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Il paesaggio nell’arte/5

7 minuti di lettura

Prosegue la nostra carrellata nella storia dell’arte, dalle testimonianze dell’epoca romana fino all’arte del ‘900 e a quella contemporanea: espressioni diverse che hanno come tema comune la rappresentazione del paesaggio, trattato, di volta in volta, nel corso dei secoli, come dato oggettivo, come simbolo – religioso o laico – oppure come stato d’animo.

CASPAR DAVID FRIEDRICH, Viandante sul mare di nebbia, 1818, olio su tela, 98,4×74,8, Hamburger Kunsthalle, Amburgo

Friedrich, Viandante sul mare di nebbia
Friedrich, Viandante sul mare di nebbia

Siamo all’inizio del Romanticismo tedesco, in questo caso. Friedrich nei suoi paesaggi interpreta la filosofia del suo tempo, che è quella del sublime, di Immanuel Kant. E allora sublime è uno spettacolo di natura che ci incanta, ci sconvolge, ma ci fa stare tranquilli perché noi siamo osservatori distaccati. Ci stupisce, non avremmo parole per descriverlo. E di solito il parallelo viene fatto tra questo dipinto, Viandante sul mare di nebbia, e l’Infinito di Giacomo Leopardi, perché la percezione della piccolezza dell’uomo di fronte alla grandezza della natura è esattamente la stessa. Una è visiva, figurativa, l’altra è in versi, evocativa, come la pittura di Friedrich. Quel viandante è strategicamente collocato di spalle e in un forte controluce, e questo è originale in pittura. La luce arriva da dietro e lascia in ombra il profilo del personaggio. Quella figura ritratta indossa abiti dell’800 e quindi possiamo pensare che sia Friedrich stesso ma la posizione di spalle, che già utilizzava Giotto, è una strategia perché di nuovo noi ci collochiamo nel suo stesso punto di vista e, come lui, stiamo guardando la vastità di quella vallata immersa nella nebbia.

JOHN CONSTABLE, Il mulino di Flatford, 1816-17, 101,7×127, olio su tela, Tate Gallery

John Constable, Il Mulino di Flatford
John Constable, Il Mulino di Flatford

Autore inglese di inizio ‘800 che dipinge dal vero, anche Constable è un anticipatore dell’impressionismo. Questo paesaggio famosissimo ritrae un luogo dell’infanzia dell’autore dove lui ha trascorso la sua giovinezza e che cerca di ri-descrivere, non solo affidandosi alla memoria, che sarebbe troppo vaga, ma andando a rivedere il paesaggio ritraendolo con esattezza fotografica, cercando di cogliere gli effetti atmosferici. Constable ha lasciato diversi studi di cieli, tele che catturano uno scorcio del cielo e sul retro annota il giorno e l’ora esatta in cui ha ritratto ognuno di essi. Il suo interesse era proprio quello di riuscire a descrivere in pittura gli effetti della luce e dell’atmosfera sempre diversi. Questi presupposti saranno indispensabili per le ricerche degli impressionisti che allo stesso modo vorranno catturare l’attimo.

WILLIAM TURNER, Vapore, pioggia, velocità, 1844, 91×122, Londra, National Gallery

William Turner, Vapore, pioggia, velocità
William Turner, Vapore, pioggia, velocità

Stessa epoca, anche William Turner è inglese ed è ancora più anticipatore. Questo è un paesaggio a tutti gli effetti. In Inghilterra, in quegli anni, tutti erano rimasti affascinati dall’inaugurazione della prima tratta ferroviaria, perché con il treno si potevano raggiungere tappe lontane in tempi relativamente brevi. Turner vuole sperimentare questo mezzo di trasporto e lo fa in modo decisamente originale: non si siede all’interno del treno ma si fa legare al suo esterno, per poter sentire sulla faccia gli effetti della velocità, della pioggia e del vapore che esce dalla locomotiva. Dopo aver vissuto quest’esperienza di paesaggio, la traduce in pittura, e il risultato è questo quadro. Lui si esteriorizza – di fatto era esterno al treno – e ci fa vedere la locomotiva che avanza su un ponte. Ma la locomotiva si vede appena, l’unico punto fermo è la sua canna. Tutto il resto è un movimento veloce di pennellate, di sfumato. Il paesaggio di Turner si dissolve letteralmente nei colori che tecnicamente sono puri, presi direttamente dalla tavolozza, non mescolati per ottenere dei mezzi toni, ma dati sulla tela con andamenti e pennellate diversi, con consistenza molto grumosa. Il colore puro non mescolato è più luminoso, e quindi le macchie di colore puro, accostate tra loro, rendono molto più vivo l’effetto atmosferico.

CAMILLE COROT, Il Ponte di Narni, 1826, olio su carta incollata su tela, 34×48 cm, Parigi, Louvre

Camille Corot, studio preparatorio per Il ponte di Narni
Camille Corot, studio preparatorio per Il ponte di Narni

Siamo in Francia, negli stessi anni. Camille Corot è geograficamente più vicino a quelli che saranno poi gli impressionisti. Comincia a dipingere en plein air, modalità che diventerà consueta per gli autori della corrente che si affermerà più tardi, dipinge con cavalletto, su tele di piccolo-medio formato. Questo è uno studio preparatorio dipinto dal vero in Italia, vicino a Terni, in Umbria, per una tela di più grande formato che poi avrebbe presentato al Salon, la grande vetrina ufficiale di Parigi. Ed è molto diverso questo studio preparatorio rispetto alla tela definitiva perché qui si vedono bene le modalità esecutive: la costruzione del paesaggio non è data dal disegno ma dalle macchie di colore che ci fanno percepire gli avvallamenti, gli affossamenti, le zone d’ombra, mentre sullo sfondo è evidente la prospettiva atmosferica.

Camille Corot, Il ponte di Narni
Camille Corot, Il ponte di Narni

Nella tela più grande realizzata l’anno successivo, si perde la freschezza del bozzetto preso dal vero, in presa diretta, rendendo la scena più dilatata e più classica, con le linee del disegno più marcate e la composizione più calibrata.

A lezione di Storia dell’Arte con la prof.ssa Daniela Olivieri • Cengio (SV), 3ª Stagione Culturale

Lorena Nasi

Grafica pubblicitaria da 20 anni per un incidente di percorso, illustratrice autodidatta, malata di fotografia, infima microstocker, maniaca compulsiva della scrittura. Sta cercando ancora di capire quale cosa le riesca peggio. Ama la cultura e l'arte in tutte le sue forme e tenta continuamente di contagiare il prossimo con questa follia.

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