La Cattività avignonese (1309-1377) fu un periodo che segnò profondamente la storia della Chiesa cattolica e della politica europea, durante il quale il papato fu trasferito da Roma ad Avignone, sotto il controllo della corona francese. Risultato di una complessa serie di eventi politici, economici e religiosi che coinvolsero il papato e le grandi potenze europee, in particolare la Francia. Questo evento segnò la visione di molti intellettuali dell’epoca che dedicarono alcune delle loro riflessioni più importanti sulla politica del tempo. Per molto tempo la loro visione ha influenzato la critica storiografica su questo fenomeno, reputato da sempre un’epoca buia; in realtà questo momento si inserì in una serie di cambiamenti epocali che coinvolsero l’Europa e i suoi equilibri internazionali.
Le cause della Cattività avignonese
Le cause che portarono alla Cattività avignonese furono molteplici. In primis, affondano le loro radici nelle pretese anacronistiche di papa Bonifacio VIII di imporre l’autorità papale sul potere temporale dei sovrani europei. Il primo a non volere sottostare alle ambizioni di Bonifacio VIII fu il sovrano francese Filippo IV il Bello. Lo scontro tra i due fu un escalation di tensioni, partite con la tassazione del clero in Francia da parte di Filippo IV, alla quale Bonifacio VIII rispose con la bolla Unam Sanctam, passando per la convocazione dei primi Stati generali nel 1302 da parte del sovrano fino alla rottura definitiva con la prigionia ad Anagni del papa nel 1303. Dopo la morte di Bonifacio VIII la situazione a Roma era esplosiva, a causa degli accesi scontri tra le famiglie Caetani e Colonna, al punto che il nuovo pontefice, Benedetto XI dovette trasferirsi a Perugia per sfuggire alla minaccia militare dei Colonna.
A causa di questo clima di tensione, il conclave del 1305 si svolse a Perugia e fu eletto Bertrand de Got, arcivescovo di Lione, con il nome di Clemente V. Il punto di rottura con la tradizione fu immediato: scelse per l’incoronazione papale la città francese di Vienne e non Roma. La decisione di spostare la sede papale ad Avignone nel 1309 venne di seguito, ma non si prospettò mai come scelta definitiva. L’intenzione del ritorno rimaneva costante, ma si attendeva che le difficili condizioni politiche interne a Roma e alla Chiesa fossero favorevoli al rientro.
Una critica storica alla debolezza papale: Giovanni Villani
Giovanni Villani, storico fiorentino e autore di una celebre Cronica che raccoglie i fatti principali di questo periodo storico, fu uno dei primi a denunciare la situazione politica che si era venuta a creare con il trasferimento del papato in Francia. Dalle sue parole traspare un tono critico per la condizione della Chiesa sotto il papato avignonese, sottolineando come la presenza papale in Francia indebolisse il ruolo di Roma, simbolo per eccellenza della cristianità. Come sostiene all’interno di un passaggio contenuto nel IX capitolo dell’opera:
E la Chiesa di Roma, che era la madre di tutte le chiese, venne a essere governata lontano da essa, in una città che non era né Roma né d’alcun altro paese cristiano, ma in una terra che, in una parola, era sotto la tirannia di un solo principe.
Una Chiesa lontana dal suo compito spirituale e sempre più legata agli interessi politici e mondani della politica è quella che traspare da queste parole e sempre meno aderente al compito di guida spirituale della cristianità.
Un pastor senza legge: l’invettiva di Dante Alighieri contro la corruzione papale
Anche Dante Alighieri nella sua celebre Commedia si trovò a parlare, seppur indirettamente, del trasferimento papale ad Avignone. All’interno della sua opera sono citati numerosi pontefici, la maggior parte dei quali sono puniti nei diversi gironi infernali. Dei quattordici pontefici saliti al trono tra il 1265 e il 1316, cioè negli anni della sua vita, Dante Alighieri ne collocò solo uno in Paradiso, Giovanni XXI per la sua attività filosofica. Tutti gli altri per svariati motivi li mise a espiare le loro colpe all’Inferno, in particolare nel girone dei simoniaci, cioè coloro che praticano il commercio peccaminoso di beni sacri spirituali. A questi peccatori è dedicato il XIX canto dell’Inferno, dove Alighieri immaginò di incontrare nella terza bolgia dell’ottavo cerchio tra le varie figure anche papa Niccolò III.
La bolgia è piena di buche rotonde identiche: dei peccatori, conficcati a testa in giù, sporgono i piedi e le gambe, una fiamma percorre dalle dita dei piedi al calcagno le piante dei piedi, mentre i dannati cercano di liberarsi dal tormento. Alighieri si avvicina ad una di queste buche e viene scambiato da Niccolò III per il nuovo papa che dovrebbe prendere il suo posto e costringerlo a sprofondare nella buca:
Là giù cascherò io altresì quando
verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,
allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando.
Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi
e ch’i’ son stato così sottosopra,
ch’el non starà piantato coi piè rossi:
ché dopo lui verrà di più laida opra,
di ver’ ponente, un pastor sanza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra.
Nuovo Iasón sarà, di cui si legge
ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
suo re, così fia lui chi Francia regge.(D. Alighieri, Canto XIX Inferno, vv. 76-87)
Niccolò III attende due figure a sostituirlo nella buca, la prima è quella di papa Bonifacio VIII, accerrimo nemico di Dante Alighieri, l’altra invece è quella di Clemente V. Se Dante Alighieri attribuisce molte colpe a Bonifacio VIII, non di meno ne perdona a Clemente V: lo accusa di essere peggiore del suo predecessore in campo politico. Infatti lo considera il maggior responsabile dell’asservimento del papato a quel re francese, per cui avrebbe poi spostato la sede della curia papale ad Avignone.
Albergo di dolor, madre d’errori per Francesco Petrarca
Un altro autore che non solo riflettè sulla situazione politica, ma visse anche in prima persona i mutamenti nella città di Avignone, fu Francesco Petrarca, poeta e padre dell’Umanesimo. Dopo l’esilio dei guelfi bianchi da Firenze nel 1302, il padre del poeta, Petracco Petrarca, aveva trovato impiego ad Avignone come notaio nella curia papale, portando con sé la famiglia. Tuttavia, nonostante Petrarca abbia vissuto e abbia beneficiato del clima di apertura e cosmopolitismo della città di Avignone, la sua visione della città è profondamente critica.
Petrarca nutriva un’ostilità talmente profonda verso questo luogo che arrivò a dedicarle anche un ciclo di tre sonetti all’interno del suo Canzoniere o Rerum Vulgarum Fragmentum; in particolare nel secondo sonetto di questo trittico, il CXXXVII recitava:
L’avara Babilonia à colmo il sacco
(F. Petrarca, Canzoniere, 137)
d’ira di Dio, e di vitii empii et rei,
tanto che scoppia, ed à fatti suoi dèi
non Giove et Palla, ma Venere et Bacco.
Aspectando ragion mi struggo et fiacco;
ma pur novo soldan veggio per lei,
lo qual farà, non già quand’io vorrei,
sol una sede, et quella fia in Baldacco.
Gl’idoli suoi sarranno in terra sparsi,
et le torre superbe, al ciel nemiche,
e i suoi torrer’ di for come dentro arsi.
Anime belle et di virtute amiche
terranno il mondo; et poi vedrem lui farsi
aurëo tutto, et pien de l’opre antiche.
Se nell’antichità Babilonia era stata sinonimo di vizi e intemperanze, per Petrarca Avignone è diventata la moderna Babilonia, luogo divenuto un sacco ricolmo di vizi sul punto di straripare. Una curia non più dedita ad adempiere al ruolo di guida spirituale affidatole da Dio, ma che anzichè seguire la giustizia e la saggezza, è ormai devota al culto di Venere e Bacco, tra lussuria e i festeggiamenti. Petrarca in questa situazione di tragica deviazione morale auspica ad un evento apocalittico che metta fine alla corruzione della curia pontificia avignonese, che faccia crollare i suoi idoli, ma anche le torri superbe nemiche di Dio che sono state erette in città. In questa speranza auspica che una nuova figura venga a eliminare tutto il male e a ristabilire l’antica virtù, restituendo a Roma la curia, nel vero cuore della cristianità e della latinità.

L’invito a riprendersi il proprio posto a Roma: la visione di Caterina da Siena
Tra le voci più incisive nella critica alla Cattività Avignonese, ci fu Santa Caterina da Siena (1347-1380) la quale adottò una posizione fortemente contraria alla permanenza del papa in Francia e si impegnò attivamente per il ritorno della sede papale a Roma. La sua azione fu sia spirituale che politica, poiché intervenne direttamente scrivendo lettere ai papi e ai governanti dell’epoca. Caterina da Siena considerava il trasferimento del papato ad Avignone una vergogna per la Chiesa e un segno della sua decadenza morale e spirituale. Secondo lei, la lontananza da Roma rendeva il papa succube degli interessi politici della monarchia francese e lo allontanava dalla missione divina della Chiesa.
Caterina da Siena considerava il ritorno del papa a Roma una vera e propria missione, al punto di andare di persona ad Avignone. Non c’è la certezza che Gregorio IX l’abbia incontrata di persona, nonostante questo sono documentate alcune epistole molto sentite sull’argomento. In una celebre lettera rivolta al pontefice, in cui gli scrive «spinta con desiderio di vedervi uomo virile, senza veruno timore o amore carnale proprio di voi medesimo o di veruna creatura» affinchè il pontefice torni ad avere una posizione nella politica internazionale. Nella stessa lettera continua: «dico da parte di Cristo crocifisso, che veniate il più tosto che voi potete […] Voi non veniate con sforzo di gente, ma con la croce in mano come agnello mansueto».
Gregorio IX lascià Avignone il 13 settembre del 1376, rientrando a Roma il 17 gennaio 1377 e mettendo fine al periodo della cattività avignonese. Secondo una visione popolare per molto tempo Caterina da Siena è stata vista come l’artefice del ritorno del papa a Roma. In realtà secondo una visione proposta dalla storica, la professoressa Muzzarelli, il ruolo di Caterina da Siena non fu decisivo, ma certamente la sua azione fu fortemente persuasiva e contribuì a cambiare le sorti.
Prigionia o trasferimento internazionale?
La storiografia ha ritratto la Cattività Avignonese come un periodo buio e sinonimo di “esilio” in cui la Chiesa risultava asservita alla corona francese. Con il tempo gli storici hanno ridimensionato il giudizio in merito a questo evento storico e proponendo una valutazione più equilibrata. Vedere la Chiesa come una prigioniera passiva del potere francese risulterebbe un eccesso, filtrato dallo sguardo degli intellettuali del periodo. In realtà fu un periodo di intensa attività politica e indipendenza che aveva l’obiettivo di riaffermare l’autorità che era stata persa.
Per l’epoca in realtà non era un fatto insolito che la sede papale non risiedesse a Roma. La curia pontificia infatti era itinerante e si spostava frequentemente tra le città dell’Italia centrale, come Viterbo, Rieti o Orvieto. Il clamore fu dettato dal fatto che non era mai accaduto che si allontanasse così lontano. In realtà la distanza rimaneva più simbolica che reale, poiché Avignone rappresentava uno spostamento strategico non indifferente in quel momento storico. Prima di tutto, fu dettato da una ricerca di maggiore centralità: in seguito alla nascita delle grandi monarchie nazionali, il fulcro della grande politica internazionale si stata cominciando a spostare verso l’Europa centrale e del nord. In secondo luogo, la scelta di Avignone permetteva di tenere sotto controllo la situazione a Roma a debita distanza, senza interrompere mai i rapporti diplomatici che non vennero mai interrotti.
Nella tranquillità di Avignone, la Chiesa del periodo ebbe la possibilità di ripensarsi come monarchia, ristabilendo una salda struttura e riorganizzando il governo del territorio. Inoltre a dispetto delle accuse di un lusso eccessivo e della mondanità, liberati dai giochi di potere delle famiglie aristocratiche romane poterono dedicarsi a migliorare l’autorevolezza e l‘organizzazione amministrativa. Ad Avignone venne costruito un solido apparato burocratico, riorganizzando un solido sistema fiscale che consentì un afflusso di denaro cospicuo fondamentale per tenere in piedi la macchina burocratica e le attvità diplomatiche svolte. Non solo solo, con il crescere dell’importanza della città anche la struttura architettonica subì molte modifiche. Il Palazzo dei Papi divenne uno dei luoghi di incontro di grandi artisti e intellettuali, contribuendo a dare ad Avignone un profilo non solo francese, ma proiettato verso una dimensione estremamente cosmopolita.
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Per approfondire:
- A. Barbero, C. Frugoni, C. Sclarandis, Noi di ieri, noi di domani, Zanichelli 2021
- U. Bosco, G. Reggio, Divina Commedia – Inferno, Le Monnier 2010
- M. G. Muzzarelli, Madri, madri mancate, quasi madri – sei storie medievali, Editori Laterza, 2021
- M. Murgia, C. Tagliaferri, Santa Caterina da Siena, in Morgana, 2018