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L’insopportabile protagonista de “Il suddito” di Heinrich Mann

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Se vi capitasse di fare la conoscenza di Diederich Heßling, non diventatene amici: con voi si commuoverà, vi giurerà riconoscenza, poi chiuderà la porta della stanza, andrà all’osteria e vi lorderà d’insulti. Se comandate un esercito, non fate affidamento sul soldato Diederich. Non cercate lo sfavillio della sua arma in battaglia, perché prima della guerra avrà accusato un fastidioso dolorino al piede che lo tratterrà dal combattimento. Nel frattempo sarà tornato a casa e con gli amici sospirerà di quanto sia dura la vita nell’esercito. E se siete il medico che ha firmato il certificato di congedo, non aspettatevi la sua gratitudine. No, vi trascinerà in processo per lesa maestà. Se siete donna, infine, e per qualche ragione strana doveste innamorarvi di questo prodigio di mostruosità, non fatelo, per carità! Vi sussurrerà che tutto il giorno non fa altro che pensare a voi, vi dirà che vi ama e poi vi pianterà in asso perché, come dice lui: «Il mio senso morale mi proibisce di sposare una ragazza che non si porti in dote la sua verginità». È difficile trovare un pregio, che sia uno, nel protagonista de Il suddito di Heinrich Mann.

Il romanzo uscì a puntate nel 1914 per la rivista Zeit im Bild e fu pubblicato nel 1918. Heinrich Mann si proponeva di tratteggiare la figura tipica del borghese tedesco nell’età guglielmina, una tisana imbevibile a base di codardia e arroganza, docilità e violenza, concorrenza spietata, Willen zur Macht, volontà di potenza, e al contempo piacere perverso nel sottomettersi all’autorità. Un pendolo che oscilla tra la prepotenza e ubbidienza, per riprendere Arthur Schopenhauer. E tanto, tanto odio, il sentimento primo con cui ci si pone verso l’altro. La radice dell’odio rigonfia già il cognome Heßling, che contiene Haß, la parola tedesca per l’odio: quello di Diederich verso il mondo e quell’odio che ne deforma i connotati e ce lo fa odioso, appunto.

Una delle scene più significative di tutto il romanzo è il momento dell’arringa difensiva dell’avvocato Buck. Il processo vede Diederich come teste dell’accusa di lesa maestà ai danni dell’industriale liberale Lauer. La prima volta che viene chiamato a deporre, Heßling non fa una grande figura: si confonde, s’impappina e presto ammutolisce. Successivamente però, quando torna a parlare, lo spirito teutonico gli giunge in soccorso: come ispirato, si lancia in un’esaltazione della patria tedesca e in una denuncia dei rischi della nuova era, disinteressandosi completamente dell’oggetto del processo. Insomma: si riscatta alla grande.

Dopo di lui prende la parola Buck ed ecco che tutto il travestimento si affloscia e l’accusatore Diederich rimane nudo sulla scena, e accusato:

«Non parlerò dunque del principe, ma del suddito che egli foggia: non di Guglielmo II, ma del teste Heßling. Lor signori l’hanno visto! Un uomo comune, di media intelligenza, succube dell’ambiente e dell’occasione, pusillanime finché le cose sono andate male per lui, pieno di sé non appena sono mutate».

E poi:

«Come lui ce ne furono a migliaia in passato […] A differenziarlo e a renderlo un nuovo tipo è soltanto il gesto: l’entrata tronfia, l’indole battagliera di una personalità presunta, il volersi imporre ad ogni costo, quand’anche questo costo dovessero pagarlo altri».

Quando poi lo definisce con scherno “industriale della carta” sembra quasi, con le dovute distinzioni, di sentire l’arringa dell’avvocato di Ed Crane ne L’uomo che non c’era, il film dei fratelli Coen (anche lì si sottolineava la mediocrità dell’imputato e la sua professione di barbiere).

Come detto l’opera apparve prima di Hitler, ma in molti vi riconobbero una prefigurazione della società nazista. Il buon Diederich sarebbe quindi il tipico esponente della base elettorale di Hitler prima, e di quella massa oceanica che lo venerò nelle piazze poi. il suddito cane che sa scodinzolare e, alla bisogna, pure mordere. Lo scrittore Karl Tucholsky definì il libro «l’erbario dell’uomo tedesco». Lo stesso Mann accreditò l’interpretazione, dicendo: «Ogni volta che i tedeschi perdono una guerra, ristampano il mio Suddito».

L’impressione però è che, per quanto geograficamente e temporalmente circoscritto, Il suddito non si esaurisca solo nella Germania guglielmina, che un certo odio indefinito, un certo volersi ingigantire l’ombra aleggi anche qui, ad esempio nell’etere informatico.

Nel romanzo il modello Diederich trionfa: Heßling vince il processo, scalza i nemici ed entra in politica. Però quella era la Germania imperiale.

Bruno Contini

 

 

Redazione

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