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cento anni morte kafka

Cento anni senza Franz Kafka

dalla newsletter n. 40 - giugno 2024

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13 minuti di lettura

Oggi, 3 giugno 2024, sono passati esattamente cento anni dalla morte di Franz Kafka, l’autore praghese che con i suoi scritti ha segnato, anticipato e suggestionato non una, ma diverse epoche. Pochi artisti riescono a sopravvivere alla spietatezza della storia che li dimentica, li rivaluta (forse più nel male che nel bene) e ne determina l’inevitabile oblio. La cosa paradossale non è tanto che Franz Kafka non rientri in questa categoria, bensì che proprio all’oblio pensava di essere destinato. L’autore, che ebbe più fortuna dopo la sua prematura morte che in vita, ordinò di distruggere i suoi scritti: lo disse all’amico e biografo – vero protagonista del perché ancora oggi celebriamo Kafka – Max Brod e alla sua ultima compagna Dora Dymant. Nessun dei due, fortuna nostra, rispettò le ultime volontà dell’autore.

Cento anni dalla morte di Kafka, eppure lo celebriamo e ricordiamo ancora. Facendo una rapida ricerca online il lettore scoprirà che sono tantissime le iniziative in Italia e soprattutto in quei luoghi kafkiani – Vienna, Praga, in primis – per celebrare il grande scrittore che con la sua visione ha portato a galla le inquietudini del mondo di inizio Novecento, dominato da una costante tensione tra capitalismo e corpi intermedi, in bilico tra due guerre tanto sanguinose quanto distruttrici. Kafka, i cui scritti di maggior importanza si collocano nel decennio 1915-1924, è forse l’autore simbolo di quell’inquietudine tanto personale quanto collettiva: il saggista Erich Heller lo definirà «il creatore della lucidità più oscura nella storia della letteratura».

Cento anni, ma senza tempo

La fortuna delle opere di Kafka continua ancora oggi perché resta uno degli autori più attuali del nostro tempo. I temi che affronta nelle sue opere – dalla più celebre La metamorfosi (1915) fino a Il processo (1924) – sono ancora quelli della società contemporanea, così radicati, barbicati e subdoli che difficilmente trovano una soluzione definitiva e collettiva. La ricerca di significato, il conflitto tra l’individuo e la società, la lotta per l’autodeterminazione, la tensione padre-figlio, il disgusto per la società borghese dei consumi e del lavoro alienante che troviamo nella gran parte dei suoi scritti attraversano le generazioni e restano universali. Kafka ha il dono e la maledizione di entrarci dentro in modo violento, per usare le parole che dedicò ad una delle sue amanti, «è il coltello che usiamo per frugare dentro noi stessi». È un autore che ha saputo catturare con straordinaria precisione sentimenti di alienazione, ansia e isolamento che molte persone continuano a sperimentare oggi. Nei suoi romanzi e racconti, Kafka descrive l’assurdità e l’oppressione della burocrazia, un tema che rimane estremamente rilevante per tutta la sua produzione. Sono molti gli studiosi dell’autore boemo che hanno paragonato le sue descrizioni di istituzioni labirintiche e impersonali con le esperienze moderne di burocrazie governative e aziendali.

La potenza della «Metamorfosi»

Il collettivo è personale con Franz Kafka. Cent’anni dopo le letture delle sue pagine, possiamo continuare a sostenere che le storie che racconta tramite situazioni ambigue e personaggi complessi, costringono tutti noi a confrontarci con dilemmi morali e psicologici senza facili soluzioni. Di tutto questo parla l’autore Giorgio Fontana nel suo ultimo libro, Kafka. Un mondo di verità (Sellerio), che nel volume indaga diversi aspetti relativi all’autore e dedica ampio spazio all’analisi della sua opera più celebre La metamorfosi (chiedendosi, tra le altre cose, in che cosa si trasformi davvero Gregor Samsa), mettendo l’accento sulla professione del Gregor-umano e tracciando così un quadro di pensieri sorprendentemente attuale:

Ancora a letto Gregor effettua una ricognizione del suo nuovo corpo, ma senza farsi domande sulla trasformazione in quanto tale; più che altro si rassegna. Qui in effetti è ancora molto essere umano lavoratore e ben poco insetto: si lamenta a lungo della durezza della professione (che avrebbe abbandonato da tempo se non dovesse provvedere alla famiglia); è terrorizzato perché ha perso il primo treno e rischia di mancare quello delle sette; pensa di darsi malato ma sarebbe imbarazzante – non ha mai preso permessi, e il principale lo potrebbe rimproverare di essere un fannullone. Infine, quando il procuratore aziendale è in effetti giunto a far luce sull’assenza e lo minaccia dietro la porta chiusa, Gregor si chiede perché la sua ditta sia immersa in un clima di perenne sospetto e intimidazione.

La finezza e la crudeltà che accompagnano La metamorfosi raggiungono l’apice nel rapport…

Agnese Zappalà

Classe 1993. Ho studiato musica classica, storia e scienze politiche. Oggi sono giornalista pubblicista a Monza. Vicedirettrice di Frammenti Rivista. Aspirante Nora Ephron.

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