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Duomo di Tolmezzo. Interno

Giacomo Linussio e Nicola Grassi:
mecenate e pittore
nella Carnia del Settecento

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Nicola Grassi - Duomo di Tolmezzo. Interno
Duomo di Tolmezzo. Interno

Giacomo Linussio (1691-1747), noto imprenditore tessile, si era fatto da solo: aveva sviluppato un’industria che dava lavoro a molte famiglie della Carnia, portatrice di un’autentica eccellenza artigianale. Il celebre galantuomo incarnava inoltre le caratteristiche tipiche dei mecenati settecenteschi: combinando la sua passione per le arti ad un notevole gusto letterario, incoraggiava i maggiori talenti locali dell’epoca affidando loro importanti commissioni, che contribuivano a perpetuare la memoria del suo successo. Fontebasso, Chiaruttini, l’architetto Schiavi: si trattava di personaggi molto noti nell’ambiente culturale friulano, delle cui opere Linussio era committente diretto o indiretto. L’imprenditore era quindi divenuto il simbolo dell’élite tolmezzina del suo tempo:

«ma se poi è vero, com’è incontestabile, che le Arti sono quelle che rendono le nazioni ricche, e colte, e che dilatano la loro potenza, chi mai rese più cospicua detta Terra di Tolmezzo, quanto Giacomo Linussio nell’introdur che fece le manifatture di tele in Carnia?».

Una commissione particolare, tuttavia, ne consacrava la fama per l’eternità: quella relativa al famoso ciclo composto da diciassette dipinti ad olio su tela, ponderati con lo scopo di decorare l’interno del Duomo di Tolmezzo (UD) e realizzati nel corso del biennio 1731-32. Il pittore era decisamente noto, si trattava del carnico Nicola Grassi (1682-1748), nato a Formeaso di Zuglio e attivo con la propria bottega nella città di Venezia. I suoi capolavori erano sparsi nelle chiese di tutto il territorio carnico: il suo stile risentiva a più livelli dell’influenza formale del Piazzetta e di quella coloristica del Ricci.

Non era la prima volta che il Grassi si confrontava con alcuni dei soggetti richiestigli da Linussio: ne aveva avuto occasione, ad esempio, contribuendo alla decorazione dei pennacchi nell’ambito della veneziana chiesa dell’Ospedaletto (una commissione notevole, compiuta nel primo decennio del XVIII secolo, cui aveva contribuito anche l’allora giovanissimo Giambattista Tiepolo). Tuttavia, le opere destinate al Duomo di Tolmezzo gli fornivano un’occasione per osare maggiormente: poteva infatti “personalizzare” le figure rappresentate, giocando sull’espressività dei volti e sulle impressioni sempre differenti legate alla resa coloristica delle vesti e dello sfondo.

Per la chiesa più importante della sua città natale, Linussio aveva chiesto al Grassi di raffigurare i seguenti soggetti: la Madonna, il Redentore, i santi Pietro e Paolo, gli evangelisti, altri apostoli (ad esclusione dei santi Simone, Taddeo e Tommaso), sant’Ilario (protettore della Carnia), san Francesco di Paola, la Crocefissione, il suo ritratto nella veste di committente. Proprio a quest’ultimo dipinto, inizialmente conservato presso la sagrestia del Duomo e successivamente entrato a far parte delle collezioni del Museo Carnico delle Arti e Tradizioni Popolari (sempre a Tolmezzo), era destinato il ruolo di ideale coronamento della preziosa commissione Linussio.

Nicola Grassi era infatti anche un celebre ritrattista: nel caso dell’imprenditore tessile tolmezzino, aveva fornito un grande impatto alla figura rendendo verosimile tanto l’espressività del volto quanto la posa (aperta al dialogo, come sottolineato da alcuni studiosi), sottolineando il ruolo di Linussio in qualità di gentiluomo borghese. Tuttavia, anche sorvolando sulla conseguente assenza in loco del ritratto, la paternità del ciclo non era destinata a restare vaga: il mecenate aveva provveduto affinché ciascuno dei dipinti fosse dotato del suo monogramma (due G e due L affrontate), chiaro testimone del suo importante ruolo. La posizione destinata a tale logo non era sempre la stessa: nella maggior parte dei casi, era stato chiesto al pittore di inframezzarlo all’epigrafe del cartiglio identificativo delle figure dei santi. Un caso a parte era costituito dalla Crocefissione, dove le iniziali del committente andavano a valorizzare un dettaglio geologico del terreno.

Tuttavia, stando alle ipotesi formulate da alcuni studiosi, lo stesso Nicola Grassi si era ricavato un piccolo spazio nell’ambito delle tele tolmezzine: il suo volto diveniva infatti quello del san Luca evangelista, nel contesto di uno dei dipinti più vicini all’ingresso del Duomo (navata destra).

Per dimensioni e per assetto compositivo, costituiva un’eccezione la tela raffigurante san Francesco di Paola: tali differenze derivavano forse da un’aggiunta alla commissione originale, dettata probabilmente da motivi devozionali. I dipinti raffiguranti la Madonna (Mater Dei, riportato in cartiglio) e il Redentore (Salvator Mundi, di nuovo nell’epigrafe identificativa) venivano separati nella collocazione: anche dal punto di vista dello stile risultavano estremamente differenti. Nella Vergine, dal volto tipicamente popolaresco, l’attenzione del pittore era stata dedicata principalmente alla vivacità coloristica delle vesti; nel Cristo, il volto luminoso e quasi irreale diveniva il protagonista della scena, rispecchiandosi inaspettatamente nelle pieghe delle vesti.

Dal punto di vista della composizione, destava da subito grande ammirazione il dipinto raffigurante i santi Pietro e Paolo: straordinaria l’esibizione degli attributi (spada e chiavi), come la gestualità di entrambi i protagonisti della scena. Inoltre, si trattava dell’unico dipinto della serie dove una coppia di santi veniva affiancata: infine, dal punto di vista compositivo, Grassi creava un vero e proprio capolavoro pittorico nella già citata scena della Crocefissione, dove ogni tratto dei volti e delle vesti era stato pensato per esprimere un profondo significato. Nelle caratteristiche iconografiche e nelle espressioni, Grassi riassumeva pertanto le peculiarità stilistiche salienti dei pittori veneziani del suo tempo.

Nadia Danelon

 

Redazione

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