Prima che l’ordine su Amazon di costumi usa e getta prendesse il sopravvento, ad Halloween il travestimento più pigro era il vecchio lenzuolo bucato all’altezza degli occhi. Il fantasma è anche la più basica delle decorazioni, basta un foglio di carta da ritagliare, e rimane un comodo espediente per rendere spaventoso un edificio. Inoltre, i fantasmi sono vivi nell’immaginario della paura, a popolare case infestate e a osservare il mare in tempesta dalle scogliere.
Eppure non sono sempre stati spaventosi. Nel corso dei secoli, queste presenze impalpabili hanno cambiato forma e significato, riflettendo le paure, le speranze e le convinzioni dei vivi. In Europa, dalla Preistoria fino al Novecento, il fantasma ha oscillato tra messaggero, custode di memoria, ammonimento e talvolta, come sappiamo, simbolo di terrore. Nel suo cuore di ectoplasma ha spesso incarnato il legame tra vivi e morti, la moralità della comunità e il senso di continuità con il passato. Solo nelle epoche più recenti, con l’affermarsi della narrativa gotica e della paura pop contemporanea, si è identificato in definitiva nel mondo dell’horror e dell’immaginazione, pur conservando da qualche parte il suo vecchio ruolo di specchio dell’anima.
Le prime tracce di credenze nell’aldilà risalgono alla Preistoria: tombe, sepolture rituali e pitture rupestri suggeriscono che i nostri antenati percepissero la morte non come fine assoluta, ma come transizione verso un mondo parallelo. I fantasmi erano spesso spiriti di antenati o figure protettive, e la loro bontà o malvagità era definita dal loro comportamento terreno. Presso le società celtiche e germaniche, i morti potevano tornare per avvertire dei pericoli, proteggere il clan o richiedere onori rituali. Babilonese è invece la tavoletta che raffigurerebbe la prima rappresentazione di un fantasma: secondo l’assiriologo Irving Finkel, sarebbe un defunto tornato in cerca di compagnia e ricondotto al suo posto da una donna.
Nell’antichità classica, le fonti letterarie confermano il ruolo ambiguo – e non necessariamente spaventoso – dei fantasmi. Omero, nell’Odissea, riporta delle evidenti credenze ancestrali mediterranee: le anime sono rappresentate come ombre prive di sostanza, che possono comunicare con i vivi se invocate con i rituali corretti. Nell’Eneide di Virgilio si narra l’incontro tra Enea e il padre Anchise nell’oltretomba, un dialogo che non genera paura, bensì consolazione e insegnamento (ricordando il valore del legame con gli antenati). Il fantasma non è mostruoso, ma è il mediatore tra presente e passato. In Grecia e a Roma le apparizioni avevano spesso valore morale o rituale: la mancata sepoltura o il mancato rispetto dei riti funebri poteva suscitare l’ira degli spiriti, ma con scopi concreti, legati alla protezione della comunità e della tradizione.
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Nel Medioevo europeo, il fantasma si iniziava a mescolare con la cristianità, senza che la spiritualità pagana sparisse. Il confine tra visibile e invisibile, realtà e percezione, era più permeabile che mai. Anzi, lentamente l’oltretomba andava perdendo la rigida distinzione tra punizione e beatitudine eterna, iniziando ad accogliere l’idea del cambiamento e della redenzione.
Il concetto di Purgatorio, sviluppato a partire dal VI secolo dalle idee di Sant’Agostino e di Gregorio Magno e diffuso nei secoli successivi, forniva una cornice teologica perfetta per queste apparizioni. Le anime pentite potevano iniziare a passare attraverso un luogo di purificazione temporanea, dal quale potevano tornare per chiedere suffragi, messe e preghiere. Nei Dialoghi di Gregorio Magno, i confratelli morti appaiono ai monaci, esortando alla carità e alla preghiera; Beda il Venerabile descrive anime penitenti in visioni che mostrano la misericordia di Dio; Orderico Vitale racconta di cavalieri erranti e torme di morti che vagano finché qualcuno non prega per loro.
L’universo medievale era permeabile: Cielo, Terra e Inferi comunicavano. Sogni, visioni e apparizioni erano un attimo di contatto con l’invisibile. La notte e l’autunno erano simbolicamente il tempo delle soglie, quando il mondo materiale e quello spirituale si toccavano senza fratture. La memoria dei defunti si trasformava in istituzione: Gregorio III, nell’VIII secolo, istituì la festa di Ognissanti il 1° novembre; i monaci di Cluny, nel X secolo, introdussero la Commemorazione dei Defunti il 2 novembre, cristianizzando le feste pagane di Samhain e ritualizzando il dialogo tra vivi e morti.
Le tradizioni popolari rafforzavano questa visione: lumi accesi alle finestre, pane offerto ai poveri in memoria dei defunti, visite ai cimiteri e alle tombe. Con il Rinascimento e il Barocco, i fantasmi assumevano nuove forme: la letteratura seppe trasformarli in figure narrative, spesso con scopi morali o estetici. Un esempio su tutti si ha con Shakespeare, che utilizza gli spiriti non solo per spaventare, ma per condurre il protagonista alla riflessione morale; l’apparizione del fantasma del padre di Amleto diventa simbolo della responsabilità, della memoria e del senso di giustizia.
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È tra Settecento e Ottocento che la percezione dei fantasmi prende la svolta definitiva: la narrativa gotica inglese e tedesca trasformano l’apparizione in figura inquietante, simbolo di paure personali e inquietudini storiche. Racconti di case maledette, castelli abbandonati e spiriti vendicativi riflettono la tensione crescente (e mai più risolta) tra razionalità e irrazionalità. Anche il teatro fa la sua parte, popolando le coscienze borghesi di ulteriori spiriti: da Mozart a Verdi, passando per Puccini, il soprannaturale è emozione, dramma e simbolo di ingiustizie o desideri irrealizzati. Il fantasma non è più solo figura religiosa, ma veicolo di tensioni sociali e culturali.
Nell’Ottocento e nel Novecento, il fantasma assume anche valenze politiche. Karl Marx apre il suo Manifesto del Partito Comunista con l’immagine dello “spettro del comunismo” che si aggira per l’Europa, evocando una presenza invisibile, temuta e discussa, simbolo di trasformazioni inevitabili. Qui il fantasma diventa metafora politica: non più messaggero spirituale, ma idea inquietante e mobilitante, che lega la memoria storica alla critica sociale.
Nel XX secolo, il fantasma si rinchiude nella mente e diventa sempre più psicologico, simbolico e letterario. Romanzi, film e racconti usano il fantasma come specchio della coscienza, dei rimpianti, dei traumi personali o collettivi. Il cinema horror e la letteratura popolare trasformano le apparizioni in terrore puro, ma il fascino morale e simbolico non scompare: fantasmi, spettri e ombre continuano a rappresentare memorie, ingiustizie e legami sociali. La guerra, le rivoluzioni e i grandi traumi del Novecento conferiscono al fantasma anche valenze storiche e collettive: essi portano la memoria dei morti, ma anche dei caduti, degli oppressi, dei sogni infranti dei popoli.
In ogni epoca, i fantasmi hanno portato memoria e insegnamento: oggi, tra Halloween, film e letteratura, possiamo ancora percepire vagamente nell’inconscio collettivo qualcosa che lega tutti gli umani: il culto dei morti, il legame con il passato, l’immortale dubbio del “cosa c’è dopo”. Chissà qual è il futuro dei fantasmi: chi vivrà, vedrà.
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