Venerdì 22 settembre 2023 con la scomparsa di Giorgio Napolitano è terminata una precisa epoca politica, ma le questioni da lui poste restano aperte, e a conti fatti d’attualità per la res publica. Lo ha sottolineato lucidamente Massimo Cacciari, filosofo e politico, legato da un’amicizia personale all’ex presidente in un articolo su La Stampa. Sono almeno due le domande irrisolte che Napolitano consegna alla “nuova politica”: 1) Dove va la Repubblica? 2) Dove va l’Europa? Domande che continuano a risuonare come ammonimento per la democrazia, che nell’era contemporanea appare sempre più in crisi.
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La fine di un’epoca: tra comunismo ed europeismo
Nato a Napoli il 29 giugno 1925, Giorgio Napolitano consegue la laurea in Giurisprudenza nel 1947. Dal punto di vista politico, dal 1945 inizia a militare tra le file del Partito Comunista Italiano (Pci), sotto la guida di Giorgio Amendola, esponente dell’ala riformista – la cosiddetta ala di destra -, aperta al socialismo e alla liberal-democrazia. Gli è contrapposta l’ala radicale e movimentista di Pietro Ingrao contraria alle alleanze con forze ideologicamente non allineate e più vicina al Partito Comunista Sovietico. Dopo la morte di Amendola, e la costituzione dell’area migliorista, Napolitano negli anni Ottanta fa opposizione a Berlinguer, esponente dell’ala radicale rimproverandogli la fine del compromesso storico e la cosiddetta questione morale, prima di costituire dopo lo scioglimento del Pci (3 febbraio 1991), il Partito Democratico della Sinistra.
Presidente della Camera, ministro dell’Interno e eurodeputato durante gli anni Novanta, Napolitano è sempre stato un convinto europeista, mosso dall’ideale – che era già di Thomas Mann – di coniugare nel vecchio continente libertà e democrazia. Proprio verso Mann, Napolitano riconosce il proprio debito nel saggio introduttivo all’ultima edizione dei Moniti dall’Europa; da qui una profonda riflessione sul rapporto tra politica, cultura e democrazia. Dal Comunismo al Socialismo Europeo, come da titolo della sua autobiografia politica del 2005.
Primo dirigente comunista a viaggiare negli Stati Uniti, Napolitano è stato inoltre Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento europeo, imponendosi sulla scena internazionale come figura autorevole e moderata.
Le due Presidenze: propositi e rimpianti
Non nuovo ai primati, Giorgio Napolitano è il primo Presidente italiano rieletto – non senza elementi di contraddizione – per un secondo mandato nella storia della Repubblica. Dato ancor più significativo considerata sua estrazione comunista, mai rinnegata.
Salito al Colle per la prima volta il 15 maggio 2006 alla quarta votazione con i soli voti del centro-sinistra (per un totale di 543 voti), Napolitano chiude il primo mandato con il sostegno del centro-destra, prima di essere rieletto in uno storico bis, che subisce suo malgrado il 20 aprile 2013. Le dimissioni anticipate arrivano il 14 gennaio 2015, da cui la nomina di senatore di diritto e a vita.
L’avvio della recessione economica del 2008, le crisi dei governi Berlusconi e Letta, fino all’insediamento del governo tecnico a guida Mario Monti del 2011 – interventismo che gli valse l’appellativo di King Giorgio dal New York Times – ne segnano la prima presidenza. La denuncia contro l’immobilismo e il populismo dei partiti e delle istituzioni, e la discussa nomina di due governi di “larghe intese” tra centrosinistra e centrodestra che escludevano il M5S, ne segnano la seconda. Polemiche che valsero a Napolitano una certa ostilità prima da parte del centrodestra, e poi del Movimento fondato da B. Grillo, unite alle ombre di un suo possibile coinvolgimento indiretto in una serie di trattative Stato-Mafia.
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L’eredità di Giorgio Napolitano per la nuova politica: Italia e Europa a confronto
Napolitano lascia in eredità alla nuova politica una serie di questioni aperte: dall’immobilismo dei partiti e delle istituzioni fino al dilagare del populismo e degli interessi di parte, ora partitici ora nazionali, nel quadro italiano ed europeo. Molte delle sue diagnosi restano attuali.
Una cosa è credere nella democrazia dell’alternanza; altra cosa è lasciarla degenerare in modo sterile e dirompente dal punto di vista del comune interesse nazionale.
Meeting di Comunione Liberazione, Rimini 2011
O ancora:
Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti – che si sono intrecciate con un’acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente malessere sociale – non si sono date soluzioni soddisfacenti : hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento.
Dal discorso di reinsediamento, 22 aprile 2013
E sull’Europa:
In definitiva, da tempo l’Europa appare agli europei – e non solo ad essi – ripiegata su sé stessa, dominata dalle sue dispute interne e dalle sue divisioni.
E su i suoi fattori di rivolgimento:
[…] Guerre a ridosso nel nostro Continente, processi di dissoluzione di Stati ormai minati nelle loro fondamenta in Medio Oriente e in Africa, ricollocazioni sul piano geopolitico di diverse potenze, esplosioni imprevedibili di soggetti distruttivi con ambizioni statuali (lo “Stato islamico”), proliferazione di reti e forme di micidiale terrorismo. […] E infine, il più sconvolgente dei fenomeni, quello dei flussi di profughi e più in generale delle migrazioni.
Festival del Diritto, Piacenza, 2015
Un congedo a Giorgio Napolitano e al suo lascito
Oggi, i problemi strutturali della politica italiana e europea non appaiono poi così differenti. I flussi migratori e la crisi climatica, la guerra russo-ucraina, le riforme mancate, la degenerazione della democrazia, secondo i critici e gli storici del pensiero politico sempre più bubble (vedi Bubble Democracy: La fine del Pubblico e la Nuova Polarizzazione, di D. Palano, 2020) e senza partiti (vedi La Democrazia senza partiti, D. Palano, 2015).
Se i tempi cambiano, le urgenze di fondo restano le stesse, al di là dello schieramento partitico in vista dell’interesse nazionale. «Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme, per il sopravvivere e il progredire la democrazia».
Con Napolitano finisce un’epoca, ma le sue urgenze restano le nostre.
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