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Intervista a Vera Q: un colloquio fuori dall’ordinario

Vera Q., autrice self definita "un'autentica affabulatrice noir", si racconta ad un'intervista online.

19 minuti di lettura

C’è una finestra, una soltanto.

Piccola, rettangolare e posizionata a bordo del soffitto.

Il chiarore in questa stanza non è il benvenuto ed è per questo che è stato confinato, con convinzione, dietro una spessa vetrata opaca.

Le squallide pareti della camera, così come il pavimento in marmo, rifrangono le gelide luci affettate dei neon: un luccichio impersonale, imperturbabile, al quale nessuno s’affeziona.

Alcune sedie, disseminate senza criterio, s’alternano a vasi di acciaio che rigurgitano fiori, e sul lato sinistro del locale, inamovibile, una panca di formica sorregge quattro persone.

Mia moglie Barbara e mia figlia Giada ne occupano lo spazio centrale; Luca, mio fratello, e mia madre Carla sono invece schierati agli antipodi.

La mia dolce metà mi fissa con gli occhi sgranati: imbambolata, attonita e, sopra ogni cosa, incredula. La mia piccina è saldamente avvinghiata alla nonna che le carezza il capo con fare amorevole. Ed infine Luca, accanto a Barbara, punta con testardaggine l’uscio spalancato sul corridoio.

Io, al contrario, sono l’anima della festa e domino il miserevole ambiente torreggiando al centro del vano.

E no, quando mi riferisco all’anima, non mi esprimo per metafore.

Io sono quello ubicato nella branda di legno.

Io sono quello giacente.

Insomma, per farla breve, io sono quello morto.

 (estratto da Io sono morto di Vera Q.)

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Non possiamo evocarla con una tavola Ouija perché è viva e vegeta, anche se questo non ci rassicura granché. Non ci è possibile neppure incontrarla perché ci tiene all’anonimato, e probabilmente conoscerla di persona sarebbe alquanto inquietante. Quello che possiamo sapere di lei è il nome d’arte, Vera Q., e il fatto che scriva noir maledettamente bene.

Sono sette i libri che ha scritto, l’ultimo è Life, appena uscito, e il cui incipit può ben far capire il tema: «In questo viaggio casuale chiamato Vita ci esibiamo in continue capriole così da distrarci dall’unica, fatale, caduta alla quale nessun gesso potrà porre rimedio.»

Contattata tramite Facebook, si è dimostrata disponibile per un’intervista online, ma ancora non sappiamo se le domande saranno quelle giuste, e se non lo fossero, chissà quale brutta fine ci aspetterà.

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Vera, ci piacerebbe sapere quale tipo di trauma ti ha fatto decidere di scrivere, e soprattutto di scrivere racconti dell’orrore e thriller psicologici con alto contenuto di ironia e lapidario cinismo. Di tutto questo il tuo psicologo è a conoscenza? Ti ha trovato una cura o brancola ancora nel buio, inseguito dai tuoi anatemi?

Sono senza dubbio caduta da piccina. E temo più di una volta!
Ma il sarcasmo fa parte di me. È un lascito di mio padre.
Vivere ci solca, ci attraversa con diligenza efferata. Ci illudiamo di navigare, eccome. D’essere il timone, capitani di lungo corso. Eppure siamo in costante balia di imprevedibili marosi. E si affoga (in)coscienti.
E voglio raccontarti un piccolo aneddoto. Quando papà discuteva con mamma – fenomeno usuale giacché mammina cara tuttora è un’appendice di Frau Blücher – finito l’alte ego mi prendeva da parte, serioso. «Non preoccuparti», mi confidava con arietta sorniona, «tanto con tua madre l’ultima parola l’ho sempre io: sì, cara!»
Puoi ben capire quanto adorassi quest’omino che sapeva sdrammatizzare in ogni circostanza. Ridere di tutto, anche, e specialmente, di sé stessi. E porto avanti con onore questa maniera di affrontare quel guazzabuglio imponderabile che ci ostiniamo a definire Vita: comunque vada, non ci sarà modo di sopravviverle.

Nel limite di quello che puoi e vuoi dirci di te, chi è davvero Vera Q.? Cosa fai nella vita? Oltre a scrivere, quali sono i tuoi hobby?

Vera Q. è la mia amica di penna, quella che si prende la briga di scrivere. Io nella vita “graficheggio”.
Vera Q. è Lucignolo, è il Grillo Parlante, talvolta è Pazuzu, spesso è soltanto una spigolosa brontolona. E devo dire che mi somiglia. In misura tragica. Io, e lo sbandiero priva di vergogna, ho un amante da parecchi anni, si chiama “Divano”. Nessuno sa sedurmi come lui. Sono l’antisport per eccellenza e riduco all’osso ogni tipo di attività fisica. D’altronde se Jimmy Fixx, il padre dello jogging, è morto d’infarto, una qualche chiave cosmica dovrà pur esserci, no?
Leggo. Molto. Troppo. E pizzoni impossibili traboccanti di note a piè di pagina che evito di consigliare agli amici. Morire sì, ma per cause naturali!
È innegabile la mia passione per il nero, spalmata nelle diverse sfaccettature che interessano l’arte nelle sue svariate forme. Ed amo la vita, giuro. È solo un problema di unilateralità di sentimento.

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Quindi sei una donna “normale” come tutte noi? Sbavi anche tu davanti a una vetrina di scarpe o provi l’estasi solo di fronte all’ultimo modello di cofano funebre?

Le scarpe fanno parte del mio DNA. Scomode, scomodissime. Rubate ai secoli bui. E indispensabili.
Lacci, laccetti, tacchi, tacchetti. E fibbie, e bottoni, ed ogni ben di Dio!
E sono certa che la bara sia molto, molto più confortevole!

Quando hai deciso che quello che scrivevi, anzi, quello che scriveva la tua amica di penna, valesse tanto da essere pubblicato e non lasciato invecchiare in un cassetto alla mercé dei tarli?

A ben vedersi l’affaire è stato decisamente casuale. Conservavo la mia matassa di pagine sul PC, una sorta di ossario, ovvio. Finché, più che altro per gioco, ho vinto la ritrosia d’essere letta. Male, malissimo: ora dovrete abbattermi per fermarmi!

Raccontaci come funziona il self publishing. È stata una scelta obbligata perché non hai trovato un editore tradizionale, o sei partita già pensando a questa alternativa?

Preciso subito che la decisione di utilizzare Amazon è stata, per me, una traccia obbligata: ciò che scrivo non stuzzica alcun editore. Il self publishing, quindi, è un’ottima strada per chi, come la sottoscritta, zaino in spalla, decide d’avventurarsi nel mondo delle frasi. E non considero questa via di serie B, semplicemente si tratta di una mulattiera accidentata e in salita. Solitaria, già. Il vero dramma, infatti, è farsi conoscere, riuscire ad avere una piccolissima voce nel vasto panorama editoriale. E noi self, e siamo tanti, ne abbiamo di cose da dire. Ci arrabattiamo, lo so. Ci potete trovare sui social, sui forum, sui blog. Defilati e per lo più ignorati, ed è come cercare di fermare il vento. Forse ingenui, forse caserecci, tuttavia confermo d’aver letto autori self di grande talento. A volte è solo l’opportunità ciò che manca. E noi ce la creiamo.

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Come sono stati accolti i tuoi libri dai lettori? Ho letto alcune entusiasmanti recensioni su Amazon, qualcuno ti ha descritta come una «eccentrica affabulatrice noir», ti ritrovi in questa definizione?

Mi divido tra chi mi lancia fiori e chi mi sommerge di pietre.
Quel che conta è schivare: anche un gambo di rosa ficcato in un occhio può essere doloroso!
Scherzi a parte, sono fortunata. Ho molti lettori che mi apprezzano e il dubbio che si tratti di potenziali serial killer lo ho, altroché!
Non ho mai compreso quale sia il mio genere. Propendo per il target «Santo cielo, cosa diamine sto leggendo?».
Spero, però, che dai miei scritti si percepisca il mio amore per la lingua. Un’insidia maestosa; far battere la testa su affilati vocaboli appuntiti. Ho da sempre la convinzione che ben poche questioni riescano a ferirti, segnarti, e confonderti, quanto le parole. Segale! E non intendo il cereale…

Il tuo amore per la lingua si percepisce eccome! E non soltanto dai tuoi romanzi: nella tua pagina facebook chiunque può leggere i tuoi pensieri e le tue freddure, che ogni tanto sfociano nella pura poesia. Come riesci a giostrarti così sagacemente tra il linguaggio del romanzo e quello delle battute veloci, spontanee, intelligenti, giocando con le parole?

Sono corta. C’è poco da fare. Una maledizione! In una vita precedente devo essere stata un bignami.
O più probabilmente uno schiaffo: secco, veloce. Quella rapidità che brucia. Anche nei miei scritti uso periodi brevi, talvolta brevissimi. Non so fare altrimenti, condenso i pensieri. Compatto. Sono essenziale, e non solo nella scrittura, ed invidio chi ha la capacità di armonizzare frasi infinite. Io piombo subito al dunque, orfana di preavviso. Come un infarto.

Se volessi avvicinare un nuovo lettore che ancora non ti conosce, come gli descriveresti brevemente, anzi lapidariamente, ogni tuo libro?

Morte! (da ripetersi tre volte davanti allo specchio in una notte illune!) Perché questo è. Nei miei racconti descrivo la morte: morte fisica, a piene mani, e morte dell’anima, a distesa. Il logorio costante dell’essere. Il tarlo che ci rende bestie. L’appassire. Vuoi per invidia, vuoi per desiderio o per insipida noia.
Essere umani è davvero complicato. Di conseguenza penso che ogni mio libro profumi di cimitero. Un’ amalgama di putrefazione. Interiore, esteriore, con l’aggiunta di tutto il cinismo possibile.
E mi immagino in quanti siano vogliosissimi di leggermi dopo quest’allegra disamina!

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A quale delle tue storie sei più legata e a quale personaggio ti senti più affine?

Potrà sembrarti strano, ma non ho affezione per le mie storie. Se non l’amore genitoriale.
Sono soltanto favole. Nere, certo. Affreschi della mia mente che cerco di mettere in forma scritta.
Mi diverte scriverle, tessere la trama, disseminare tasselli. E giungere all’ultima riga è liberazione, è svuotare la testa. È pace e tormento. Dato che nuovi intrecci spuntano «nel boschetto della mia fantasia» e, fino a quando non riesco a dar loro corpo, spingono. E bussano, e montano. Decisamente insistenti. Me ne dimentico non appena gli ebook sono online. Pessima madre, lo so.
Lo stesso vale per i personaggi. Sono soltanto attori. Neri, certo. Burattini della mia mente che cerco di mettere in forma scritta. I miei mostri, così li chiamo.
Trovo, invece, davvero stimolante discutere dei racconti con chi mi segue: ognuno ha una sua personalissima visione di ciò che ha letto, e il suo libro o protagonista preferito. Questo mi appaga: l’essere riuscita a dare un po’ di me ad altri.

Il tema delle tue opere salta subito agli occhi vedendo le tue copertine, molto noir e grottesche che danno già il senso di inquietudine che si materializza leggendo le storie. A quale artista ti sei affidata per realizzarle?

Ho chiesto, sfacciatissima, ad artisti che amo, la possibilità di utilizzare i loro disegni incontrando una gentilezza e una disponibilità sorprendente: persone davvero squisite.
Così ho coinvolto nei miei deliri Victor Soren, Eleonora Genua, Eric Lacombe, Thierry Bruet e Filippo Borghi. Potete trovare online i loro magnifici lavori. Cupi, onirici, bizzarri. Veri e propri incubi su carta/tela.

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Dopo Life, che è stato appena inserito nel circuito Amazon, quale sarà la prossima avventura di Vera Q.?

C’è una storia. Che gira, e frulla, e si ripropone, e mi angoscia!
Ho iniziato ad imbastirla, e poi ho scritto La bestia.
Allora ci sono tornata sopra, ma ho sviluppato La croce.
Quindi l’ho ripresa, e malgrado ciò ho redatto Life.
Sarà questa la volta buona?

Ti ringrazio tantissimo per la tua disponibilità. Vorrei chiederti solo un’ultima cosa: se mai ti venisse in mente di mettermi come personaggio in qualche tua storia, mi prometti di farmi sopravvivere almeno fino al quinto capitolo? Magari qualche lettore nel frattempo potrebbe affezionarsi a me, non vorrei che ci restasse male

Sotto la quinta, si sa, non è vero amore, per cui sì, fino al sesto capitolo sarai salva!
E colgo l’occasione per ringraziarti a mia volta per l’opportunità che mi hai concesso!

I volumi di Vera Q. sono disponibili su Amazon a questo link.

Vi lasciamo con un estratto del suo ultimo libro Life.

Benché non fosse la prima volta che vi andasse, soltanto quel pomeriggio Norman notò, all’ingresso del parco, la bancarella di dolciumi.
Lo spiazzo di pertinenza era ombreggiato da un grande parasole sgargiante: un arcobaleno di tessuto. Violento, addirittura accecante. Una mezzaluna di flessuose stecche di legno sotto alle quali, a mo’ di salumi, penzolavano leccornie di ogni genere.
E il banco sottostante, rivestito con una cerata a fiori d’epoca antidiluviana, traboccava di ghiottonerie: macarons, chaussons aux pommes, chouquettes, bibite. Un’esplosione calorica e variopinta.
La dolcezza saturava il circondario. E si propagava, e sfidava l’atmosfera diffondendo l’appetito. Gli effluvi paradisiaci distendevano i loro artigli taglienti pronti a ghermire gargarozzi. L’acquolina. La Fame.
Un uomo anziano, al centro del soave Precipizio, ben vestito, dagli occhi e i capelli grigi, e seduto su uno sgangherato sgabello di legno, attendeva che i bambini, frusti dal gioco incessante, morissero di sete. Allora sarebbe divenuto il loro Salvatore e, con l’esborso di pochi spiccioli, li avrebbe sommersi di succhi zuccherini. L’Abisso del Diabete.
Una fine ben più crudele dell’arsura.
Erano quasi le sedici ma Norman, attratto dal Paese dei Balocchi, si lasciò sedurre dal cocco a fette.
Sicché si avvicinò di gran carriera alla cascatella briosa nella quale i frutti a pezzi, color del marmo e del cioccolato, nuotavano. Un placido idromassaggio. Un angoletto dal sapore tropicale.
«Tre!» travolse il vecchio puntando l’indice con precisione su specifici bocconi prelibati. Quelli più carnosi.
«Cinque euro» sigillò monocorde il commerciante.
E non ci fu alcuno scambio di sguardi tra i due. Il primo interessato ad imbottire lo stomaco, il secondo a riempire il portafogli.
«Non l’ho mai vista qui» aggiunse Norman in un francese stiracchiato. Il timbro compiacente, e con l’unico scopo di non sorprendersi smemorato. Eppure, la sola risposta in replica fu un grugnito di pancia. Un borbottio viscerale, e ben poco amichevole.
E in quel momento la strana coppia si squadrò.

(estratto da Life di Vera Q.)

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Lorena Nasi

Grafica pubblicitaria da 20 anni per un incidente di percorso, illustratrice autodidatta, malata di fotografia, infima microstocker, maniaca compulsiva della scrittura. Sta cercando ancora di capire quale cosa le riesca peggio. Ama la cultura e l'arte in tutte le sue forme e tenta continuamente di contagiare il prossimo con questa follia.

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