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Cappella del SS. Sacramento nel duomo di Udine. Catino absidale

Capolavori di gioventù:
la genialità del Tiepolo
negli affreschi a Udine

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Cappella del SS. Sacramento nel duomo di Udine. Catino absidale
Cappella del SS. Sacramento nel duomo di Udine. Catino absidale

«Nella cappella del Sagramento dipinse Gio: Battista Tiepolo, in due compartimenti a chiaroscuro storie allusive a questo augusto Mistero tratte dalla Scrittura Sacra, e nel catino degli angioletti in atto di adorazione. Che se al tutto angeliche non ne sono le forme, lo è certo il colorito».
(Di Maniago, 1839).

Con una descrizione breve ma significativa, lo storico udinese ci guida attraverso la magnificenza di un famoso ciclo di affreschi, racchiuso in una cappella visitata ogni giorno dai turisti che giungono nel centro storico della città friulana. Udine è celebre per tanti motivi, storici ed artistici: fa parte del patrimonio locale anche un gran numero di opere del pittore Giambattista Tiepolo (Venezia, 1696 – Madrid, 1770), racchiuse nel contesto di alcuni famosi edifici cittadini.

Nell’ambito della produzione udinese, il suo capolavoro più noto è con ogni probabilità il prezioso ciclo di affreschi che ricopre le pareti e la volta della Galleria degli Ospiti del Palazzo Patriarcale, decorata tra il 1727 e il 1729. La cattedrale di Udine custodisce un tesoro altrettanto significativo: la quarta cappella della navata destra (ambiente che include altre due tele del pittore veneziano, rispettivamente la Crocifissione e il dipinto raffigurante I santi Ermacora e Fortunato) presenta una decorazione trionfale composta da un’abbondanza di rappresentazioni angeliche, che dagli affreschi della volta scendono idealmente verso i loro corrispettivi marmorei posizionati ai lati dell’altare di Giuseppe Torretti.

Si tratta di un sublime progetto compositivo, abbozzato dal Tiepolo in un noto disegno conservato attualmente presso lo Stadelsches Kunstinstitut di Francoforte (dove la disposizione delle figure presenta alcune differenze rispetto all’opera finale). La commissione, voluta dalla Confraternita del Santissimo Sacramento, è documentata da diverse testimonianze ufficiali. Prima fra tutte, la supplica dei confratelli ai deputati della città per far eseguire la decorazione della cappella «con l’ornamento di nobili Pitture…per mano del Signore Gio. Batta Tiepolo Pittore Celebre e Chiaro». Segue la risposta delle autorità, datata 4 giugno 1726, dove viene concessa l’autorizzazione, specificando che i lavori devono essere realizzati con la «sopraintendenza dei Signori Presidenti ad essa nuova fabbrica; alla prudenza dei quali resta raccomandata la Cura, che l’opera delle dette Pitture sia effettuata con proprietà».

Tiepolo, insomma, si trova alle prese con un compito piuttosto difficile: fornire luminosità a un ambiente dotato di una sola finestra, nel contesto di una cappella che presenta ancora una struttura architettonica tipicamente gotica. Uno spazio infelice, che però il pittore riesce a trasformare radicalmente. Innanzitutto, dipingendo in alto un finto “oculo” architettonico dal quale si affacciano alcuni cherubini osannanti accompagnati da una serie di elementi allusivi all’universo musicale: nello spazio sottostante, che viene illusionisticamente illuminato anche da questa apertura fittizia, crea una serie di trabeazioni animate dalle figure degli angeli.

Quello centrale, scorciato e “turibolante” che contribuisce a bilanciare la composizione: due gruppi laterali, emergenti, le cui ombre colorate fanno riferimento alla reale fonte luminosa costituita dalla finestra, che viene evidenziata dai due vasi colmi di spighe, pampini e grappoli d’uva. Nell’area del catino absidale, uno dei particolari maggiormente degni di nota è sicuramente costituito dalle ali in stucco dell’angelo che scende verso l’altare: l’unico che (letteralmente) riesce davvero ad unire la dimensione terrena a quella spirituale, riproponendo un tipo di illusione che può essere definita come squisitamente barocca. Si tratta quindi di un dettaglio favoloso, realizzato dal pittore in soli dieci giorni: la tecnica del rilievo illusorio riappare qui per la seconda volta, dopo essere stata utilizzata da Tiepolo nell’ambito del coevo affresco raffigurante la Cacciata degli angeli ribelli presente nella volta dello scalone di Palazzo Patriarcale, dove la mano di Lucifero si aggrappa alla cornice.

Ogni immagine presente negli affreschi della cappella è stata concepita dal pittore per mezzo di un sapiente uso del chiaroscuro, che dona rilievo alle figure facendole emergere dallo sfondo: un Tiepolo ancora giovane e in “fase di costruzione”, ma tuttavia già noto e ricercato nell’ambiente udinese. La foga del pittore viene tradita da alcuni dettagli tecnici: l’uso del chiodo, ad esempio, o di un altro strumento appuntito per l’incisione delle sagome sull’intonaco fresco. Le due scene del registro inferiore che fanno da cornice al già citato altare marmoreo, raffiguranti rispettivamente Abramo seduto ed addormentato (a sinistra) e Abramo che si accinge a compiere il sacrificio di Isacco (a destra), vengono realizzate da Tiepolo a monocromo: la figura sacrificale del fanciullo nella seconda scena riprende con fedeltà la posizione di uno dei soggetti raffigurati precedentemente dal pittore nel contesto di uno dei soprarchi della veneziana chiesa dell’Ospedaletto. La figura dell’angelo, che ha il ruolo di protagonista in entrambe le scene, è sempre posta in alto per favorire la struttura verticale della composizione.

Se anche nell’ambito di questa commissione sono stati individuati chiari riferimenti ai dettami stilistici del Bencovich (Tiepolo ha ormai abbandonato gli spunti derivanti dalla lezione di Piazzetta, affacciandosi inoltre al cromatismo tipico della produzione di Sebastiano Ricci), evidenti in particolare dal punto di vista della resa delle figure, alcune analoghe tendenze possono essere rintracciate nella paletta raffigurante la “Resurrezione”, collocata nella medesima cappella e realizzata dal Tiepolo alcuni anni dopo. In particolare, il piccolo dipinto è dotato di una sintesi figurativa accompagnata da un disegno vibrante. Non è difficile notare la differenza sussistente tra questa opera e gli affreschi, corrispondente ad un lasso temporale di circa quattro anni: le luci si sfaldano, mentre il colore raggiunge una maggiore consistenza.

Nadia Danelon

 

Redazione

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