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Afghanistan: enduring freedom
Foto di Laila Pozzo - fonte, www.elfo.org/media/photogalleries/afghanistan_enduringfreedom

Come mantenere una libertà che non c’è? «Afghanistan: enduring freedom»

11 minuti di lettura

Afghanistan: enduring freedom. La domanda della voce fuoricampo martella le tempie per la maggior parte dello spettacolo. Che cosa ci interessa di queste storie? Perché ne parliamo?

Perché sono argomenti che tutt’ora ci toccano nel profondo, perché quello che sta avvenendo in Medio Oriente è un problema umano; il teatro si occupa da quando è nato dei problemi dell’umanità, in particolar modo della guerra, del rapporto con gli dèi e del rapporto con l’altro.

Afghanistan: enduring freedom
Foto di Laila Pozzo – fonte www.elfo.org

Il contesto di scrittura

Afghanistan: enduring freedom è un insieme di cinque testi che trattano da diversi punti di vista la storia dell’Afghanistan dal 1996 al 2010. I testi sono stati scritti da autori londinesi per il progetto del Tricycle Theatre di Londra.

Afghanistan: enduring freedom
Foto di Laila Pozzo – fonte www.elfo.org

L’anno era il 2009, sono trascorsi soli otto anni dalla tragica vicenda delle Twin Towers; immagini giornalistiche che ancora spaccano il cuore.

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Il leone di Kabul, Colin Teevan: cos’è giustizia.

Il primo testo di Afghanistan: enduring freedom ci presenta una situazione di stallo: la direttrice di un’agenzia ONU, con il suo assistente, chiede giustizia a un mullah talebano per la scomparsa di due colleghi. Lo stallo sta proprio nel termine giustizia: cosa è giustizia? Esiste una giustizia per tutti? O la cultura impone dei valori specifici e giusti?

Afghanistan: enduring freedom
Foto di Laila Pozzo – fonte www.elfo.org

Un dibattito serrato mantiene i due personaggi testa a testa incapaci di far soccombere l’altro. La donna cerca di portare il mullah dalla sua parte, ma lui riesce a girare le sue stesse parole e regole contro di lei. Lei è donna, lui non l’ascolta. Lei afferma di avere dei diritti inalienabili, lui rinfaccia che l’ONU ha promesso di rispettare la loro cultura. 

«Volete che noi facciamo come voi. Volete che noi diventiamo voi», dice il mullah, non a torto. Chi ha ragione? Chi è nel giusto? La risposta a queste domande non c’è: la direttrice stessa si trova incastrata nei dettami della sua organizzazione e l’uomo è rigido sulle sue scelte.

Ismael, l’assistente della direttrice, riflette invece la situazione di chi non è estremista, ma è costretto ad abitare in quel Paese: «Io sto dalla parte di chi ci rimane».

Questo primo testo rappresenta il conflitto infinito e vano tra le culture, perché non si potrà mai avere una giustizia uguale per tutti, ma nemmeno sarebbe giusto averla se ciò volesse dire distruggere le culture. Quindi,che fare?

Miele, Ben Ockert: quando l’esterno si copre gli occhi.

«Tu puoi parlare di miele, ma se non l’hai in bocca, le tue parole non avranno lo stesso gusto». Così dice il detto, parafrasato, del comandante Massoud: le parole vuote, non hanno lo stesso valore di quelle fondate su promesse veritiere.

Afghanistan: enduring freedom
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Alla richiesta di recuperare dei missili americani per il governo, il comandante è speranzoso nell’ottenere l’aiuto dagli Alleati. Speranza vana. Gli americani non arriveranno, nemmeno dopo cinque anni di attesa. La tragicità non sta solo nel mancato aiuto, ma sta nel patatrack causato dagli americani stessi vendendo missili a chiunque li richiedesse senza considerarne le conseguenze.

Tragedia ancora più sconvolgente accade nel 2001: Le Twin Towers? Anche, ma non solo. Il comandante Massoud è stato ucciso da un attacco suicida nel momento in cui stava cercando di collegarsi con l’Occidente per poter ottenere aiuto. Fu l’ultimo a sperare in un Afghanistan libero e autonomo. Ma la notizia passò sotto silenzio. Non dico che una vita sia più importante di migliaia, ma forse è allo stesso livello.

Afghanistan: enduring freedom
Foto di Laila Pozzo – fonte www.elfo.org

L’importanza del Paese non cambia il fatto che in entrambi i casi si tratti di vite umane.

Dalla parte degli angeli, Richard Bean: due pesi e due misure.

Nella terza parte di Afghanistan: enduring freedom, una ONG sta valutando come intervenire in aiuto all’Afghanistan: mandano Jackie affinché possa essere la responsabile di nuove coltivazioni e nuovi accordi con i proprietari terrieri.

Tutto sembra filare liscio, quando si scopre che parte dell’accordo è promettere in sposa bambine di dieci, undici anni a uomini di quaranta. Qual è il limite di sopportazione per noi occidentali nel non voler intaccare una cultura? Quanto siamo disposti a spingerci pur di mantenere saldi degli accordi politici ed economici? Quanto siamo disposti a imporci?

Afghanistan: enduring freedom
Foto di Laila Pozzo – fonte www.elfo.org

Quello presentato da Jackie è raziocinio nel voler mantenere la cultura intatta senza doversi imporre. Ma poi cosa accade? Jackie difende la ragazzina che sta per diventare moglie di un quarantenne, ma il suo capo, a Londra, compie comunque un atto di violenza. L’uomo modifica la foto di una ragazzina afghana per renderla più bella e ottenere più fondi per la sua ONG.

Anche questo è imporre la propria cultura: il voler forzare canoni estetici occidentali su un viso e una cultura orientale. Modificare una foto in questo senso, a scopo di lucro, è una violenza alla bambina, è usare il suo corpo, renderlo migliore e poi sfruttarlo a proprio piacimento.

Volta stellata, Simon Stephens: non del tutto “eroe”

Passiamo quindi (dopo la pausa) al punto di vista dei soldati anglofoni in missione in Afghanistan. Sembra proprio che questi uomini siano freddi, crudeli contro i talebani. Tornati a casa però il sergente fa mostra dell’aspetto più umano dei suoi sentimenti. Il soldato vuole bene al popolo afghano, ai bambini che grazie a lui possono andare a scuola. È sconvolto dagli episodi di violenza gratuita ai quali ha assistito e non può sopportare che la moglie gli dica che tutto quello che fa è inutile.

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Foto di Laila Pozzo – fonte www.elfo.org

Vediamo cosa succede anche a casa di chi è stato là per molto tempo e tornato a casa è cambiato. Una moglie che vorrebbe solo che il padre di suo figlio stesse a casa di più, che vorrebbe non vivere nella paura della morte del marito. Lei è molto umana nel suo pensiero, non è raffigurata come la donna che accetta utopica che il marito vada in guerra regolarmente. La donna è obiettivamente egoista, ma non ha alcun torto.

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Quando si è eroi? Quando si rinuncia al proprio bene per poter aiutare gli altri? Ma chi sono gli altri? Qual è il nostro bene?

Come se quel freddo, Naomi Wallace: la quotidianità della guerra.

Con Come se quel freddo il viaggio di Afghanistan: enduring freedom, si avvia alla conclusione. Due sorelle afghane stanno per partire per l’Inghilterra, una ci è già stata e l’altra no. Una indossa solo l’hijabi, l’altra il burka blu. Una è stata tra le braccia di un uomo, l’altra è un riccio. Ragazze felici, pronte a partire con qualche titubanza ma che all’improvviso incontrano un soldato.

Afghanistan: enduring freedom
Foto di Laila Pozzo – fonte www.elfo.org

Dice di essere nella sua camera, ma non sembrerebbe, vista la scena. Sembra tutto un po’ strano. Forse è un sogno, forse è disturbo da stress post traumatico del ragazzo…

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Una storia ricca di tensione, di amore, ma soprattutto di quotidianità. Le ragazze vivono nel quotidiano queste situazioni che a noi sembrano straordinarie, folli. È normale per le due essere spaventate, vedere un soldato, doversi nascondere.

Afghanistan: enduring freedom
Foto di Laila Pozzo – fonte www.elfo.org

Questo testo finale di Afghanistan: enduring freedom ci porta proprio nel cuore delle persone che hanno vissuto e vivono tragedie come quelle che ancora avvengono in Medio Oriente. Non siamo più in ambienti ufficiali, militari, istituzionali. Siamo nella vita di due giovani ragazze che sognano un futuro da maestre, che vogliono vivere la loro vita come vorrebbe ogni ragazza occidentale.

Afghanistan: enduring freedom
Foto di Laila Pozzo – fonte www.elfo.org

Come se quel freddo ci porta nei cuori e deve rimanerci nel cuore, per ricordare quante vite vengono distrutte e rovinate dal flagello della guerra.

Marialuce Giardini

Redazione

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