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©Michael Lavine

Kurt Cobain 50: a Bologna il grunge nelle foto di Michael Lavine

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Kurt Cobain 50: il grunge nelle foto di Michael Lavine, così è intitolata la personale raccolta del fotografo pubblicitario Michael Lavine, ospitata da Ono Arte Contemporanea a Bologna. In occasione del cinquantesimo anniversario della nascita di Kurt Cobain, leader dei Nirvana, la mostra vuole celebrare la storia della band di Seattle con un’esposizione delle loro foto più iconiche, dai mesi della prima formazione agli anni del successo mondiale.

I Nirvana e la Seattle degli anni Novanta negli scatti di Michael Lavine

Nel mondo della fotografia il nome di Michael Lavine è spesso associato alla musica e in particolare alla scena cosiddetta grunge emersa a Seattle e dintorni tra la fine degli anni Ottanta e Novanta. Basta ricordare che la copertina di Nevermind, disco dei Nirvana passato alla storia, è in parte sua, così come le fotografie utilizzate per il booklet di quell’album.

Il buon rapporto tra la band e il fotografo, che è chiaramente visibile nelle foto, ha consentito la realizzazione di alcuni dei ritratti più famosi di Kurt Cobain e dei Nirvana, immortalati in studio in quattro diversi momenti, dai mesi della loro prima formazione, quando il posto alla batteria era ancora di Chad Channing, fino agli anni del successo mondiale, quando accanto al leader della band sedeva la moglie Courtney Love.

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Le 50 fotografie di Lavine che compongono la mostra presentano per la prima volta in Italia anche le immagini di altri gruppi-simbolo degli anni Novanta, come Nick Cave, i Beastie Boys, i Cramps e molti altri.

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La raccolta punta ad offrire un quadro della musica americana della fine del secolo scorso, a celebrare non solo i Nirvana, ma anche tutto il movimento grunge, che da Seattle iniziò ad urlare al mondo il disagio di una generazione, principalmente attraverso la voce di Kurt Cobain.

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«Meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente», disse il grunge

Il termine grunge è stato coniato negli anni Novanta dal giornalista Everett True, che lo definì «la scena più eccitante prodotta da una singola città». Il messaggio del movimento si concentrava sulla perdita dei punti di riferimento, sulla svalutazione dei valori, sulla prigionia provocata da apatia ed indifferenza. Si tratta di un periodo segnato dalla nascita di sottoculture underground, caratterizzato dalla rabbia di un’intera generazione scaturita anche dalla forte crisi economica che negli anni Ottanta interessava l’America.

Proprio in questo contesto un nuovo suono trova lo spazio per nascere, irrompendo sulla scena musicale come non succedeva dalla comparsa del punk inglese, nel disperato tentativo di trovare una nuova forma di espressione.

I Nirvana diventano il simbolo della scena grunge di Seattle in soli cinque anni di attività, incidendo quello che è comunemente ritenuto l’inno della generazione grunge, Smells like teen spirit. Il gruppo diventa anche oggetto di culto, quasi una religione, che si appella a quel «meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente» che Kurt Cobain lascerà scritto nella sua ultima lettera a Courtney Love, prima di suicidarsi nel 1994.

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Con il suo look ispirato al “do it yourself”, la sua musica e i suoi testi, Kurt Cobain inaugura un’era e uno stile, diventando una vera e propria icona fra i giovani della sua generazione e delle successive. L’eredità che ha lasciato, infatti, non è solo musicale. Le foto di Lavine non possono riprodurre alcun suono, ma parlano da sé di un movimento trasversale, che dal modo di vestire a quello di approcciarsi alla vita è del tutto inconfondibile.

Sono in molti a ritenere che il grunge sia davvero bruciato in fretta, ma il suo ricordo, a partire da quello della sua voce più irriverente, quella di Kurt Cobain, sembra avere un che di immortale.

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Tutto ciò non può che essere confermato dal successo riscosso da questa rievocazione di un passato grunge da parte di Michael Lavine, il quale ha deciso di prolungare la mostra fino al 24 febbraio 2018.

 

Arianna Locatello

Classe 1998, studia Filosofia all’Università di Verona, ma nutre un amore spassionato anche per la letteratura, la musica e la natura.
Di tanto in tanto strizza l’occhio ad un certo Martin Heidegger, ma ha venduto la sua anima ad un paio di ragazzacci venuti prima e dopo di lui.
Sogna di diventare un giorno l’essere pensante che è, servendosi di due mezzi: il viaggio e la scrittura.

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