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“Split”, 23 tonalità di follia

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Regista che divide il pubblico tra chi lo osanna e chi lo detesta, M. Night Shyamalan era entrato in una fase calante della sua carriera dopo una serie di passi falsi al botteghino (basti pensare a L’ultimo dominatore dell’aria, uno dei film più criticati del 2010). Con Split, invece, sembra che il successo sia finalmente (e meritatamente) tornato. Shyamalan infatti ha realizzato un thriller degno di nota per come tratta il tema principale, ovvero il disturbo dissociativo della personalità.

La trama di per sé è semplice: la teenager Casey, una ragazza solitaria e problematica, viene rapita da uno psicopatico e segregata con due compagne di scuola in un sotterraneo, future vittime di un rituale misterioso. Cosa c’è allora di nuovo? L’antagonista, Kevin, ha ben 23 personalità diverse che cercano a tutti i costi di “venire alla luce” confondendo non poco le tre vittime, che si trovano prima di fronte a Dennis, un maniaco della pulizia e dell’ordine, poi a Patricia, una fanatica religiosa, e infine un bambino di 9 anni, Hedwig.

Ai tentativi di fuga delle ragazze, il regista affianca la storia di Karen Fletcher, la psichiatra che da anni segue il caso di Kevin e che crede fermamente che il suo tipo di disturbo sia molto più che una malattia: secondo le sue teorie, infatti, chi soffre di dissociazione di personalità ha una mente così potente e straordinaria da poter cambiare la struttura stessa del corpo. È qui che il film si colora di soprannaturale: c’è infatti una ventiquattresima personalità che cerca di emergere in Kevin, la Bestia, un essere primordiale che vuole punire tutti gli essere “impuri” ovvero chi non ha mai sofferto. Le tre ragazze non sono altro che un sacrificio di sangue in onore di questa entità.

Quello che colpisce subito in Split sono i personaggi, tutti ben costruiti e non scontati. Ad esempio nelle ragazze rapite non è presente il cliché delle cheerleader superficiali e ottuse che solitamente mina la credibilità degli horror americani. Anche se la protagonista Casey è una ragazza fuori dal coro, le sue compagne non si fanno gioco di lei comportandosi in modo prepotente, anzi, preferiscono unirsi contro il nemico comune. Anche la dottoressa Karen Fletcher non è un personaggio stereotipato; infatti ascolta con attenzione tutto ciò che il suo paziente ha da dirle, cercando di comprenderlo e non di imbottirlo di farmaci come fanno molti medici del grande schermo, ricordiamo ad esempio la psicologa del cult Donnie Darko, la dottoressa Lilian Thurman.

Il punto focale del film però è sicuramente l’interpretazione di James McAvoy che con grande maestria è riuscito a passare da una personalità all’altra in modo efficace e coinvolgente. Nonostante sia il “cattivo” del film, lo spettatore noterà la duplice natura di carnefice e vittima al tempo stesso. Schiacciato da un’infanzia dolorosa, Kevin Wendell Crump si è costruito delle personalità che lo difendessero da una situazione familiare a dir poco mostruosa.

Di innovativo questo film porta dunque l’idea di uno psicopatico visto come essere superiore, quasi come un’evoluzione dell’uomo e delle potenzialità della mente umana. Se ad esempio in Psycho di Alfred Hitchcock, il protagonista che assumeva la personalità della madre morta veniva analizzato in modo rigorosamente scientifico, in Split la personalità multipla viene invece concepita come una sorta di potere soprannaturale.

In fondo, la mente umana è in grado di creare infinite possibilità, sta a noi scegliere la nostra strada e chi vogliamo essere. Dopotutto «Noi siamo quello che crediamo di essere».

 

Azzurra Bergamo

 

 

Azzurra Bergamo

Classe 1991. Copywriter freelance e apprendista profumiera. Naturalizzata veronese, sogna un mondo dove la percentuale dei lettori tocchi il 99%.

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