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Il sesso che non vogliamo, che non amiamo

La serie «Supersex» su Netflix racconta la vita e il personaggio di Rocco Siffredi. E ci fa riflettere: è davvero (ancora) questo il porno di cui abbiamo bisogno oggi?

4 minuti di lettura

Dal 6 marzo scorso, Netflix ha dato in pasto al suo pubblico una nuova serie, Supersex, che vede come protagonista l’indiscusso re del porno internazionale: Rocco Siffredi.

Avevo dato una regola a me stesso: io ero in ogni istante, per sempre, Rocco Siffredi

Questa volta nessun personaggio che si muove tra i cartelli internazionali della droga per fare giustizia a un torto subito, o qualcuno che decide di cambiare vita dopo un periodo di stasi con un matrimonio tranquillo e una casa in centro città, ma una versione, in fin dei conti assolutamente umana, di uno dei più famosi pornodivi della storia.

Ma la domanda è: ne sentivamo davvero il bisogno? Rocco Siffredi, oggi, può essere considerato ancora un divo? O forse è solo un signore di mezz’età che vive di luce riflessa da un passato che lo ha visto al centro delle scene e dell’attenzione, ma che rivela, oggi più che mai, il suo lato oscuro, non riuscendo ancora (nonostante l’età) a scindere la realtà dal set, la vita vera dal porno a cui ha immolato la sua intera esistenza.

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Sulla scena, da un’idea di Francesca Manieri, l’attore Alessandro Borghi nei panni del pornodivo e un cast di eccezione, con Adriano Giannini e Jasmine Trinca, diretti da Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni

Bisogna certo dire che cadere nello stereotipo sarebbe stato molto facile e, invece, al di là di ogni pregiudizio, non accade per tutte le sette puntate della serie Supersex.

Al di là di questo, la storia viene ben imbastita: al centro della scena un uomo che vive i suoi anni di gloria, in un tempo in cui centrale era la mercificazione dei corpi, in primis quelli femminili, ma che oggi appare del tutto anacronistico, dati i cambiamenti epocali (per fortuna) che si sono definiti negli ultimi anni in tema di diritti e di attenzione contro la violenza sulle donne.

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Supersex: Rocco Siffredi e il suo confine labile tra sesso e realtà

Pensare a Rocco Siffredi, nell’immaginario comune, equivale a fare i conti con una narrazione che si dipana nell’arco di decenni e che ha costituito (e in parte costituisce tuttora) un punto di riferimento per un tipo di sessualità che oggi si stenta a credere ancora possibile.

Alla storia come Rocco Antonio Tano, Siffredi conosce un’ascesa lenta, affrontando molti pregiudizi e ostacoli legati non solo alla società e alla cultura di provenienza, ma anche al mondo stesso del porno. 

Nato a Ortona, comune della provincia di Chieti, da una famiglia modesta, il giovane Rocco vive un’infanzia come tante altre e per certi versi difficile. La scomparsa del fratello Claudio, a soli dodici anni, segna la sua vita di bambino che inizia a fare i conti con la realtà in modo crudo e talvolta cruento. 

Nella serie tv Supersex di Netflix si alternano situazioni reali legate alla vita dell’attore e altre di fantasia, che sono servite per costruire la narrazione finalizzata, sostanzialmente, a far emergere la personalità e il modus vivendi di Siffredi. Ed è qui che si chiarisce la disfunzione comportamentale che sta alla base di un personaggio tanto popolare, ma anche tanto criticato per atteggiamenti riconducibili ad una vera e propria dipendenza: il non riuscire più a distinguere il confine tra realtà e finzione, tra vita e porno.

La sua intima tensione a dare uno sguardo pornografico a tutto, ad avere un approccio pornografico con le donne, come fosse sempre sul set, non lo rendono lucido nei suoi atteggiamenti quotidiani, maturando una vera e propria dipendenza dal sesso, che spesso si traduce modi che sono stati definiti non solo inappropriati, ma anche talvolta violenti.

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Per spiegare il porno di Siffredi, è necessario riprendere l’opinione di Carmelo Bene:

Il filosofo riflette, appunto, sulla differenza tra eros e porno: mentre il primo è un’eccedenza e prevede che ci siano un soggetto e un oggetto di desiderio, il secondo è o-sceno, ovvero fuori dalla scena, dove il soggetto e l’oggetto si fondono, mescolano i confini e si danno l’uno all’altro in un abbandono totale e totalizzante, di cui si perdono totalmente i limiti.

È ciò che succede, come si vede nella serie Supersex, alla vita di Rocco Siffredi: il mondo del porno si confonde con quello reale, abbattendo finanche i limiti del libero arbitrio che dovrebbero esserci nella vita “normale”, ma che sovente, purtroppo, vengono dimenticati, proprio perché quella vita non è un set di una produzione cine-pornografica.

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Una vita porno di cui non si ha più bisogno

Non riuscire a mantenere un’aderenza al reale spinge Siffredi a rendere la propria vita porno, in quanto questo sembra l’unico linguaggio che egli conosce, l’unico con cui riesce a comunicare. La questione è che, poi, nel mondo, quando le telecamere si spengono, ci sono persone senzienti che possono non voler condividere lo stesso “lavoro” o le stesse propensioni.

Ciò gli è ovviamente costato tutto, compreso l’amore, che ricorre per tutta la sua vita fino all’incontro con Rózsa Tassi, sua moglie e madre dei suoi due figli. 

Per concludere con un riferimento a Michel Foucault, il sesso è uno strumento molto potente per controllare i popoli; la sua trasformazione in un vero e proprio dispositivo culturale pop, che si traduce nel porno prêt à porter, ovvero vicino alle persone (come ricorda il filosofo Simone Regazzoni in Pornosofia). Il rischio, però, è di non riuscire più, ad un certo punto, a contenere quell’eccedenza, trasformandola in quotidianità.

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Ma quante persone condividerebbero davvero questo modo di stare al mondo, oggi che il porno si è totalmente inflazionato, che è diventato talmente alla portata di chiunque, che appare noioso e ripetitivo?

La rivoluzione a cui oggi stiamo assistendo reclama soggetti di desiderio che sentono, che comprendono, che combattono per la propria libertà e non corpi semplicemente gaudenti.

Un sesso e un porno che cerca nella consapevolezza e non nell’abbandono, la propria strada di espressione, lontano dagli stigmi, ormai superati degli anni Ottanta, in cui Siffredi, evidentemente, crede ancora di vivere.

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Anto D'Eri Viesti

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Copywriter e social media manager.
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Tanti fiori, cioccolato e caffè.

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