fbpx
Shakespeare eros

«Tragedy of Eros»: il linguaggio osceno che esprime il tormento degli eroi shakespeariani

L'eros è un elemento fondante del linguaggio di Shakespeare. Per l'autore il linguaggio erotico ha una funzione pratica e catartica, che permette d'entrare nell'animo tormentato dell'eroe, protagonista delle sue tragedie.

4 minuti di lettura

La tematica amorosa permea tutta l’opera di Shakespeare: l’eros si intreccia con la trama principale a una molteplicità di livelli, talvolta è perfino il principale motore dell’azione. Ma nelle tragedie più mature il linguaggio erotico ha una funzione pratica e catartica: apre una finestra nel cuore dell’eroe, attraverso cui lo spettatore può cogliere il profondo turbamento interiore di cui il protagonista è preda e prepararsi alla tragica soluzione del conflitto.

Shakespeare eros
Antonio Muñoz Degrain, “Otelo e Desdémona” (1880)

«The sea hath bounds, but deep desire hath none» («Il mare possiede confini, non così i desideri profondi»), recita il verso 389 di Venus and Adonis, un poema di 1194 versi incentrato sul disperato e tragico amore della dea per il bel giovane. Sebbene l’opera si collochi cronologicamente agli albori della produzione di William Shakespeare – risale al 1592-93, appena all’indomani degli anni perduti – questo verso offre la chiave interpretativa della sua intera produzione, almeno per quanto riguarda il tema del desiderio amoroso.

L’eros è uno dei tanti fils rouges dell’opera del Bardo. Risulta difficile, se non impossibile, fare un discorso generale sulla tematica erotica: la modernità con cui Shakespeare la affronta gli permette di incentrare intere opere sulla passione amorosa, che spinge alle più eroiche azioni e al più profondo tormento; di cogliere la fisicità del sesso, evidenziandone gli aspetti più degradanti; di utilizzare il lessico osceno (il «bawdry language» oggetto di innumerevoli studi) come intermezzo per scene emotivamente più impegnate. D’altra parte, le tensioni tra cattolici e protestanti che avevano percorso tutto il XVI secolo avevano prodotto due sentimenti contrastanti: da un lato, un consenso di facciata verso la tematica erotica, più aperto e tollerante verso tutte le forme di sessualità (in particolare l’omosessualità); dall’altro, un senso di colpa di natura religiosa per questa nuova sensibilità, che sfociava nella morbosità e nel gusto per il turpiloquio.

Leggi anche:
L’eros nei sonetti di Shakespeare: tra amore platonico ed erotismo

Shakespeare fu interprete di questa nuova visione dell’eros ed esplorò tutte le possibilità che essa gli offriva: è in particolare nell’uso del linguaggio erotico che si dispiega tutto il suo sperimentalismo. La sua sensibilità gli permise di cogliere la profonda contraddizione della passione erotica, fuoco che brucia l’animo di chi ne è preda fino a consumarlo («Le gioie violente hanno fine violenta, e muoiono nel loro trionfo come il fuoco e la polvere che si consumano in un bacio», ricorda Frate Cristoforo a Romeo), ma al tempo stesso valvola di sfogo e lenimento di un turbamento psicologico già esistente; un farmaco nel senso greco del termine, veleno e antidoto al tempo stesso.

Articolo integrale sul nostro periodico cartaceo, dedicato proprio a William Shakespeare a 400 anni dalla morte. In libreria o direttamente a casa tua.

Per ulteriori info e/o per acquistare
CLICCA QUI

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!

Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!

Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.