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James Dean, il “ribelle di Hollywood”

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12 minuti di lettura

«Un attore deve interpretare la vita e, per farlo, deve essere disposto ad accettare tutte le esperienze che la vita gli offre. Nel breve arco della sua vita un attore deve imparare tutto quello che c’è da sapere e sperimentare tutto quello che c’è da vivere».

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Una delle icone della Beat Generation è stato sicuramente l’inquieto ed eterno ribelle James Dean. L’attore nacque l’8 Febbraio 1931 a Marion, nell’Indiana, uno degli stati americani più depressi e rurali. La sua prima infanzia fu segnata dalla prematura scomparsa della madre e dai rapporti difficili con il padre, ma fu allevato amorevolmente dagli zii. La sua personalità inquieta, eccentrica e ambiziosa, pertanto, rimase fortemente segnata da questi conflitti adolescenziali irrisolti. Coltivò la passione del teatro fin dal liceo, tanto da cambiare la sua specializzazione alla University of California di Los Angeles da Giurisprudenza alle discipline teatrali: i conseguenti contrasti che scaturirono con il padre e la matrigna lo costrinsero a lasciare la casa paterna.

Dean cominciò la sua carriera con uno spot televisivo della Pepsi Cola, proseguendo come rimpiazzo nel ruolo di stunt tester nel gioco televisivo Beat the clock. In seguito abbandonò il College per focalizzarsi sulla sua carriera e si trasferì a New York, dove fu ammesso all‘Actors Studios a studiare insieme a Lee Strasberg. Lì la sua carriera decollò: partecipò, infatti, a numerosi episodi di programmi televisivi come Kraft Television Theater, Studio One, Lux Video Theater, Robert Montgomery Presents, Danger e General Electric Theater nei primi anni Cinquanta.

Le recensioni per The immoralist, tratto dall’omonimo romanzo a contenuto omosessuale di André Gide, portarono alla sua chiamata a Hollywood e a un’impennata della sua notorietà. Se James Dean aveva bisogno di Hollywood per appagare la sua innata e irrefrenabile ambizione, anche la città aveva bisogno di attori come lui: in quegli anni, infatti, la celebre “fabbrica dei sogni” si stava aprendo verso un nuovo modo di fare cinema, più libero e indipendente, caratterizzato da uno stile realistico, attento ai nuovi fenomeni sociali e specialmente al nascente universo giovanile, che riuscì a definire e ad alimentare. L’attore rimase ad Hollywood per appena diciotto mesi e recitò soltanto in tre pellicole, ma rivoluzionò non solo lo stile di vita di milioni di teenager, ma anche quello di numerosi attori cinematografici.

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Solitario e dal fascino un po’ tenebroso, sin dal suo esordio ne La valle dell’ Eden (adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di John Steinbeck diretto da Elia Kazan), fu accolto come un eroe dalla gioventù americana, rappresentandone lo straniamento, denunciandone l’incomprensione ed esorcizzandone la solitudine. Per questo ruolo egli fu preferito sia a Marlon Brando sia a Montgomery Clift -gli altri due ribelli di Hollywood più anziani- i quali, però, secondo Kazan non possedevano la stessa carica emotiva, lo stesso risentimento verso la figura paterna, la medesima irruenza giovanile e la profonda infelicità. La pellicola mette in scena il burrascoso rapporto tra un padre e il minore dei suoi figli, che non si sente apprezzato quanto il fratello maggiore e perciò prova un forte senso di risentimento nei confronti del genitore. Grazie al suo vissuto personale, Dean interiorizzò il personaggio di Carl Trask, infelice e incompreso, e lo caratterizzò così intensamente che la sua non era solamente un’ottima interpretazione cinematografica, bensì molto di più: era qualcosa di più potente e pregnante che travalicava la finzione filmica e la storia narrata. Improvvisamente, fu assunto come portavoce di un’intera generazione che, per la prima volta, cercava di affermare se stessa, in concomitanza, inoltre, con la nascita del rock ‘n’ roll.

Se il primo film mise alla luce una nuova rivelazione del cinema e cominciò a definire i tratti di un simbolo generazionale, la sua seconda interpretazione in Gioventù bruciata consegnò alla posterità la leggenda di James Dean:  l’immagine risultante da questo film si lega intimamente  al mito dell’attore, il quale si identifica totalmente nel suo personaggio Jim Stark, tanto che la pellicola si configurò come un’autobiografia e allo stesso tempo si rivelò una premonizione della sua sfortunata morte, ancora prima che il film uscisse nelle sale.

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Il film, diretto da Nicholas Ray, mette in scena la drammatica vicenda di tre adolescenti alle prese con il passaggio all’età adulta e con la faticosa ricerca della propria identità. Il mondo degli adulti è visto con distacco e profonda estraneità, poiché incapace di trovare risposte ai disagi giovanili e ne consegue una totale incomunicabilità tra i due fronti: quello adulto, tratteggiato come debole, assente ed ipocrita, e quello giovanile, dipinto come sentimentale ed idealista. L’insicurezza esistenziale, la profonda solitudine e la mancanza di punti di riferimento portano i giovani protagonisti a cercare la propria strada anche a rischio di perderla. In questo film, diventato fin da subito un cult, approdano per la prima volta quelle tematiche che accompagnano, fin dalla giovane età, la turbolenta vita di James Dean: la competitività, la messa alla prova di se stessi, la fretta di vivere e la sfida alla morte. La ribellione di Jim-Dean, però, è molto distante da quella marcatamente politica delle grandi correnti giovanili del decennio successivo, in quanto ha un carattere tutto interiore. Un atteggiamento, inoltre, profondamente diverso dalla ludica voglia di libertà della nuova classe di adolescenti-consumatori che nella metà degli anni Cinquanta si riversava nelle sale da ballo d’America. Jim si ribella a una placida vita familiare: in primis alla madre, modesta massaia dalle vedute corte, al padre, privo di spina dorsale e poi all’orrore del quotidiano vissuto senza sorprese, in un piccolo paese bigotto della provincia americana. Egli, però, non stringe nemmeno con i suoi coetanei, riuniti in una massa indistinta e instupidita nella quale non riesce a ritrovarsi: fra di loro, infatti, a differenza dell’impulsivo mal de vivre di Jim, circola un ottuso atteggiamento di cameratismo che li porta ad ignoranza, crudeltà e istinto di sopraffazione.

L’ultimo film a cui partecipò fu Il Gigante (1956), diretto da George Stevens il quale, a causa della morte improvvisa di Dean verso la fine delle riprese, dovette sostituirlo con delle controfigure in alcune scene. Il personaggio interpretato da Dean, Jett Rink, giovane ambizioso innamorato della giovane Leslie Benedict (interpretata da Elizabeth Taylor), figlia del ricco banchiere Jordan Beckett per cui egli lavora, ambisce a raggiungere il successo per entrare nella classe medio-alta del Texas.

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Jett riesce a rilevare un terreno e presto vi rileva dei giacimenti di petrolio sottostanti, che gli confermano la ricchezza tanto agognata. Alcuni anni dopo decide di aprire un sontuoso albergo, invitando tutte le famiglie texane più in vista, per dimostrare finalmente la sua appartenenza a quel mondo. Jett ne approfitta per corteggiare invano Luz, la figlia di Leslie, per vendicarsi di essere stato rifiutato da lei. Inoltre, il giovane viene snobbato dai suoi ospiti, intenti ad intrattenersi gli uni con gli altri. Una saga familiare, dunque, e un affresco storico-sociale con tante tematiche: razzismo, matrimoni misti, bigottismo, conflitti tra generazioni e ossessioni psicoanalitiche. Nel 1956 la pellicola vinse il Premio Oscar nella categoria Miglior Regia e Dean ricevette la nomination postuma come Miglior Attore Protagonista.

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Quel 30 Settembre del 1955 l’America si trovò in lacrime per la perdita del suo eroe, morto alla guida della sua nuovissima Little Bastard, come soleva soprannominare la sua Porsche 550. Si assistette a scene di delirio paragonabili solo a quelle che, trent’anni prima, avevano seguito la morte di Rudolph Valentino.

Ma chi fu realmente James Dean? Il giovane attore di talento la cui carriera fu stroncata prematuramente, oppure uno dei prodotti dell’immaginario collettivo? Sicuramente l’una e l’altra cosa insieme. Solo in America – terra giovane di storia e dotata di uno straordinario potere mitopoietico – poteva fiorire la moderna leggenda di James Dean che, simile a un eterno Peter Pan, occupa un posto d’onore nell’Olimpo delle divinità americane. Ma, d’altro canto, l’icona di James Dean sembra rappresentare un caso a sé. Perpetrandosi e rinnovandosi in modo singolare, e per certi versi unico, quella dello sfortunato attore appare, rispetto alle altre, un’immagine ben più profonda: più reale e autentica ma, insieme, più universale e indefinita. La grandezza di James Dean, e il segreto del suo incredibile e duraturo successo, consistette nell’esser riuscito, grazie anche al suo indubbio talento, a infondere le pellicole di qualcosa d’unico, come lo era la sua irrequieta personalità e, allo stesso tempo, a rendersi interprete universale non soltanto dei giovani americani del dopoguerra, ma anche dello spirito profondo dei giovani d’ogni tempo.

 Nicole Erbetti

Redazione

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