Oscar Wilde, maestro della parola e dell’estetica, con la sua commedia L’importanza di chiamarsi Ernesto ha saputo combinare in maniera brillante ironia, satira e semplicità. Fin già dal titolo. La traduzione che abbiamo proposto è infatti una delle tante possibili, trattandosi di un gioco di parole: earnest (che si pronuncia Ernest, come il nome) significa “onesto” ed Ernest è anche il nome che si dà il protagonista.
Per questi motivi, la commedia ha spesso trovato traduzioni italiane come L’importanza di essere onesto oppure quella scelta dalla casa editrice Rusconi L’importanza di essere Franco che, come l’originale inglese, combina il nome proprio a un aggettivo che rimandi all’onestà. Sono diversi i giochi di parole intraducibili nella sagacia dell’autore, questo forse è uno dei più comprensibili. Fin da questo espediente, capiamo l’ingegno che l’opera, una commedia ancora oggi spesso replicata non solo a Londra, può suggerirci. Ma non solo: la commedia di Oscar Wilde, nonostante sia stata rappresentata per la prima volta ben 130 anni fa, risuona ancora di un’attualità disarmante, benché inserita nel preciso contesto di reazione alla società vittoriana.
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Seppur dotata di un grande fascino artistico e letterario, la realtà dell’età inglese vittoriana nasconde una grande oscurità. Sul piano letterario emerge il punto di vista di una serie di autori i quali cercano di opporsi ad una società superficiale e senza dubbio opprimente nei confronti dell’intellettuale, società che sembra così grandiosa all’esterno e dentro sé nasconde una forte oscurità, che bisogna in qualche modo smascherare. L’Estetismo nasce con questo scopo e si configura, infatti, come un tentativo di liberarsi dalle convenzioni sociali, dai vincoli moralistici e dal prudery (moralismo, perbenismo) della società vittoriana. È una risposta al Victorian Compromise (compromesso vittoriano), ovvero a quel paradosso della società vittoriana per cui, pur compiendo di fatto azioni riprovevoli e di dubbia moralità verso cui si mostrava indifferenza (lo sfruttamento minorile, l’ostentazione del lusso, la sessualità sfrenata), si tendeva con ipocrisia a nascondere tutto sotto un velo di perbenismo e moralismo, per cui si faceva attenzione a ogni parola utilizzata tanto nella vita quotidiana, quanto nella letteratura. L’intellettuale reagisce con le proprie opere e tale protesta culmina in due filoni: i romanzi realistici di denuncia e le opere di carattere decadente ed estetico (ai primi appartengono per esempio i lavori di Charles Dickens). Il secondo filone, ovvero la corrente dell’Estetismo, nasce da Oscar Wilde e dalla cerchia di intellettuali di cui si circondava.
Da “Dietro lo specchio, Oscar Wilde e l’estetica del quotidiano” di Silvia Argento
Il dandy al centro di tutto
I due uomini al centro della commedia , Algernon Moncrieff e Jack Worthing, definiscono due facce diverse che vanno a costruire il prototipo del dandy, figura centrale delle opere di Oscar Wilde e anche della sua vita, essendo lui stesso a lungo stato un dandy a tutti gli effetti per la sua capacità di sfidare le convenzioni sociali con una sofisticata eleganza nel vestiario ma anche di spirito.
È un dandy il protagonista della commedia teatrale di Wilde più famosa The importance of being Ernest; quando conversa con il fratello, quando beve, fuma, si siede su un divano, ecc., in ogni momento mantiene sempre un portamento impeccabile e mai casuale, ed è una scelta stilistica ben precisa di Oscar Wilde quella di dedicare scene della sua commedia interamente alla conversazione, all’atto di prendere il tè o di scrivere un diario.
Da “Dietro lo specchio, Oscar Wilde e l’estetica del quotidiano” di Silvia Argento
I due protagonisti in questo senso sono due modi diversi di vivere il dandysmo, come se fossero due facce della stessa medaglia: da un lato, rispettare le convenzioni, dall’altro, sovvertirle e vivere in maniera più autentica. L’autenticità e la lotta fra questa e i dettami della società sono costanti della poetica wildiana che rivediamo anche all’interno di questo lavoro.
Il dandy non è altro che un outsider, perché nonostante l’esteriorità pregna di fascino ed eleganza nel profondo sfida la società vittoriana. Nella commedia Algernon rappresenta perfettamente questa figura grazie alla capacità di crearsi un alias. Il doppio è del resto un altro dei temi cardine delle opere di Oscar Wilde, poiché è al centro del suo unico romanzo e capolavoro Il Ritratto di Dorian Gray.
Una commedia di equivoci e maschere
Fin dalla sfavillante comicità plautina, che certo Oscar Wilde conosceva a menadito dati i suoi studi sulla letteratura classica, le commedie sono state fatte di equivoci. Quella di Oscar Wilde potrebbe essere in tutto e per tutto una commedia di Aristofane o ancora di più proprio di Plauto se escludiamo l’ambientazione vittoriana: infatti, troviamo una serie di equivoci al centro per poi avere un’agnizione finale. Nel teatro classico, infatti, era fondamentale alla fine della vicenda lo scioglimento della stessa mediante il riconoscimento di un personaggio, spesso coincidente con la scoperta di una parentela.
Lo svolgimento di L’importanza di chiamarsi Ernesto è esattamente questo: Jack deve risalire alle sue origini e alla fine scoprirà di essere proprio il parente che non si sarebbe immaginato. Gli equivoci sono gestiti in modo tale da raggiungere lo scopo, come nella genialità di Aristofane, di fare satira sociale e politica. I codici morali della società vittoriana sono demistificati e soprattutto sbeffeggiati, attraverso battute brillanti, paradossi accattivanti e dialoghi pungenti, spesso riportati anche sui nostri social tanto è vivida la loro efficacia.
JACK: Gwendolen, è terribile per un uomo scoprire che per tutta la vita non ha detto altro che la verità. Potrai mai perdonarmi? GWENDOLEN: Ti perdono. Perché sento che cambierai certamente.
L’ironia dei dialoghi
Tratto non trascurabile e che dovrebbe spingerci ad assistere a questa commedia dal vivo a Londra, in lingua originale, è oltre all’ingegno degli equivoci architettati, proprio il linguaggio usato. Del resto Oscar Wilde è un esteta anche nello stile scrittorio, tanto che William Butler Yeats di lui ebbe a dire: «Non avevo mai sentito prima un uomo parlare con frasi perfette, come se le avesse tutte scritte faticosamente durante la notte, e tuttavia tutte spontanee». I dialoghi sono taglianti e puntuali e i botta e risposta imperdibili soprattutto, quindi, in inglese.
Un esempio chiaro è il dialogo tra Lady Bracknell e Jack, quando lei lo interroga sulle sue origini (riportiamo in italiano solo per maggiore comprensione):
LADY BRACKNELL: Un uomo che desidera sposarsi deve sapere tutto o niente. Lei quale delle due cose sa?
JACK: Non so nulla, Lady Bracknell.
LADY BRACKNELL: Mi fa piacere saperlo. Non approvo nulla che interferisca con l’ignoranza naturale.
Qui è chiara l’intenzione di ridicolizzare la nobiltà che preferisce un ignorante rispetto all’uomo istruito o brillante poiché è più facilmente omologabile. Lady Bracknell rappresenta la nobile vittoriana per antonomasia, rigida e chiusa nelle sue convinzioni nonché contraddizioni. Quando scopre che Jack è stato trovato in una borsa nella stazione di Victoria e quindi potrebbe non essere nobile di nascita, afferma: «Essere nato, o quantomeno allevato, in una borsa, con o senza manici, mi sembra dimostrare un disprezzo per le normali decenze della vita familiare».
Infine, il gioco di parole al centro della vicenda mostra la superficialità di Gwendolen che ama in base a un nome e nient’altro, di contro per esempio alla profondità shakespeariana circa il nome “Romeo” nella celebre tragedia di Romeo e Giulietta. Paradossale che sia Jack sia Algernoon siano di fatto disonesti e siano i due che pretendono di chiamarsi con quel nome, eppure Gwendolen dice: «Il mio ideale è sempre stato amare qualcuno di nome Ernesto. C’è qualcosa in quel nome che ispira assoluta fiducia«.
L’importanza di essere contro l’apparenza
Sicuramente siamo saturi di sentirci dire quanto il teatro possa essere più vero della vita, eppure nel caso di una commedia wildiana questo può essere anche più vero. Troviamo sicuramente una finzione nella finzione, scambi di identità, elementi originali o meno, ma soprattutto troviamo delle maschere che smascherano le maschere (per fare un gioco di parole anche noi). In ciò risiede anche la profonda attualità di L’importanza di chiamarsi Ernesto, in quanto dietro questa satira e dietro le battute irriverenti si cela una profonda critica sull’autenticità rispetto alla società.
Fin dal titolo che come visto simboleggia già un doppio, Oscar Wilde mostra come nel mondo ci si ritrovi spesso a dover combattere fra ciò che siamo e ciò che dovremmo essere, a causa delle maschere sociali che ci si impone di indossare.
La commedia di Oscar Wilde sembra solo in apparenza una goliardica mascherata, in realtà può del tutto rompere con i canoni tradizionali del teatro dando fiducia al pubblico che ride di se stesso, in quanto mirabilmente preso in giro. Gli stessi uomini e donne chiusi nella funzione vittoriana sono quelli che assistevano alla sua commedia. Se è vero che il dandy non è un esempio da seguire nel suo voler fuggire alle responsabilità della vita quotidiana, così in una società dell’immagine e dell’apparenza come quella in cui ci troviamo, è importante notare come il dandy di Oscar Wilde non sia solo stile e superficialità, ma rappresenti quell’outsider, quel punto di vista critico verso il conformismo.
Certo non poteva di certo sapere che saremmo approdati al mondo virtuale, dove i social pullulano di foto con AI, dove apparire sta diventando sempre più importante e dove la falsa della società, benché non vittoriana, è all’ordine del giorno. Anche per questo motivo la commedia è moderna ed eterna nel suo sbeffeggiare come si comportano gli uomini di fronte alle maschere imposte dalla società. Tanto che Oscar Wilde alla massima di William Shakespeare “Il mondo è un palcoscenico”, nel suo racconto Il delitto di Lord Arthur Savile scelse di aggiungere “Ma i ruoli sono mal distribuiti”.
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Grazie alla sua ambiguità e il suo senso dell’ironia, l’autore di Dublino ci trasporta, quindi, in una critica avvincente e tuttora acuta, dove la nostra continua corsa verso la bellezza più superficiale può invece approdare al più significativo bello che l’Estetismo per anni ci ha insegnato.
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