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Quando, nella Bibbia,
l’amore sfida la natura

7 minuti di lettura

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Riceviamo e pubblichiamo il contributo di una nostra lettrice in merito alla rappresentazione dell’amore nella Bibbia, la quale in alcuni passaggi sembrerebbe rispecchiare l'”innaturale” dell’amore anziché la “naturalità” tanto vaneggiata in questi giorni.

Sarai è un nome che finisce in “i” e quando nel linguaggio ebraico un nome finisce in “i” si sta indicando una qualità che si possiede. Sarai per alcuni significa “litigiosa”, per altri semplicemente  “con il carattere forte”.

Cercando di porre ordine in questo diagramma di significati: Sarai è forza e volontà decisionale.

Sarai è figlia di Terach padre di Abram, uomo che decide di sposare nella città di Ur (odierna Tell el-Mukayyar, tra Nassiria e Baghdad) e che segue silenziosamente lungo il cammino prefisso dal Dio in cui credono e in cui vedono l’incarnazione dell’Amore. Questo Dio ha insegnato loro che amare significa fidarsi, Sarai è disposta a farlo, Abram dovrà prima capire cos’è l’amore, e in che termini questo si relaziona alle leggi della città e della natura.

Si incamminano verso Canaan poi successivamente ad oriente di Betel (Gen. 12) per poi ripartire verso Negheb. La carestia costringe Abram e Sarai a soggiornare in Egitto (Gen. 12,10).

Sarai ha un carattere forte ma porta una ferita nel cuore.

Nel soggiorno in Egitto è costretta a fingersi (in realtà neanche tanto) sorella di Abram per salvargli la vita. Sarai è una donna molto bella, e gli egiziani per averla avrebbero ucciso Abram. Fingono fino a che possono, poi la bugia viene a galla; Abram e Sarai vengono cacciati e decidono di risalire a Negheb per poi ritornare prima a Betel e poi di nuovo a Canaan ed è qui che il Signore promette ad Abram una discendenza.

Sarai ha una ferita nel cuore, la natura ha deciso al posto suo, Sarai non potrà essere mamma perché sterile.

Ma il carattere è forte, decide di attenersi alle usanze normative dell’epoca e propone ad Abram di unirsi con la sua schiava egizia Agar (significa per alcuni amarezza, sofferenza. Per altri semplicemente terra di passaggio) e così è. Nasce Ismaele, Abram diviene padre all’età di 86 anni.

All’età di 99 anni il Signore appare di nuovo ad Abram annunciandogli che sarebbe diventato padre di moltitudini di nazioni (Gen. 17,4) e gli cambia nome in Abramo (il cambio nome indica un nuovo progetto divino) e così anche Sarai in Sara (cambia il significato in Principessa, Signora).

Abramo ride forte (Gen. 17,17)… come può Sara diventare madre, sterile e ormai 99enne?

La nascita di Isacco cicatrizza la ferita nel cuore di Sara, un “sorriso ha fatto Dio per me” (Gen. 20, 6)

Sara 32 anni dopo la nascita di Isacco, all’età circa di 127 anni muore, con il sorriso che il suo Dio Amore le ha donato, nella città di Ebron.

Ecco, questa è la storia, resa più umana possibile, della matriarca Sara. Ed è proprio la Genesi, il primo libro del Pentateuco, a raccontare che l’amore sfida la natura fino all’inverosimile.

Questo racconto, questa allegoria, che sta ai vertici della creazione nella religione cristiana, non è certo l’unico a esprimere in tutta chiarezza il messaggio secondo il quale l’amore che Dio predica annienta le leggi della natura. La storia di Sara è seguita da quella di Rebecca di Paddan-Aram, moglie di Isacco (nonché figlia di Betuel uno degli otto figli di Nacor, fratello di Abramo) inizialmente sterile, ma il progetto divino, anche questa volta, è altro: “due nazioni sono nel tuo grembo e due popoli dalle tue viscere si separeranno” (Gen 25,23).

E ancora Rachele, figlia di Labano fratello di Rebecca, moglie di Giacobbe, riesce a portare avanti due gravidanze abbattendo i muri della sterilità.

Le matriarche che ho citato sono il segno che l’amore nella la bibbia è tutt’altro che inno alla “famiglia naturale” o “famiglia normale”. Normalità e naturalità tanto vaneggiate in questi giorni pre e post family day.  Nella Genesi l’amore è potenza creatrice (ricordiamo i paragrafi sulla  Creazione, Adamo ed Eva, Caino ed Abele, ecc.) ma si cristallizza in forza distruttrice che sradica l’uomo dalla sua condizione terrena, quindi limitata e vincolata dalle leggi biologiche.

Ma la portata rivoluzionaria di questo libro sta anche nella possibilità di immergere la maternità in un contesto che la vede come mero strumento per un progetto d’amore, voluto e disegnato da un’altra persona. In altre parole una surrogazione di maternità che trova più avanti il suo momento più alto con la maternità di Maria.

Le matriarche non fanno altro che provvedere alla gestazione e al parto per conto di Dio e del suo progetto, animate da una fede che supera le perplessità e le usanze dell’epoca. Questi aspetti tolgono terreno e fondamento alle pretese retoriche di vedere e interpretare la Bibbia come mezzo per nascondere un atteggiamento omofobo che ha ben altre radici di quelle religiose.

È necessario a questo punto prendere le distanze da chi vuole far passare per realtà logiche delle considerazioni inconsistenti che offendono anche ciò in cui loro stessi credono.

Federica Giglio

 

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Redazione

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