Prima di partire per la clinica svizzera dove ha deciso di ricorrere all’eutanasia, Dominque Velati ha dato una piccola festa nel bar sotto casa. Secondo i piani, morirà il 15 dicembre, un martedì: la notizia della sua morte arriverà qualche giorno più tardi. A settembre le hanno diagnosticato un tumore al colon. Per qualche tempo ha tentato di fermarlo. Ha iniziato la chemioterapia. Poi ha visto che non c’era nulla da fare. Il tumore si andava estendendo, la metastasi correva veloce. Fermare il processo di decomposizione e morte che stava avvenendo nel corpo di Domenique era impossibile.
Così l’infermiera, attivista radicale, ha deciso di smettere di soffrire. Tre mesi prima si era rivolta a Marco Cappato, esponente di spicco del Partito Radicale. Grazie a lui si era messa in contatto con specialisti svizzeri e aveva partecipato ai congressi dell’associazione Luca Coscioni per la ricerca scientifica. Le sue ultime parole, prima di lasciare l’Italia per l’ultima volta sono state: «Parliamone! Parliamone! Parliamone! La vostra vita vi appartiene, e quindi anche la morte. Perché averne paura?».
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Già anni fa Piergiorgio Welby aveva esortato Giorgio Napolitano a richiedere alle camere una legge, in conformità con la costituzione, sul fine vita. E già da anni la galassia radicale si batte affinché ci sia anche una volontà politica, dietro a questo processo legislativo. Le firme raccolte giacciono nel dimenticatoio.
L’eutanasia non è più una pratica eccezionale. Lo stesso Cappato, nella sua intervista a Il Fatto Quotidiano, afferma che negli ultimi mesi, senza contare le richieste anonime, si sono rivolte a lui quasi novanta persone. Spesso l’associazione Coscioni riesce a garantire al malato l’eutanasia in Svizzera o all’estero, dove questa pratica è legale. In Italia invece è sanzionata con anni di carcere. Sempre nella stessa intervista, infatti, Marco Cappato ricorda del Caso Welby, quando Mario Riccio, anestesista che aveva svolto la pratica, rischiò 12 anni di carcere, appunto. Venne prosciolto in quanto Piergiorgio non morì per overdose da anestetico, bensì soffocato per via del distacco del tubo respiratore.
Per onorare nel migliore dei modi Dominique, oggi, occorre ricominciare a discutere sul tema. Contrariamente a quanto sostiene Marco Cappato, Dominque ha affermato, nella sua ultima intervista, che in Italia una deficienza in questo campo è causata sia dai politici sia dai cittadini italiani. Quello che manca, in Italia, non è la volontà popolare, ma un dibattito scientifico, razionale e democratico. E questa mancanza non può che essere un deficit di libertà e progresso. L’ostilità a questa pratica è infatti motivata tramite obiezioni etiche e religiose. Una certa concezione di vita, nata in seno alle religioni monoteistiche, viene esposta come scudo contro i cosiddetti “pro-morte”. Secondo questa concezione la vita sarebbe il miglior dono che un Essere trascendente, non necessariamente il Dio Cristiano, ci ha donato. Questa interpretazione dell’esistenza umana va però in contrasto con il principio liberale dell’autodeterminazione e della libera scelta. L’uomo non è altro che ciò che fa. E ciò che fa è dato dalla sua volontà di agire e di decidere, date circostanze o eventi totalmente assurdi.
Tra tutti gli eventi assurdi, la morte è decisamente la più assurda. Questa si pone davanti a noi senza possibilità di fuga. E ci riguarda in prima persona. Anche in questo caso, dunque, siamo costretti a scegliere, quando non è la morte a scegliere noi. Riguardo a ciò, l’eutanasia si divide in due rami: quella cosciente e quella dell’impossibilità. Persone come Dominique o come i depressi cronici si trovano, al momento della richiesta, in uno stato cosciente. La seconda categoria invece presenta un problema di dimensioni più vaste: ciò che prima abbiamo detto, sulla volontà di scelta, risulta un argomento inutilizzabile in questo caso, in quanto, come già dicevamo, queste persone non hanno la possibilità di scegliere. Per superare questa barriera basterebbe approvare, insieme ad una legge sull’Eutanasia, una legge sul testamento biologico. Così l’inghippo della volontà verrebbe a mancare e permetterebbe ad ogni singolo cittadino consenziente, in circostanze favorevoli, di veder riconosciuta la sua volontà.
Dunque, siamo arrivati a un punto di non ritorno: urge una legge. E per attirare l’attenzione sul problema, i Radicali hanno deciso di autodenunciarsi, ricorrendo così alla disobbedienza civile. Cappato ha anche dichiarato la nascita di un’associazione che aiuterà i malati che vogliono praticare l’eutanasia all’estero. Questo a dimostrazione che la legge non andrebbe a imporre un modello di pensiero anti-vitalistico, come reputano gli oppositori, bensì a riempire un gap presente nella nostra giurisdizione.
di Mattia Marasti
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