Non sappiamo se esista uno studio sull’evoluzione del rapporto genitori-figli dall’inizio del ‘900 ad oggi ma, se non esistesse, sarebbe davvero interessante intraprenderlo. Il secolo scorso è stato ricco di cambiamenti quanto nessun’altra epoca della nostra storia e, naturalmente, anche le dinamiche familiari ne sono rimaste coinvolte. Anche soltanto il modo di parlare, i titoli, le espressioni sono enormemente cambiati: mia nonna raccontava che era tenuta a dare del voi a suo padre e che questa abitudine le è rimasta anche quando, ammorbiditi un po’ i rigidi costumi del ventennio fascista, era lecito passare al tu. È un tratto che ho sempre trovato molto affascinante: certo, il voi è ormai desueto, come di recente ha spiegato Umberto Eco in una lectio magistralis pubblicata su Repubblica, ma permetteva di mantenere una certa rispettosa distanza tra figli e genitori – una rispettosa distanza che non sarebbe male recuperare, almeno in parte.
Un altro divieto assoluto per i figli era vedere i propri genitori nudi; questo tratto, invece, pare più incomprensibile. Innanzitutto, per la difficoltà pratica nell’attuazione del divieto: non è mai capitato a un bambino di entrare in una stanza o in bagno dove uno dei due genitori si stava cambiando? Forse è un falso problema, dal momento che le camera dei genitori era rigorosamente off-limits e i bagni in casa non erano così frequenti. Ma poi, cosa più importante, cosa c’era di male nel vedere un genitore nudo? Non era forse una curiosità naturale capire come si sarebbe diventati da adulti? C’è forse uno sguardo meno morboso di un figlio che osserva la mamma o il papà? Per fortuna, in teoria almeno da questo punto di vista dovrebbe esserci stato un miglioramento.
A quanto pare, invece, non siamo troppo lontani da quei tempi. Il nudo fa ancora scandalo, anche quando è artistico. Di recente, infatti, la città di Verona è stata sede di una piccola protesta inscenata da alcuni suoi cittadini. Motivo: l’esposizione del manifesto raffigurante la Susanna al bagno di Tamara de Lempicka, volto a pubblicizzare la mostra inaugurata pochi giorni fa a Palazzo Forti. Alcuni (pare, per fortuna, non molti) dei residenti della zona si sono dichiarati offesi dalla scelta: sì, certo, è un nudo artistico, ma non si poteva scegliere qualcosa di più “adatto” ad un luogo pubblico? Che cosa bisogna dire ai bambini? Eccolo: quando si parla di sessualità, nudità e altri argomenti scottanti arriva sempre il grido «Insomma, qualcuno pensi ai bambini!». In effetti, è sempre imbarazzante dover spiegare ai bambini che non si nasce già vestiti, ma ogni persona nasconde un corpo nudo, dotato di organi differenti a seconda che sia maschio o femmina. E, dal momento che i bambini non possiedono assolutamente la capacità o la curiosità di guardarsi e toccarsi fin da piccolissimi, per loro l’improvvisa scoperta degli organi genitali è sempre traumatica…
Ironia a parte, è evidente che ci sono ancora persone convinte che i bambini provino imbarazzo di fronte ai corpi nudi e che, quindi, sia sconveniente mostrarglieli in modo così plateale. Si potrebbe iniziare un lungo discorso su quanti corpi che si avvicinano parecchio al nudo passino sotto lo sguardo dei pargoli tra televisione e Internet, ma sarebbero parole sprecate per un semplice motivo: innumerevoli studi pedagogici dimostrano che per i bambini la nudità è un fatto assolutamente normale e non scandaloso. Troppo piccoli per poterlo associare alla sessualità, i bambini guardano un corpo nudo solo con la curiosità di chi guarda qualcosa di diverso da sé ma sa che un giorno quelle caratteristiche gli apparterranno; sono gli adulti che, con il loro imbarazzo, trasmettono l’idea che il nudo sia “scandaloso” e “proibito” e, lungi dal soffocare la curiosità dei più piccoli, rischiano invece di trasformarla in morbosità. Insomma, più che coprire gli occhi ai pargoli, sarebbe opportuno spiegare loro con calma che la nudità, nel rispetto delle altre persone, è naturale e anche bella.
Ma questo è, tutto sommato, un episodio marginale: poche ore dopo la notizia c’era già chi sospettava che fosse soltanto un’abile montatura per pubblicizzare la mostra, per creare curiosità con uno scandalo. E stavamo già per lasciar perdere, convinti che non fosse il caso di ricamare sopra la protesta di poche persone, quando poche ore dopo, con un curioso tempismo, Facebook ci ha fornito un nuovo spunto di riflessione. A questo punto non si può più invocare l’innocenza violata dei bambini perché, almeno teoricamente, per iscriversi al noto social network è necessario avere almeno 13 anni, un’età in cui, si suppone che ormai il corpo umano non sia più un mistero. Allora diventa chiaro che il problema riguarda gli adulti che, per qualche motivo, si sentono offesi dalla vista di un corpo identico al loro.
Il discorso è molto complesso e, come sempre, ogni opinione vale quanto le altre; ci limitiamo, dunque, a compiere alcune osservazioni. Da circa un ventennio a questa parte, soprattutto in televisione, sembrano non esistere vestiti troppo corti, balletti troppo sensuali, atteggiamenti troppo provocanti: tutto è permesso in nome del politically correct perché, in fondo, ormai siamo nel XXI secolo e non bisogna più scandalizzarsi. Certo, c’è qualche commento occasionale e qualche scandalo più rumoroso degli altri – l’indimenticabile “farfallina di Belen” ne è un esempio – ma non c’è mai una vera e forte reazione; è come se, in fondo, ci andasse bene così. Ciò che importa è che sia sempre presente quel velo che salvi le apparenze, che ci sia sempre il vedo-ma-non-troppo e mai il vedo-e-basta. È un patto silente tra il produttore televisivo – sempre per limitarci al piccolo schermo – e lo spettatore: il primo sa che l’erotismo del nudo-ma-non-troppo è anche più forte di quello del nudo integrale e lo sfrutta; il secondo comprende benissimo la trappola in cui è incappato ma, lieto che le apparenze siano intatte, fa spallucce.
Quello che dà fastidio, invece, è quando questo tacito accordo viene spezzato e l’apparenza coincide con la realtà: quando, insomma, viene mostrato un corpo nella sua essenza, senz’altro fine se non quello della contemplazione della bellezza. Il nudo non ha più uno scopo pratico e non è nemmeno celato: questo è qualcosa a cui la nostra società e anche la nostra mente non sono ancora abituati. Ecco perché con A luci spente. ci impegnamo a far conoscere un altro tipo di arte, meno pubblicizzata e di cui si ha ancora un po’ paura: non certo perché siamo morbosamente fanatici della nudità e dell’erotismo, ma perché è ora di rendersi conto – con buona pace di Facebook – che il corpo umano, sia maschile sia femminile, è naturale, esattamente quanto un tramonto sui fiordi norvegesi o un ghiacciaio che si specchia nell’acqua di un lago, almeno altrettanto bello, degno di essere rappresentato e ammirato.
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