Era il 17 Gennaio 1966 quando The sound of silence del duo Simon & Garfunkel, passata inosservata due anni prima e rimaneggiata dal produttore Tom Wilson, arrivò con l’omonimo album in vetta alla classifica americana. Da cinquant’anni a questa parte con le sue lapidarie parole ha tenuto compagnia alle anime solitarie sia che l’ascoltassero durante un viaggio in macchina, sia che volessero sprofondare nel proprio abisso interiore ascoltandola sdraiati sul letto o che cercassero una colonna sonora per i propri pensieri mentre contemplavano il cielo stellato.
Paul Simon scrisse quel singolo di getto nel 1964, cercando di rappresentare con la semplicità delle parole l’alienazione giovanile: «Avevo 21 anni, non ho scritto pensieri molto elaborati. Era pura rabbia adolescenziale, ma possedeva un livello di verità che ha finito per toccare la sensibilità di milioni di persone» affermò Simon. Il brano, però, non ebbe vita facile: registrato in versione acustica, uscì nel 1964 nel loro album di esordio (Wednesday morning 3 A.M.), ma il pubblico lo ignorò. Il duo addirittura si sciolse e Simon cercò di riscattarsi con la carriera da solista a Londra. Ma il loro brano cavalcava l’onda del folk rock e ben presto sarebbe ritornato a far parlare di sé. Tom Wilson, infatti, si accorse che alcune radio di Boston e della Florida trasmettevano il loro singolo ed ebbe un’illuminazione: all’insaputa di Paul e Art, chiese ai musicisti con cui aveva collaborato per la registrazione di Like a rolling stone di Bob Dylan di incidere sopra all’originale con strumenti elettronici e batteria, dando vita ad un singolo perfettamente in linea con il gusto folk-rock contemporaneo. Quando Garfunkel lo ascoltò, deluso, pensò che non avrebbe avuto successo ma si sbagliava: nel 1966 il singolo primeggiava nella classifica americana. Dall’album traspariva già molto del talento compositivo di Simon, testimoniato dalle superbe I am a rock, Homeward bound, Aprile come she will e Kathy’s song, in cui il cantautore affrontava temi quali la solitudine, l’incomunicabilità e l’alienazione giovanile.
Poi arrivò la consacrazione grazie al film Il Laureato (1967), di cui The sound of silence fu la colonna sonora: il regista Mike Nichols utilizzò il singolo per l’emblematica scena finale, quella della fuga in autobus di Dustin Hoffman e Katharine Ross, trasformandola nel simbolo di uno strappo generazionale. La amarono tutti. Da oltre cinquant’anni il singolo continua, dunque, a suonare emozionante ed attuale grazie alla sua inconfondibile dolcezza e alla sua vena poetica:
Hello darkness, my old friend
I’ve come to talk with you again(Ciao oscurità mia vecchia amica,
Sono venuto a parlare di nuovo con te)
L’incipit, reso inconfondibile dall’arpeggio, fa intuire fin da subito l’intensità del testo: in un’intervista, Paul Simon spiegò che la frase era nata dalla sua abitudine di comporre al buio nel bagno della sua abitazione. Ma i versi successivi, che vedono il protagonista camminare solingo attraverso sogni irrequieti, acquistano un valore simbolico che travalica la solitudine casalinga:
when my eyes were stabbed by the flash of a neon light
That split the night
And touched the sound of silence
And in the naked light I saw
Ten thousand people, maybe more
People talking without speaking
People hearing without listening(quando i miei occhi vennero trafitti dal flash di una luce al neon
che lacerò la notte
e toccò il suono del silenzio
E nella luce nuda vidi
diecimila persone, forse più
gente che comunicava senza parlare
gente che sentiva senza ascoltare)
In questi versi si innesta il tema portante del brano: l’incomunicabilità, l’incapacità da parte degli uomini di dare un senso alle proprie parole, rendendo inutili anche quelle che ascoltano dagli altri. Così ci si rifugia in un silenzio assordante, che fagocita tutte le parole non dette per paura di non essere compresi e tutte quelle urlate dinnanzi all’irremovibile freddezza di chi non sa, o non vuole, ascoltare. Molti hanno voluto vedere nel componimento un riferimento allo sgomento degli americani per la perdita del Presidente John Fitzgerald Kennedy, ucciso tragicamente il 22 Novembre 1963, ma il duo ha smentito queste supposizioni.
«Fools» said I, «You do not know –
Silence like a cancer grows.
Hear my words that I might teach you.
Take my arms that I might
reach you.»
But my words like silent raindrops fell
And echoed in the wells of silence
(«Sciocchi», dissi, «non sapete
che il silenzio cresce come un cancro
ascoltate la mie parole affinché possa istruirvi
prendete le mie braccia affinché possa raggiungervi»
ma le mie parole, come silenziose gocce di pioggia caddero nel nulla
e riecheggiò la volontà del silenzio)
Ogni gesto, ogni tentativo di avvicinarsi è quindi destinato a cadere in un buco nero, un baratro in cui ogni cosa muore ancora prima di essere pronunciata; non c’è nulla più desolante di un mondo paralizzato nella propria solitudine ed egoismo.
And the people bowed and prayed
To the neon god they made
And the sign flashed out its warning
In the words that it was forming
And the sign said, «The words of the prophets
Are written on the subway walls
And tenement halls
And whispered in the sounds of silence»(E la gente genuflessa ed in preghiera
al dio neon che si erano creati
e la scritta disse il suo avvertimento: «Le parole
dei profeti sono scritte sulle pareti dei sottopassi
e negli atri dei palazzi»
e sussurrò il suono del silenzio
Nell’incedere del testo il “suono” del silenzio diventa sempre più labile fino a trasformarsi in un sussurro, un monito misto di ribellione e rassegnazione che invita per l’ultima volta le persone a rompere quel muro di indifferenza che le tiene lontane le une dalle altre e sole in se stesse.
Molti ingredienti hanno contribuito a rendere The sound of silence una pietra miliare della musica rock americana, tra cui la perfetta musicalità, le parole penetranti e la denuncia dello stato di solitudine alienante degli uomini. Siamo certi che proprio queste qualità faranno scoprire a molte altre giovani anime irrequiete ed angosciate questo meraviglioso singolo, ancora e ancora per i prossimi cinquant’anni.
Fonte: Repubblica.it
di Nicole Erbetti
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