel è chiara e inequivocabile:

«Per due ragioni: una riguarda la disuguaglianza e l’altra riguarda la corruzione».

Nel primo caso, l’autore sostiene che questa società si fondi su una profonda diseguaglianza tra i cittadini, divisi ormai in due macro classi, i ricchi, da un lato, e i poveri, dall’altro. Nel secondo, la tesi è che un’economia siffatta, che si creda una scienza avalutativa ed estranea alla morale, non faccia altro che allontanare la morale stessa, mettendo quindi in discussione i valori che fondano la nostra società.

Di diseguaglianze economiche si è parlato a lungo e, purtroppo, sembra ancora maggioritario il pensiero per cui se ci sono diseguaglianze il demerito è di chi sta sotto, nella scala sociale. In questo articolo cercheremo allora di capire, sulla scia delle analisi di Sandel, se un potere illimitato dei mercati ponga o meno un problema di tipo morale.

La tesi del filosofo è che il mercato sia uno strumento, ma non uno strumento innocente – tesi che ricorda, giustamente, quelle epsresse da de Kerckhove e McLuhan riguardo alla comunicazione. I meccanismi di mercato, infatti, diventano norme di mercato, andando così a definire una ben specifica idea di vita in società.

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Il primo aspetto che Sandel prende in considerazione è la cosiddetta «economia del saltare la coda». Cosa significa che vi sia qualcuno che può pagare per avere una corsia preferenziale a Gardaland o all’aereoporto, che possa usufruire della corsia di car-pooling pur non portando con sé nessun passeggero oltre se stesso, che si possa vendere il proprio posto in fila al Congresso americano a qualche lobbista? Secondo i libertari, in questo tipo di pratiche non c’è alcun problema, laddove ciò avvenga tra soggetti che sottoscrivono volontariamente un certo accordo. Tuttavia, sottolinea Sandel, potremmo chiederci se sia giusto che al Congresso possano entrare ed assistere alle sedute solo coloro che hanno abbastanza soldi da pagare qualcuno che faccia la fila per loro. Potremmo anche domandarci se mettere in vendita le corsie di car-pooling rispecchi l’idea iniziale di promuovere una nuova forma di sharing economy con l’obiettivo di appoggiare la mobilità sostenibile e la condivisione dei mezzi di trasporto. Scrive Sandel:

«Spesso associamo la corruzione ai guadagni disonesti. Ma la corruzione non riguarda solo le mazzette e i pagamenti illeciti. Corrompere un bene, o una pratica sociale, significa degradarlo, valutarlo secondo parametri inferiori e inappropriati. In questo senso far pagare l’ingresso alle sedute del Congresso è una forma di corruzione».

Sandel prende poi in considerazione la cosiddetta economia degli incentivi. Si chiede, ad esempio, cosa significhi in termini di valori il fatto che si paghino donne, con problemi di tossicodipendenza o di alcolismo, per essere sterilizzate, oppure cosa implichi pagare dei bambini per ottenere maggiori prestazioni a scuola o gli insegnanti a seconda del risultato dei propri alunni.

Stando ad un approccio meramente economico alla vita, proprio dei neoliberisti, dovremmo considerare legittimo proporre denaro alle donne affinché si sterilizzino, ai bambini perché studino o ai fumatori perché smettano di fumare. Ma cosa implica tutto ciò dal punto di vista morale? Cosa significa che problemi morali siano risolti pagando un ammenda in denaro, una tariffa?

«Qual è la differenza tra sanzione pecuniaria e tariffa? Vale la pena riflettere sulla distinzione. Le sanzioni pecuniarie contemplano una disapprovazione morale, mentre le tariffe sono semplicemente prezzi che non implicano alcun giudizio morale. Quando imponiamo una sanzione pecuniaria a chi getta l’immondizia a terra, stiamo affermando che gettare l’immondizia per terra è sbagliato. Gettare una lattina di birra dal Grand Canyon non solo impone i costi per la pulizia, ma riflette una cattiva condotta che noi, come società, vogliamo scoraggiare. Supponiamo che la sanzione sia di 100 dollari che un ricco escursionista decida che vale la pensa avere la comodità di non doversi portare i vuoti fuori dal parco. Egli tratta la sanzione come tariffa».normal_ttip-eu_usa_santa_claude_e

Quello che mette bene in mostra Sandel è che un’economia degli incentivi e una trasformazione dell’uomo in homo oeconomicus hanno delle conseguenze morali piuttosto rilevanti. I valori su cui si fondano le nostre società vengono infatti completamente erosi. Concepire l’economia in questi termini significa non tanto rinunciare alla moralità quanto piuttosto fare traffico della moralità stessa. Rinunciare alle cosiddette norme non di mercato, vuol dire abbandonare ogni pretesa di vivere secondo un’idea di vita buona. In tal guisa, è utile pensare alle cosiddette barriere non tariffarie che regolamentano la qualità dei prodotti commerciabili in EU e pongono attenzione ai processi di produzione (vedi condizioni e diritti dei lavoratori etc.) e che rischierebbero di venire eliminate nel caso venga firmato il TTIP.

Scrive Sandel:

«Oggi la maggior parte dei nostri dibattiti pubblici è condotta in questi termini: si ha una contrapposizione tra quanti prediligono i mercati senza restrizioni e quanti sostengono che le scelte di mercato sono libere solo quando vengono fatte giocando alla pari, solo quando i termini della cooperazione sociale sono equi. Ma nessuna di queste due posizioni ci aiuta a spiegare qual è il problema di un mondo in cui il pensiero di mercato e le relazioni di mercato invadono ogni attività umana. Per descrivere cosa c’è di inquietante in questa situazione, abbiamo bisogno del vocabolario morale della corruzione e del degrado. E per parlare di corruzione e di degrado si deve fare appello, almeno implicitamente, a concezioni della vita buona».

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Francesco Corti

Dottorando presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano e collaboratore dell'eurodeputato Luigi Morgano. Mi interesso di teorie della democrazia, Unione Europea e politiche sociali nazionali e dell'Unione. Attivo politicamente nel PD dalla fondazione. Ho studiato e lavorato in Germania e in Belgio.

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