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Sergio Mattarella: «la Cultura è Libertà»

7 minuti di lettura

Ieri, 31 gennaio 2015, è stato eletto il nuovo Presidente della Repubblica: Sergio Mattarella.

Domande circa se sarà un buon Presidente, se saprà gestire la crisi politico-economica del Bel Paese, se sarà “super partes” oppure cederà alle scaramucce di partito, sono lecite, ma quanto mai lontane da una risposta non solo certa, ma soprattutto possibile e puntuale.

C’è però una domanda che potrebbe ottenere, se non un qualche appagamento, per lo meno materia su cui riflettere ed anche nutrire non vane speranze. Questa domanda è anche la prima che un gruppo come il nostro si è posta davanti a questo cambiamento, ovvero: “che cosa ne pensa il nuovo Presidente della Cultura?”.

Nella speranza che il rappresentate degli italiani abbia tra i suoi pensieri anche questo importante pilastro della Società, siamo riusciti a trovare un’intervista del 2010 in cui Sergio Mattarella dichiara cosa sia per lui la Cultura e quale ruolo essa abbia all’interno della società civile.

Partendo dalla propria personale esperienza, il neo-Presidente conferma quanto sia importante nella sensibilizzazione alla Cultura – intesa come partecipazione attiva, seria e critica alla società in cui si vive – il ruolo della scuola e soprattutto della classe. La scuola, afferma, deve non solo “insegnare”, ma anche “educare”. Nell’educazione alla civile convivenza il ruolo più importante è quello del gruppo classe. Al suo interno ci si trova a vivere un primo spaccato di società civile, perché si entra a contatto con persone ed opinioni diverse e spesso contrarie e la comunione e convivenza diviene spesso assai difficile. Ecco quindi che il ragazzo si trova per la prima volta a tentare una “comune convivenza”, basata sul “sentire comune” e soprattutto si pone alla ricerca del “bene comune”, per riuscire ad affrontare la scuola e la piccola comunità-classe con serenità. E cos’altro è lo Stato se non “bene comune”? I Romani definivano lo Stato “res publica”, da cui il nostro “Repubblica”, ovvero “cosa di tutti”.

«Studiare e vivere un’esperienza di classe aiuta a comprendere le esigenze e le attese altrui. Questo fa capire che si cresce bene solo se si cresce insieme, si è davvero liberi da ignoranza e violenza se liberi lo sono anche gli altri».
Ma la Cultura non deve esaurirsi all’interno della scuola. Così come il ragazzo impara la convivenza civile nelle classe e la deve poi applicare ad una “classe più estesa”, una volta mossi i passi nel mondo esterno, la Cultura deve necessariamente farsi attiva nella realtà contingente.

Anche a questo punto le parole di Mattarella sono assai esplicative.

Citando Erasmo da Rotterdam, egli cerca di spiegare il valore dell’istruzione: «Erasmo da Rotterdam ricorda, in una delle sue opere dedicate all’educazione dei ragazzi, che Aristippo rispondendo ad un uomo che gli chiese cosa servisse l’istruzione disse: “se non altro serve a questo: ad evitare che a teatro una pietra sieda sopra ad un’altra pietra”».

A Cosa serve la Cultura? Si potrebbe dire, parafrasando queste parole, che serve ad umanizzare l’Uomo. Essa serve a rendere una persona un Cittadino, a far sì che un greco a teatro non sia passivo davanti alla rappresentazione drammatizzata del suo mondo, ma ne sappia cogliere la critica profonda e aggiunga ad essa la sua personale critica. E così un cittadino odierno, davanti allo spettacolo del proprio mondo che quotidianamente riceve, come in un eterno “Truman Show”, dai mass media, non deve rimanere inerte e passivo, ma dovrebbe sentirsi spinto ad una presa di coscienza attiva.

«La cultura rende liberi», è l’ulteriore citazione di Mattarella da Epitteto. Liberi da cosa?

Lo spiega, ed in questo il pensiero del Presidente si intreccia sorprendentemente con il nostro. La cultura rende liberi dal conformismo, quale male endemico della società occidentale contemporanea. Essa permette di non adagiarsi ed accettare passivamente i modelli di vita commerciali che vengono proposti come nuovi valori degli “anni 0”.

Gli studi e ciò che deriva da essi, la forza culturale, la capacità critica e la forza di giudizio, difendono la libertà di ciascuno.

Questo significa forse che dovremmo essere tutti “intellettuali”? Certo. Ma non nel senso “radical chic” che si sta diffondendo a discapito del vero senso di questo termine, o per lo meno a discapito del senso che noi, e con noi anche Mattarella, diamo. L’intellettuale non è colui che si isola nella sua torre d’avorio a lamentarsi in maniera sterile di ciò che vede, crogiolandosi della sua superiorità morale e intellettiva.

L’intellettuale è colui che nel mondo affonda le mani, e prova a mettere a frutto ciò che è il suo sentire critico tramite l’azione.

Citando Mattarella: «siamo chiamati a spendere bene i nostri talenti, ciascuno secondo i propri carismi». Spendere, non declamare.

Se la cultura è libertà, la libertà è partecipazione. (G. Gaber, ndr).

 

Costanza Motta

Costanza Motta

Laureata triennale in Lettere (classiche), ora frequento un corso di laurea magistrale dal nome lungo e pretenzioso, riassumibile nel vecchio (e molto più fascinoso) "Lettere antiche".
Amo profondamente i libri, le storie, le favole e i miti. La mia più grande passione è il teatro ed infatti nella mia prossima vita sono sicura che mi dedicherò alla carriera da attrice. Per ora mi accontento di scrivere e comunicare in questo modo il mio desiderio di fare della fantasia e della bellezza da un lato, della cultura e della critica dall'altro, gli strumenti per cercare di costruire un'idea di mondo sempre migliore.

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