Se nel cinema esiste qualcosa di ontologico, quel qualcosa è sicuramente l’attrazione, se non la necessità primigenia, di esplorare e raccontare le grandi storie.
Il respiro dell’epica e delle epopee dietro ai racconti maestosi è da sempre la linfa che fa vibrare le immagini e il modo in cui si mettono al servizio della narrazione. Le migliori menti dietro alla macchina da presa hanno saputo fare dell’opera d’arte – il film, la serie, il documentario – un prodotto, legando il resoconto, la trasposizione, il peplum, la rivisitazione storica a quelle esigenze produttive, industriali ed economiche che hanno fatto la fortuna del marketing e dello storytelling, intesi come ammalianti operazioni di pura seduzione.
Viene da chiedersi se nel secolo in cui viviamo, nel presente iper-immersivo e multi-universale della topografia filmica, possa ancora far storcere il naso l’associazione scomoda tra produzione creativa e mercato. Probabilmente no, perché se il cinema è un’industria, saper vendere le idee è una riflessione artistica.
In questo solco si è inserito Matteo Rovere, facendo scuola per la bontà di una grande storia, una grande idea e una grande ambizione. Nell’anno dei rumors su quanti e quali attori si sono battuti per una parte nel sequel de Il Gladiatore di Ridley Scott, c’è un elemento che spicca veemente: una Storia, la nostra.
Roma: il suo splendore, la sua ascesa, la sua potenza, il suo collasso. Non si contano i film che l’hanno raccontata, non si mappa la geografia delle produzioni che l’hanno scelta come soggetto e non ci si orienta nella transmedialità delle realizzazioni. Dalle origini del Cabiria di Pastrone, allo Spartacus di Kubrick, passando tra la parentesi dei peplum, i Ben Hur (Wyler), Quo vadis (LeRoy) e il già citato Gladiatore, ripercorrendone solo alcuni tra i più inflazionati e conosciuti.
Qualcosa però mancava all’appello e Matteo Rovere ha saputo identificarlo: il coraggio di fare della nascita di Roma un progetto produttivo, industriale e commerciale dalle sontuose aspirazioni drammaturgiche, tutte virate verso le logiche della contemporaneità. Partire dal mito, dalla leggenda e dal folclore sulla fondazione di Roma e fare del racconto il suo impero.
Il multiverso di Matteo Rovere: tra Il primo re e Romulus
Il primo re esce nelle sale cinematografiche sulla fine del 2019, è una scommessa rischiosa, a partire dalle sue premesse. Un film interamente recitato in protolatino, versione ricostruita di una lingua verosimilmente parlata nel VIII secolo che ospita il racconto.
Lo spunto è quello di stretchare e il più possibile le pieghe del mito, allargandone le maglie e inserendo all’interno una narrazione che sappia partire dal proprio passato per raccontare u…