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Medea e i suoi figli
Le trame che si intrecciano sono tre: quella metateatrale dei giovani interpreti, la Medea di Sofocle e la storia di Amandine Moreau (storia vera di Geneviève Lhermitte), donna olandese che nel 2007 uccise i propri cinque figli prima di tentare di togliersi la vita, fallendo.
La tragedia classica è sia rappresentata nei monologhi tratti da essa, che raccontata con le parole della piccola narratrice. L’effetto è già devastante: le parole del testo classico in bocca a interpreti così giovani e spontanei si arricchisce di quell’assolutezza che un attore adulto non riuscirebbe a portare razionalmente nel testo.
Nella sua purezza è il fanciullo incarna l’archetipo. I bambini hanno idee molto più chiare sugli argomenti “adulti”, forse proprio perché non ci stanno ancora annegando dentro.
Milo Rau
La metodologia di Milo Rau è ineccepibile: il meccanismo metateatrale permette agli attori il giusto distacco dai fatti narrati e vissuti in scena, mentre il testo tragico astrae il così crudele fatto reale.
Attraverso l’alternarsi di scene di Sofocle, parole dei ragazzi e narrazione dei protagonisti reali della storia di Amandine si giunge al climax, all’irrappresentabile: alla violenza.
La violenza è già impensabile di per sé: una madre che uccide i propri figli. Qui non solo accade ciò, ma è una ragazza giovanissima che compie tale atto su altri coetanei.
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Davanti ai nostri occhi
Eppure a questo punto in sala avviene l’inaspettato: molti attorno a noi sospirano, sbadigliano, noi stessi ci distacchiamo completamente da quel pathos di cui eravamo partecipi poco prima. Vedere la violenza proiettata sul fondale nella sua verità e nella sua lunghezza ci riporta alla finzione. Siamo perfettamente consapevoli che quel momento è finto. Ovviamente non sta morendo nessun bambino davanti ai nostri occhi.
L’esplicitazione della violenza ci estranea da essa, e non ce lo si aspetterebbe. Riflettendoci però è proprio ciò che succede quando vediamo un film o qualsiasi altra opera di finzione. La consapevolezza della finzione ci porta interrompere la sospensione dell’incredulità, ma non senza una conseguenza positiva: la riflessione sull’atto di quella madre.
Lettura della realtà
Quando sentiamo il pianto di Giasone o il dolore di Medea per la sua sorte, piangiamo il dolore di chi è rimasto. Nel momento in cui vediamo l’azione reale ci rendiamo conto della forza disumana che la disperazione infonde nella donna, e non sappiamo cosa pensare.
Vedere i ragazzi compiere questo gesto mette in risalto l’evento successivo della scena: la riflessione sul futuro della generazione degli interpreti. «Noi siamo l’ultima generazione», dice la narratrice che spera che il mondo finisca dopo la sua morte.
Queste, secondo i ragazzi, sono storie di abbandono. Quindi sostengono che finché ci sarà ancora l’incontro dell’altro, la relazione, la speranza e l’amore, avremo una possibilità di salvezza. Sta a noi decidere se vivere con questi valori o meno.
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Medea’s children di Milo Rau
con Peter Seynaeve, Anna Matthys, Emma Van de Casteele, Jade Versluys, Gabriël El Houari, SanneDe Waele, Vik Neirinck.
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