fbpx

Se fosse proprio l’Unione Europea
a salvarci dalla crisi democratica?

5 minuti di lettura

Abbiamo spesso sentito parlare di deficit democratico dell’Unione Europea. Non è un tema nuovo e anche noi de Il fascino degli intellettuali abbiamo cercato di tracciarne una mappa. Ora, siamo in un periodo di confusione democratica e l’aria che si respira in Italia in queste settimane è sempre più pesante. Siamo alla vigilia del voto sulle trivelle, abbiamo varato la riforma della Costituzione, è iniziata ufficialmente la corsa verso il referendum costituzionale del prossimo autunno caldo e la tornata amministrativa si avvicina senza che gli schieramenti politici si siano ancora ben delineati. Il cittadino italiano è immerso in un vortice di informazioni che lo rende spesso incapace di elaborare un giudizio critico e oggettivo su ciò che sente e legge e, per questo, si riduce spesso a spettatore di una partita della quale, a malapena, riconosce il colore delle maglie dei giocatori e i loro schieramenti.

In tutto questo overload di (dis)informazioni, di tanto in tanto salta fuori la parola Europa, o Unione Europea, spesso accompagnata da qualche smorfia negativa o battuta in sottofondo. L’Unione è infatti vista e descritta come il cane da guardia cattivo che, sotto la guida tedesca, impone il rispetto delle regole senza guardare in faccia nessuno. Spesso le decisioni prese dai cosiddetti burocrati europei sono viste in conflitto con il piano nazionale che per questo è costretto a subire gli effetti della cecità e della distanza di Bruxelles. In questa concezione, variamente sostenuta da diversi schieramenti politici e cavalcata dai partiti euroscettici, gli stati nazione sono visti come il campione della legittimità democratica. Sono essi infatti i custodi fedeli della volontà dei rispettivi demos e per questo i portatori dei valori di democrazia. Argomento spesso usato dai critici dell’UE è la debolezza del Parlamento Europeo, organo in teoria rappresentante diretto dei cittadini sul piano sopranazionale ma molto spesso relegato a pallida assemblea col solo compito di ratificare le decisioni della Commissione.

Ma le cose stanno sempre così? È sempre vero che i parlamenti nazionali sono campioni di democrazia mentre quello europeo è solo una grigia plenaria senza poteri e senza capacità di influenza? Oppure potrebbe essere che le parti si invertano, che i parlamenti nazionali siano relegati a semplice organo di ratifica delle decisioni del governo, che si spenga la discussione parlamentare e che il compito di preservare i valori democratici diventi competenza del Parlamento Europeo?

Leggi anche:
Identità europea: reale o presunta?

Ci poniamo questo quesito a pochi giorni dal voto di mercoledì 13 Aprile del Parlamento Europeo, seduto in plenaria a Strasburgo, che si è espresso con parere non vincolante riguardo i recenti sviluppi politici in Polonia, sottolineando la grave minaccia incombente per la democrazia, i diritti umani e lo stato di diritto. Con 513 voti favorevoli, 142 contrari e 30 astenuti, i parlamentari europei hanno condannato la deriva anti-costituzionale che il governo guidato dalla destra populista del PiS (Diritto e Giustizia) ha preso e già si sta pensando ad un secondo passo, ossia aprire una procedura legale contro Varsavia.

Non è certamente un periodo di grande feeling tra Bruxelles e la capitale polacca. Lo avevamo già scritto noi a Maggio dell’anno scorso, commentando il voto delle presidenziali e l’ascesa di Andrej Duda:

«Duda si è espresso a sfavore della de-carbonizzazione del paese e dell’adozione dell’Euro e ha fondato i suoi discorsi sulla scia di un nuovo e preoccupante sciovinismo e nazionalismo in stretta vicinanza con l’Ungheria di Orban. Staremo a vedere cosa cambierà in Polonia di qui ai prossimi mesi, ma certo è che un preoccupante vento di destra populista ha fatto il suo ingresso nei palazzi di uno dei sei stati più importanti dell’Europa e questo avrà sicuramente qualche effetto, non irrilevante, nello scacchiere europeo».

A fine ottobre è poi arrivata la vittoria del PiS anche nelle elezioni per il primo ministro, che hanno visto l’affermarsi di Beata Szydlo, la quale, sin da subito, ha mostrato tutto il suo disinteresse per collaborare con l’Unione. Nonostante i numerosi tentativi di dissuasione, si è dato il via in Polonia ad una serie di cambiamenti istituzionali radicali, di cui il più importante è la riduzione dell’indipendenza della Corte Costituzionale polacca, i cui verdetti sull’incostituzionalità delle riforme attuate dal governo sono stati apertamente ignorati dalla maggioranza di estrema destra. La stessa Commissione di Venezia, corpo del Consiglio d’Europa col compito di tutelare il buon funzionamento democratico degli stati aderenti si era espressa a sfavore sulla deriva autoritaria di Varsavia, che ha però puntualmente rigettato le raccomandazioni. La stessa Commissione Europea aveva annunciato a Gennaio la possibilità di una procedura che farebbe perdere alla Polonia il suo diritto di voto come paese membro.

A difesa di Varsavia si sono schierati l’alleato ungherese, che, non a caso, ha gli stessi problemi con Bruxelles, e il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, polacco del partito Piattaforma Civica, che, col rischio di non essere confermato per proseguire il suo mandato, non vuole perdere l’appoggio del suo popolo. Di ben altra opinione è invece quella del capogruppo dell’ALDE al PE, Guy Verhofstadt che ha tuonato:

«Il rispetto per i valori europei non è una scelta, è un obbligo».

E infatti i valori su cui l’Unione si fonda sono il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e quello dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori, enunciati nell’articolo I-2, sono comuni agli Stati membri. Inoltre, le società degli Stati membri si caratterizzano per il pluralismo, la non discriminazione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la parità tra uomini e donne. Tali valori svolgono un ruolo importante, e soprattutto in due casi concreti. In primo luogo, il rispetto di questi valori è una condizione preliminare per qualsiasi adesione di un nuovo Stato membro all’Unione secondo la procedura enunciata all’articolo I-58. In secondo luogo, la violazione di tali valori può comportare la sospensione dei diritti di appartenenza di uno Stato membro all’Unione (articolo I-59).

Leggi anche:
L’illusione europea di poter restare in mezzo al guado

Ora, non sappiamo se l’Unione procederà con l’applicazione dell’articolo I-59 e sospenderà i diritti politici della Polonia. Quello che però è importante sottolineare è la presa di posizione del Parlamento Europeo, che si è preso carico come istituzione sopranazionale di garantire l’osservazione dei principi democratici.

Questo episodio assume un’importanza rilevante se usato come strumento di riflessione della politica e del dibattito nazionale. Il ridondante refrain dei critici dell’Unione Europea ormai stanca, soprattutto quando è accompagnato da elogi per la capacità degli stati nazione di realizzare la volontà del proprio demos. Insomma, se il 65% dei polacchi intervistati dichiara di sentire la propria democrazia a rischio, pensiamo che gli stessi non guarderebbero all’UE come possibile garante dei propri diritti e principi?

Abbiamo detto all’inizio della nostra riflessione che siamo in un periodo di confusione democratica a livello nazionale. La cosa non vale certamente solo per noi italiani e per i cittadini polacchi, ma potrebbe essere estesa ai nostri amici francesi che dopo la strage parigina hanno corso seriamente il rischio di modificare la propria costituzione. Questi episodi, sempre più frequenti, ci dovrebbero però far riflettere sull’importanza di investire e legittimare un piano transnazionale europeo, che si faccia garante e attore protagonista, attraverso i suoi organi democratici, Parlamento in primis, dei valori democratici di tutti i cittadini europei. Dovremmo smettere per un momento di pensare solo all’Unione delle frontiere e dei muri, dell’intransigenza economica e del rigore, ma dovremmo guardare all’Unione come un piano politico che coadiuva quello nazionale. Dovremmo pensare all’Unione come una possibilità in più per esercitare e vedere protetti i nostri diritti democratici in quanto cittadini. Pensare di circoscrivere un sistema democratico ad un territorio è limitante e limitativo e per questo si dovrebbe potenziare un sistema di tutele e garanzie su più livelli e allo stesso tempo con più centri (locale, regionale, nazionale e europeo) così da aumentare i canali della democrazia.  Ci viene a tal proposito in mente il celebre adagio di Jane Addams, la quale scriveva:

«La cura per le malattie di una democrazia è più democrazia».

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!

Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!

Francesco Corti

Dottorando presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano e collaboratore dell'eurodeputato Luigi Morgano. Mi interesso di teorie della democrazia, Unione Europea e politiche sociali nazionali e dell'Unione. Attivo politicamente nel PD dalla fondazione. Ho studiato e lavorato in Germania e in Belgio.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.