La cultura cinese è di quelle misteriose, affascinanti, ammalianti nelle loro molteplici declinazioni e si riflette appieno (come spesso accade) nella sua filmografia, tanto veritiera o camuffata a seconda del contesto socioculturale in cui è collocata e del suo potere d’impatto sulle forme d’arte. Tra queste, a prescindere da lingue e continenti, il cinema ha sempre saputo elevarsi per la sua efficacia nell’istruire, informare, influenzare, pur non essendo sempre guidato da nobili intenzioni; e ancora oggi, con la stessa efficacia, facilita la comprensione di quanto i libri spesso non riescono a veicolare, o che comunicano non senza una certa fatica. Ancora oggi, dopo più di cento anni, ci affidiamo ai film per conoscere, capire, ed entusiasmarci; e se non fosse per l’oggettiva difficoltà dovuta alla lingua (per alcuni un tocco di brio, per altri ostacolo insormontabile) la realtà vivace e coloratissima della Cina sarebbe alla mercè di un qualunque cliente di Netflix, e quindi oggetto di apprezzamenti e speculazioni del grande pubblico alla pari di qualunque altra forma d’arte orientale.
Proprio come la cultura di cui si fa specchio possiede mille sfaccettature, quella cinese è una cinematografia talmente varia che basta poco al pubblico per sentirsi spaesato; arricchita da prodotti differenti in qualità e tipo, è adatta infatti ad accontentare gli spettatori più pretenziosi così come quelli a cui è cara l’essenzialità, a livello espressivo. Detto ciò, sembrerebbe essere piuttosto semplice avvicinarvisi e mostrare evidente apprezzamento per ciò che ha da dare: se disposti a superare la barriera dei sottotitoli, quantomeno a provare, non si tratta in effetti di una fatica erculea. Basta affidarsi a dei titoli portatori di un certo appeal capaci di fare leva sulle più disparate personalità, solleticando i giusti più variegati e la curiosità più genuina. E infine, che aiutino lo spettatore a capire a cosa realmente si stia approcciando.
Meglio cominciare dal secondo dopoguerra, dal punto di vista storico anni un po’ burrascosi: la massiccia opera di propaganda ad opera del Partito Comunista Cinese si accoppia anche dal punto di vista artistico all’azione della censura, finalizzata ad enfatizzare pellicole sostenitrici del regime maoista e stroncare qualunque tendenza dissidente. E a film esaltazione della classe operaia e sua rettitudine si accompagnano in questo periodo anche pellicole appartenenti al cosiddetto Gongfupian: un genere di film costruito attorno al combattimento, rigorosamente svolto a mani nude e secondo regole ben precise e fondato su rigidi principi di moralità. Un genere cinematografico non nuovo in patria, ispirazione per molti lungometraggi contemporanei, e che proprio in questi anni tocca l’apice della fama grazie a Lu Wei.