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Terzo Mondo e Russia: ieri e oggi

Dalla decolonizzazione al multipolarismo: l'ambiguità della Russia e la competizione con la Cina per l'influenza nel sud del mondo.

6 minuti di lettura

Lo chiamavano Terzo Mondo, il blocco dei paesi non allineati che, per molti tratti della Guerra Fredda, si avvicinò e si allontanò dal blocco sovietico nel confronto con quello occidentale. Oggi, quei paesi che si dicevano non allineati, sono anche quelli che vorrebbero costruire un ordine regolato dal multipolarismo superando quello liberale attualmente vigente. Proposito che avanza le stesse sfide del passato, ma sotto la guida e il consiglio di chi?

Terzo Mondo agognato alleato… di chi?

Con la decolonizzazione successiva alla Seconda Guerra Mondiale, divenne chiaro ai paesi del “nord del mondo” che molto del futuro sarebbe passato al di fuori dell’Europa.

Pur usciti formalmente vincitori, ciò che segnò le guerre mondiali fu la sconfitta degli imperi coloniali europei, francese e britannico su tutti, destinati a una fine indolore per alcuni, molto complessa per altri. Coloro che avevano ereditato, invece, il ruolo di egemoni globali, si identificavano con l’ideale genetico dell’anticolonialismo: gli USA perché essi furono i primi nella storia ad aver ottenuto l’indipendenza da un impero coloniale, l’URSS perché guida del marxismo. In linea di principio, entrambe le potenze credevano nella decolonizzazione, ma per diversi motivi non riuscirono mai a perseguirne gli obiettivi pienamente. Gli USA pensavano che l’autodeterminazione dei popoli fosse fondamentale e Franklin Delano Roosevelt stesso, durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva affermato che l’obiettivo era sconfiggere la Germania nazista, non difendere l’impero britannico e quello francese. Dopo il 1945, ad ogni modo, era divenuto chiaro a Harry Truman, così come ai suoi successori, che il contenimento sovietico non potesse esistere senza un’alleanza occidentale con paesi come Inghilterra e Francia.

Così, gli USA accettarono sempre freddamente le ultime operazioni colonialiste francesi in Indocina e nell’Africa araba, pur non rinnegando il ruolo strategico di Parigi all’interno della propria alleanza: l’immagine degli USA come difensori degli imperi coloniali divenne chiara a quelle nazioni che si stavano formando tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Settanta.

Alla luce di ciò, il blocco dei paesi indipendenti cercò l’appoggio dell’URSS. Questi paesi “proletari”, ad ogni modo, spostavano l’ideale della lotta allo sfruttamento dal piano della classe a quello nazionale, riconvertendo il simbolo marxista a un nuovo ruolo storico. Del resto, questi stati possedevano, come oggi, società rurali in cui il ruolo delle borghesie era vestito da élite culturali e politiche (similmente alla Russia del 1917) e in cui non era presente l’ambiente industrializzato che Karl Marx riteneva necessario per la rivoluzione proletaria. La particolarità della decolonizzazione e la lontananza della Russia-URSS da questo processo, in quanto entità storica nata in Europa e a essa affine, creò un rapporto ambiguo che, mutatis mutandi, dura tutt’ora e relega la Russia in una specie di intercapedine, sospesa tra due mondi a cui fa riferimento ma a cui non appartiene totalmente.

Esisteva il Terzo Mondo equidistante tra due poli?

È necessario notare che il blocco terzomondista, costituito a Bandung nel 1955 e che continuò a esistere per decenni, fu un insieme capace di muoversi coeso e con una certa influenza, ma con due anime distinte che spingevano lo stesso ideale di rivalsa contro l’imperialismo. Da una parte, paesi come l’India di Jawaharlal Nehru, l’Indonesia di Sukarno, la Jugoslavia di Josip Broz Tito credevano che il principio fondatore del Terzo Mondo fosse il non allineamento. Ciò dà una visione simmetrica del blocco occidentale e del blocco orientale come due volti dell’imperialismo, o poli da cui è necessario affrancarsi. Dall’altra parte e successivamente, invece, paesi come Cuba, Angola e Algeria credevano che il naturale nemico del Terzo Mondo, entità storica nata dalla decolonizzazione, fosse esclusivamente l’imperialismo occidentale, mentre esisteva un’evidente affinità ideologica e di intenti con il blocco comunista. A questo proposito, agli occhi di molti decisori politici statunitensi era chiaro come il blocco terzomondista non fosse affatto non allineato, bensì arroccato sul supporto politico e materiale del rivale sovietico. Anche l’URSS, da parte sua, ne aveva inteso le implicazioni e già con Nikita Kruschev prendeva forma una strategia mondialista sovietica, atta a superare l’attenzione tipicamente stalinista sul teatro europeo e fare leva sul vantaggio che la Russia sembrava avere sugli USA nelle aree che, fino ad allora, erano state considerate la “periferia” del mondo.

Da sinistra: Nehru (India), Nkrumah (Ghana), Nasser (Egitto), Sukarno (Indonesia), Tito (Jugoslavia)

Il paradosso della Russia, o dell’impero europeo antioccidentale

Centrale nella storia del terzomondismo è la Russia, sia in forma di URSS che in quella attuale. Durante la Guerra Fredda, lo status di nazioni proletarie degli stati indipendenti fece in modo che il gran calderone del Terzo Mondo, pur avendo al proprio interno notevoli differenze, convergesse con le posizioni del blocco ostile a quelli che furono i grandi imperi coloniali oceanici europei, formatisi dal Cinquecento in poi. Questo avveniva nonostante l’URSS fosse, in linea col predecessore zarista, ereditiera storica di un impero europeo. Tuttavia, tale impero non s’era mai esteso oltre oceano come avvenne per i domini degli stati nazionali occidentali, bensì andando a formare un territorio contiguo e continentale. La Russia, prendendo il posto dei khanati mongoli dell’Orda d’Oro, s’era imposta come egemone su popolazioni che dominava sia in Europa che in Asia. Per la sua storia e particolare conformazione territoriale, che mantiene tutt’oggi seppur con differenze ai confini, la Russia rappresenta l’ultimo esempio, o meglio retaggio, di impero europeo. Questo pur non rappresentando un chiaro esempio di colonialismo. Ma quello russo non è nemmeno assimilabile a un impero territoriale come lo fu quello asburgico, sia per le dimensioni geografiche che per la sproporzione tra la popolazione propriamente russa e quelle periferiche. Esso costituisce, per così dire, una via di mezzo tra l’impero territoriale e quello coloniale, prendendo dal primo primo la contiguità e dal secondo la disparità tra centro e periferia.
Ad ogni modo, è rilevante notare come il ruolo della Russia, nel cosiddetto Terzo Mondo, sia sempre stato ambiguo proprio per questa sua eredità e posizione storica: accettata come guida contro il blocco egemonico occidentale da una parte, e identità di impero europeo dall’altra.

Il “paradosso” russo è condensato nel suo duplice rapporto con lo spazio e la cultura: la sua spinta antioccidentale viene da lontano e ha a che fare con il generale rifiuto delle rivoluzioni e dei processi storici avvenuti nella modernità in Europa occidentale e in cui il bolscevismo ha rappresentato solo un capitolo di questo scontro. Nondimeno, la Russia ha pur sempre fatto parte del contesto europeo, partecipandovi come potenza europea a pieno titolo. In questo senso, l’impero russo si è sempre fatto portavoce di un particolare ruolo storico, di un’identità europea antioccidentale, ambigua realtà ideologica che l’ha posta in mezzo, dal secondo novecento in avanti, tra l’occidente e il resto del mondo, senza appartenere pienamente a nessuno dei due.

La strategia russa ha sempre trovato in questa sua natura di Giano Bifronte, che volge gli sguardi a due mondi, la sua versatilità come il suo più grande limite: per alcuni occidentali, la Russia, o URSS che fosse, rappresenta un altro possibile occidente lontano dalla democrazia liberale; per alcuni nel sud del mondo, rappresenta una strenua forza contro il dominio occidentale. Eppure, questi due ruoli, seppur rivestiti con una certa efficacia, hanno sempre sofferto la rivalità di altri pensieri postisi alla guida dei due mondi: quello liberale statunitense in Occidente e, in modo cruciale, quello cinese nel “sud del mondo”.

Sud del mondo: fronte della rivalità Cina-Russia

L’ambiguità espressa dall’Unione Sovietica e dalla Russia, come guida di un blocco contrapposto a quello occidentale, pur appartenendo al processo imperiale e storico europeo, ha posto le nazioni del sud del mondo davanti a un dilemma identitario. Come detto, è vero che nel Terzo Mondo si giocò buona parte della partita della Guerra Fredda, ma sarebbe semplicistico vedere le decisioni delle nazioni decolonizzate come strettamente dipendenti alle trame delle due grandi potenze. Piuttosto furono quest’ultime a essere costrette per vie che altrimenti non avrebbero intrapreso, consce dell’importanza che il resto del mondo avrebbe rivestito nel futuro. In questo rapporto biunivoco, i paesi del sud del mondo hanno più volte consegnato il ruolo di loro guida a diversi stati ispiratori, ma erano due quelli che, per risorse e dimensioni, polarizzavano, e polarizzano, questa spinta. L’Unione Sovietica temette sempre la Cina maoista e la sua personalità che rischiava di scindere il blocco marxista in due: il timore, consapevole o inconsapevole che fosse, era che il resto del mondo avrebbe visto nell’URSS un’entità, una forza legata al processo storico europeo, la sua ideologia al pensiero delle borghesie occidentali, e incapace di comprendere il fenomeno nazionale e particolare che avveniva nei territori prima soggiogati al colonialismo; fenomeno che, invece, la Cina poteva fare suo, per la sua identità storica estranea a quella occidentale e per molto tempo a questa contrapposta.

Oggi questa rivalità è ancora viva e il ruolo globale della Russia e della Cina è vissuto sul solco di quello che fu durante la Guerra Fredda. Anche se molto spesso le due potenze sembrano convergere nel supporto ad alleati comuni, la loro è una competizione silenziosa, in cui ognuna si contende l’agognato spazio del sud del mondo. Il primato di una, naturalmente, significherebbe l’esclusione dell’altra, o quantomeno una sua posizione subordinata. Russia e Cina convivono in regioni del mondo in cui la loro influenza è proiettata in modi diversi: la prima, così come era per l’URSS, fa valere il peso delle armi in supporto dei propri alleati; la seconda, invece, fa leva sulla risorsa economica. Nel lungo periodo, la rivalità silenziosa, o la collaborazione competitiva che sia, deciderà, forse, a chi spetta il titolo di guida di un nuovo blocco contrapposto.

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Alessandro Maria Radice

"Il mio nome è Legione, poiché siamo in molti": classe 2002 e vago storico, ma anche osservatore di tutte quelle arti che cerco, indebitamente, di fare mie.

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