“Ammazziamo il Gattopardo”: il nuovo libro di Alan Friedman che ha scatenato un ciclone mediatico su cui è doveroso puntualizzare.
E infatti la presentazione del libro di ieri, in Sala Buzzati del Corriere della Sera, è risultata atipica rispetto al solito.
Non solo perché è inconsueto trovare a commentare un libro personalità come De Bortoli, Paolo Mieli, Corrado Passera e Pippo Civati, per di più tutte insieme.
Ma anche perché è suonata tutta come una sorta puntualizzazione continua.
Una presentazione-puntualizzazione.
Noi eravamo lì, e cerchiamo di riassumere le note salienti dell’evento.
Le puntualizzazioni di Friedman: l‘intento del libro non è una critica a Napolitano
Friedman svela che il concepimento è iniziato nel marzo dell’anno scorso. Non aveva in mente un libro che avrebbe svelato dei retroscena della politica italiana. Il primo titolo, bocciato dall’editore, suonava infatti in maniera diversa “Incubo italiano: come salvare il paese o almeno evitare il peggio“. L’idea iniziale del libro era di indagare e raccontare in modo documentato (con anche l’utilizzo di videoregistrazioni – sul sito del corriere si può trovare una “web-serie” delle videoregistrazioni), perché l’Italia non sia riuscita negli ultimi decenni ad affrontare riforme per rimettersi in carreggiata. Ha deciso di intervistare l’Italia che muove i fili: presidenti del consiglio, figure politiche e nuove figure-simbolo come Matteo Renzi, ma anche banchieri e personalità accademiche.
Insomma una specie di diagnosi del problema a cui segue l‘elenco delle ricette per risanare il paese. Il libro non è quindi certo incentrato sul passaggio dal governo Berlusconi al governo Monti. Questo è solo un elemento.
Il ciclone mediatico, invece, è ruotato intorno alla critica al presidente della repubblica Giorgio Napolitano. Ed è consistito in un fraintendimento del libro. C’è un solo capitolo, dice Friedman, che riguarda la questione di Giorgio Napolitano, Mario Monti, e Silvio Berlusconi. In questo capitolo si afferma in maniera documentata (che Monti ha tentato adesso di smentire, ma “è difficile smentire un video”), che Napolitano abbia sondato il polso di Monti quando Berlusconi era ancora in carica – per quel poco che possa valere, io devo ancora capire cosa ci sia di incostituzionale.
Gli altri capitoli costituiscono quello che alcuni hanno chiamato una “controstoria“: retroscena di altri eventi a partire dal malgoverno della prima repubblica, ad esempio una lunga intervista con Amato che spiega la costruzione e la crescita del debito del paese a partire dagli anni ’80.
Altra puntualizzazione a cui Friedman tiene è quella sul proprio atteggiamento di americano che commenta i fatti politici italiani e viene a darci consigli: chiarisce che ama l’Italia. Che ha imparato ad amare questo paese “tanto strano quanto meraviglioso“. E sottolinea che non si debba fraintendere. Che non si debba utilizzare un’ottica anglosassone per capire l’Italia. Bisogna capire l’Italia nel modo italiano. Non si possono prendere esempi anglosassoni, ma italianizzare tutto.
La ricetta che si dà nel libro è costituita di dieci punti, che riguardano: l’abbattimento del debito, la creazione di condizioni di lavoro, l’urgenza di un minimo vitale per tutelare le fasce più deboli, come rendere il sistema pensionistico più efficiente ed equo, l’importanza di un programma nuovo per l’occupazione femminile (chiarisce “non è solo questione di asili nidi”), la garanzia di una vera meritocrazia, la sanità non solo come questione di costi standard e sprechi, le regioni e le competenze da togliervi per riportarle al centro, la questione di una patrimoniale leggera.
Il libro, a quanto pare, è anche intervallato da scenette comiche tratte soprattutto dall’intervista con D’Alema, che tra le tante comiche che dice, confida a Friedman “Sa, io tutti i giorni leggo i suoi articoli del New York Times”. Friedman ci riflette un po’. “Ma io non scrivo più sul New York Times dal 2003!”
Le puntualizzazioni di De Bortoli: si tratta di un’inchiesta giornalistica incontrovertibile
De Bortoli ci tiene invece a sottolineare il valore di un’inchiesta giornalistica documentata con videoregistrazioni e realizzata da un grande giornalista che possiede l’arte di “ammaliare gli interlocutori” come Friedman. E’ un libro ben fatto, un’inchiesta incontrovertibile, verificata con grandissimo scrupolo. E qui, il direttore del Corriere, offre uno spuntino di lezione di giornalismo con il retrogusto amaro di chi risponde a una critica.
Un buon giornalista deve pubblicare tutte le notizie, dice, non deve polemizzare mai con nessuna notizia e dare il giusto risalto alle notizie che hanno valore. Ci tiene a dire che sono tanti i giornalisti che fanno bene il proprio mestiere, e che non fanno affatto parte di chissà quale complotto.
Il mestiere del giornalismo è incalzare il potere senza fare sconti a nessuno, e mettere nelle condizioni di avere ingredienti non avariati per costruirsi un giudizio e per esercitare il proprio compito di cittadino. “Si fa tutto quello che è giusto fare perché bisogna presentare alla pubblica opinione tutti gli elementi positivi o negativi“. Conclude il suo intervento con un “e meno male che abbiamo avuto Giorgio Napolitano, meno male che abbiamo avuto un’istituzione di garanzia che si è resa conto che lo stato in cui si trovava il nostro paese doveva essere risolto“.
Le puntualizzazioni di Mieli: nessuna furberia da parte della casa editrice
Mieli, direttore della casa editrice che pubblica il libro, Rizzoli, parla di quei giornalisti che si sono chiesti “Perché far uscire il libro proprio in questo giorno?”, alludendo a qualche furberia da parte della casa editrice. E commenta “Se lo leggete sui giornali, chi l’ha scritto o è un cretino o è in malafede. In genere è un cretino. E comunque spesso i cretini sono in malafede“. Si mette quindi a raccontare il processo attraverso cui si arriva alla pubblicazione: c’è una lavorazione che dura sei mesi, poi il libro viene consegnato, rivisto, stampato, e questo prevede altri quattro mesi. Alla fine, due mesi prima della data d’uscita si decide la data. Per quella data le macchine si mettono in moto e producono decine di migliaia di copie. Quindi l’uscita di un libro si prevedrebbe con un anticipo di svariati mesi. Chiunque abbia mai lavorato con il mondo dell’editoria non potrebbe sospettare che ci sia stata un’operazione “ad-orologeria”.
Gli interventi di Civati e Passera più che puntualizzazioni sono commenti politici, come del resto è prevedibile: Civati sostiene quanto sarebbe forte una campagna elettorale in questo momento, quanto sarebbe importante andare a votare prima o poi. “Questo Gattopardo lo sta sottovalutando ancora chi scrive in queste pagine“, afferma, nonostante si dichiari d’accordo con il contenuto del libro. Ci dev’essere una politica che dia strumenti a queste scelte, una politica coraggiosa.
Anche Passera sottolinea quanto sia importante portare un cambiamento in Italia, e dichiara che presto presenterà dei punti, su cui però non dà altre informazioni.
Vorrei chiudere con delle parole di Friedman, che – sempre per quello che può valere – a me è piaciuto molto.
Non è un giornalista-canaglia, a meno che il vero giornalismo non possa fare a meno di affibbiarsi questo appellativo. Per come è stato presentato, il lavoro di Friedman mi sembra davvero un contributo di rilievo: utile non solo a noi oggi, per la costruzione di un’idea più consapevole dei meccanismi politici e dei vizi storici del nostro paese che ci hanno condotto a questa situazione, ma utile nella ricostruzione storica futura del difficile periodo che stiamo vivendo.
Premiamo e incentiviamo la chiarezza di opere come questa.
Ecco la conclusione del suo intervento: <<Gli italiani non sono per niente stupidi. Credo preferirebbero non leader politici che promettono la luna e poi danno briciole, ma leader che si alzano in piedi e dicono onestamente “Questa impresa non sarà facile, ci vuole coraggio, ci vuole spirito di sacrificio collettivo, ma se uniamo le forze potremo rifare il nostro paese e riprenderci in mano il nostro futuro. Ma le forze della conservazione sono fortissime. Questo libro si chiama “Ammazziamo il Gattopardo” perché le forze della conservazione politica sono quelle che dicono come Tancredi nel Gattopardo “Se vogliamo che tutto rimanga lo stesso dobbiamo cambiare tutto”. Questo è il Gattopardo da ammazzare (non il giaguaro di Bersani). Questa è una mentalità troppo pesante nella cultura politica ma forse anche nella classe dirigente in generale>>.
Silvia Lazzaris