Lo scorso 14 settembre 2015 le onde gravitazionali, previste per via teorica da Albert Einstein nel 1916, sono state rilevate per la prima volta in modo diretto da tutti e due gli strumenti gemelli Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory (LIGO) situati negli Stati Uniti, a Livingston (Louisiana) e a Hanford (Washington). Si tratta della conferma diretta di una delle previsioni più “rischiose” della teoria della relatività generale: ci sono voluti 100 anni, il progresso tecnologico e la perseveranza di generazioni di scienziati per arrivare a questa scoperta, che oggi mette d’accordo la comunità scientifica internazionale sulla validità della teoria di Einstein e del modello cosmologico che vi è stato costruito sopra. L’umanità, in poche parole, potrebbe essere molto vicina alla comprensione definitiva delle leggi fisiche che governano l’universo.
D’altra parte l’attuale stato della scienza è il punto di arrivo di un processo di rinnovamento filosofico e scientifico iniziato circa cinque secoli fa, con il Rinascimento e la Rivoluzione scientifica, che trova il suo simbolo nella pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium (1543) da parte di Niccolò Copernico ed i successivi studi di Galileo Galilei ed Isaac Newton.
Fino al Sedicesimo secolo non era mai stata intaccata la validità della teoria aristotelico-tolemaica, che poneva la Terra al centro del Cosmo e prevedeva una netta separazione tra mondo terrestre (dove hanno luogo il movimento finito dei corpi, la corruzione della materia, il divenire temporale) e mondo celeste (il regno dell’etere incorruttibile, del movimento circolare ed eterno dei corpi celesti, dell’immutabilità e della perfezione che ha manifestazione estetica nel Cielo delle stelle fisse). Si tratta di una concezione cosmologica che portava i filosofi ed i matematici ad elaborare teorie e modelli differenti per i fenomeni terrestri e per quelli celesti: la convinzione era che sulla Terra valgono leggi fisiche diverse da quelle che governano il moto dei pianeti e delle stelle.
La teoria aristotelico-tolemaica, fondata su un sistema di cerchi composti, prediceva con soddisfacente precisione la posizione dei pianeti e delle stelle (ancora oggi è largamente utilizzata per le previsioni approssimate), e per vari secoli le discrepanze tra previsioni e dati empirici erano state risolte con piccoli aggiustamenti locali. Col passare del tempo, tuttavia, la complessità matematica della teoria crebbe ad un ritmo molto più rapido della sua accuratezza, e nel Tardo Medioevo gli astronomi cominciarono ad avere percezione delle sue difficoltà nella spiegazione dei fenomeni celesti. Si racconta che nel XIII secolo Alfonso X, re di Castiglia, disse che «se Dio mi avesse consultato quando stava creando l’Universo, gli avrei potuto dare buoni consigli».
In particolare, il sistema tolemaico aveva problemi insormontabili in relazione alla precessione degli equinozi, e la domanda sociale di un nuovo calendario nel Quindicesimo secolo fu il fattore decisivo che suscitò il fermento intellettuale che di lì ad un secolo avrebbe portato alla Rivoluzione scientifica, sebbene il clima politico e culturale dell’epoca (la Controriforma) non fosse dei migliori per la diffusione di idee rivoluzionarie.
Nel 1543 Niccolò Copernico pubblica il De revolutionibus orbium coelestium, che riporta in auge la teoria eliocentrica dopo secoli di oblio. L’opera viene pubblicata a Norimberga, nonostante le forti reticenze dell’autore ormai malato ed in fin di vita; una prefazione all’opera (inizialmente attribuita allo stesso Copernico, ma in seguito si scoprirà che era stata scritta dal teologo luterano Andreas Osiander) abbassa molto il tiro delle tesi sostenute, affermando che si tratterebbe non di un sistema cosmologico alternativo a quello aristotelico-tolemaico bensì di una semplice elucubrazione matematica finalizzata a risolverne i problemi e “salvare i fenomeni” (l’evidenza diretta dell’esperienza quotidiana ci suggerisce pur sempre che siamo nel centro del Cosmo, che gira intorno a noi). Grazie a questo espediente l’opera non collideva con la visione della Chiesa cattolica e non fu inserita nell’Indice dei Libri Proibiti: nonostante la forte opposizione alla teoria eliocentrica da parte dei teologi, il De Rivolutionibus orbium coelestium poteva essere tranquillamente reperito nelle librerie dell’epoca.
Uno dei lettori più attenti ed appassionati di quest’opera fu senza dubbio Galileo Galilei, che si lasciò convincere da Copernico: la Terra non è il centro dell’Universo, ma al contrario ruota insieme agli altri pianeti intorno al Sole. Per larga parte della sua vita e della sua attività scientifica non fu tuttavia nelle condizioni di dichiarare pubblicamente la sua adesione al copernicanesimo, dato che gli mancavano solide prove sperimentali che smontassero la visione aristotelico-tolemaica.
Grazie al cannocchiale, inventato dall’artigiano Hans Lippershey nei primi anni del ‘600, Galilei riuscì per la prima volta nella storia dell’uomo a scrutare le profondità del “mondo celeste”, facendo scoperte che ne minavano le basi metafisiche: sulla Luna ci sono crateri e montagne, a dimostrazione che i pianeti non sono composti di “etere cristallino” perfetto quanto della stessa materia di cui è fatta la Terra; Saturno ha dei satelliti, e la Terra non è dunque l’unico centro di orbite; il Sole ha delle macchie che compaiono e scompaiono ad intervalli irregolari, e questo dimostra che il mondo celeste ospita il movimento finito e la “corruzione”.
Il resto è storia nota: Galilei divulgò le sue scoperte, scontrandosi fortemente con i teologi aristotelici, e scrisse il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), in cui è descritta la teoria eliocentrica e vengono smontate le varie obiezioni che gli erano state mosse. Pur polemizzando fortemente con i teologi suoi contemporanei, Galilei nutriva grande rispetto e considerazione nei confronti di Aristotele, che d’altra parte giudicava secondo l’esperienza del suo tempo:
«Avete voi forse dubbio che, quando Aristotele vedesse le novità scoperte in cielo, e’ non fusse per mutare opinione e per emendar i suoi libri, e per accostarsi alle più sensate dottrine discacciando da sé quei così poveretti di cervello che troppo pusillanimemente s’inducono a voler sostenere ogni suo detto?»
La risposta della Chiesa non si fece attendere: nel 1633 venne condotto al processo davanti alla Santa Inquisizione, fu condannato e costretto ad abiurare. Il dado, comunque, era ormai tratto: nel momento in cui Galilei ritratta la teoria eliocentrica, la visione metafisica della tradizione si è ormai irrimediabilmente incrinata e nell’anima dei filosofi e degli scienziati di tutta Europa si è già insinuato il dubbio che i pensatori del passato si siano completamente sbagliati sulla struttura dell’Universo e le leggi che ne determinano il funzionamento. Il grande processo di rinnovamento filosofico e scientifico chiamato dagli studiosi “Rivoluzione scientifica”, che porterà nel giro di pochi decenni alla formulazione di nuovi principi, nuove visioni metafisiche e nuove teorie scientifiche, è ormai in moto.
Di particolare importanza, al riguardo, è la fine della distinzione metafisica tra mondo celeste e mondo terrestre, che è la più grande eredità della rivoluzione copernicana. Per oltre quindici secoli tale distinzione era stata il principale ostacolo filosofico alla possibilità di concepire l’idea che i fenomeni terrestri e quelli astronomici fossero governati dalle stesse leggi fisiche. Incrinatasi questa distinzione nell’immaginario collettivo di filosofi e scienziati, ecco che il grande salto era finalmente possibile: poteva affacciarsi, nella testa di qualcuno, l’idea che una mela cade dal ramo al suolo per via della stessa causa che fa ruotare la luna intorno alla Terra e fa muovere i pianeti e le stelle.
Così, infatti, accadde.
Che il tonfo di una mela abbia dato ad Isaac Newton l’illuminazione che lo avrebbe portato a formulare la legge di gravitazione universale, è cosa ampiamente conosciuta ed accertata storicamente da ciò che si legge nella biografia scritta dall’amico William Stukeley, pubblicata online dalla Royal Society (di cui lo stesso Newton fu presidente). Meno noto è che già Galileo Galilei aveva usato il termine “gravità” nelle sue opere, e che nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo lo aveva associato alla causa del movimento della Terra, dei pianeti e delle stelle:
SALVIATI: «[…] Ma se questo autore sa da che principio sieno mossi in giro altri corpi mondani, che sicuramente si muovono, dico che quello che fa muovere la Terra è una cosa simile a quella per la quale si muove Marte, Giove, e che e’ crede si muova anco la sfera stellata; e se egli mi assicurerà che sia il movente di uno di questi mobili, io mi obbligo a sapergli dire chi fa muover la Terra. Ma più, io voglio far l’istesso s’ei mi sa insegnare chi muova le parti della Terra in giù.
SIMPLICIO: «la causa di questo effetto è notissima, e ciaschedun sa che è la gravità».
La formulazione matematica della teoria fu data da Newton nell’opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687), secondo la celebre equazione per cui la forza di attrazione gravitazionale tra due corpi è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza spaziale che li divide (tenendo conto della costante gravitazionale G):
La premessa “metafisica” della teoria di Newton è che lo spazio ed il tempo siano assoluti: le distanze spaziali tra due punti dati sono le stesse in tutto l’Universo, il tempo scorre nello stesso modo a prescindere dalla collocazione spaziale dei corpi. Gli eventi accadono nello spazio e nel tempo (ovvero, in una certa posizione dello spazio, in un certo intervallo di tempo), la materia “è” nello spazio e “diviene” (cambia di stato) nel tempo: a livello matematico, uno spazio euclideo a 3 dimensioni con il tempo come “funzione” della posizione spaziale dei corpi.
La meccanica newtoniana funziona benissimo nei calcoli di tutti i giorni, ed è utilizzata ancora oggi da fisici e ingegneri: è perfettamente affidabile per spedire i razzi nello spazio e calcolare la posizione precisa dei Pianeti del sistema solare. Con la meccanica newtoniana sappiamo calcolare, ad esempio, la posizione esatta di uno qualsiasi dei satelliti di Giove tra 2000 anni. Da dove, dunque, il bisogno di formulare una teoria ulteriore? Perché, in poche parole, si è arrivati alla relatività generale?
Le motivazioni sono molteplici. Innanzitutto, una generale insoddisfazione filosofica nei confronti del concetto di “forza a distanza”: le varie branche della scienza, nel Settecento e nell’Ottocento, si sono tutte evolute sulla base del principio meccanicistico di causa-effetto, e una forza che si esercita attraverso il vuoto e senza apparente mezzo di trasmissione era un problema teorico non da poco (il concetto di “campo” sarebbe stato inventato a fine Ottocento, ed applicato poi anche alla gravità: il passaggio dal concetto di “forza” a quello di “campo” è appunto alla base del superamento della meccanica newtoniana).
Nel corso del tempo, poi, con i progressi nella matematica (introduzione di curvature delle superfici: Bernhard Riemann, Henry Poincarè, Felix Klein), la formulazione della teoria elettromagnetica da parte di James Clerk Maxwell, il progresso tecnologico e la progettazione di sempre più sofisticati esperimenti di laboratorio, hanno cominciato ad emergere evidenze sperimentali che contraddicevano le previsioni della meccanica newtoniana: i fisici teorici, a fine Ottocento, si sono dovuti scontrare con l’impossibilità di conciliare meccanica newtoniana ed elettromagnetismo.
Tutto questo ha generato quel clima intellettuale, favorevole al superamento della gravitazione newtoniana, che ha portato Albert Einstein a formulare la relatività ristretta nel 1906 e la relatività generale nel 1915.
Passare dalla meccanica newtoniana a quella relativistica implica un salto concettuale non da poco, e per spiegare a grandi linee la rivoluzione inaugurata da Einstein è utile ricorrere ad un esempio.
Due fisici vivono in un universo che percepiscono come bidimensionale e piatto: ci sono due dimensioni spaziali (come un immenso tavolo) ed il fluire del tempo. Siccome sono fisici, decidono di fare un esperimento: verificare se, ponendosi ad una certa distanza l’uno dall’altro e camminando perpendicolarmente alla linea che li unisce (come su due binari paralleli di una ferrovia), la distanza tra di loro rimane uguale o cambia.
Fanno il primo tentativo: dopo una lunga camminata, si incontrano nello stesso punto dello spazio. Pensando reciprocamente che l’altro abbia imbrogliato, o che abbia camminato lungo una linea non retta per mancanza di attenzione, riprovano da capo. Niente da fare: dopo innumerevoli tentativi, l’esito è sempre lo stesso. La conseguenza che ne traggono, dunque, è che ci sia una forza che li attira: sono costretti ad introdurre un elemento esterno, la forza di attrazione appunto, per salvare la natura piatta del loro universo bidimensionale.
C’è anche un’altra possibilità, tuttavia: l’universo in cui vivono in realtà non è piatto, ma una sfera, e questa seconda possibilità li esime dal dover introdurre una forza esterna per spiegare il fenomeno che osservano. Nelle lunghe scampagnate che si concedono, i due fisici si incontrano a causa del fatto che si muovono sopra un’immensa sfera.
Einstein non è ovviamente arrivato alla formulazione della relatività generale attraverso questo esperimento mentale (bensì a partire dalla relatività ristretta e dalla velocità della luce come costante universale, conseguenza dell’elettromagnetismo di Maxwell), ma il salto filosofico-concettuale che c’è tra meccanica newtoniana e meccanica relativistica è molto simile: la gravità non è una forza a distanza che si esercita tra corpi situati in uno spazio euclideo vuoto, quanto la manifestazione della geometria dello spazio-tempo.
Per spiegare i fenomeni dell’elettromagnetismo, dice Einstein, occorre ripensare alla struttura stessa dello spazio e del tempo: non esistono uno spazio (euclideo) ed un tempo assoluti, come credeva Newton e tutta la tradizione scientifica fino ad inizio Novecento, ma uno spazio-tempo non-euclideo la cui curvatura dipende dalla presenza e dalla distribuzione della materia/energia. L’equazione della teoria della relatività generale mette appunto in relazione curvatura dello spazio-tempo (membro sinistro) e materia (membro destro), secondo la celebre affermazione del fisico John Wheeler: «La materia dice allo spaziotempo come incurvarsi, e lo spazio curvo dice alla materia come muoversi ».
Nell’Universo di Einstein (con ragionevole certezza, quello in cui viviamo) lo spazio ed il tempo sono entità elastiche e deformabili dalla presenza della materia, come un telo su cui viene posta una palla da bowling: con la differenza che una palla su un telo è materia che deforma altra materia, mentre lo spazio-tempo deve essere concepito come un altro modo di essere della materia e dei corpi. Quanto maggiore è la densità della materia, tanto maggiore è il campo gravitazionale che agisce sull’osservatore e tanto più lento lo scorrere del tempo per i suoi orologi.
Nella vita di tutti i giorni gli effetti della relatività sono trascurabili – alla gravità della Terra ci siamo abituati; le onde gravitazionali sono molto deboli, e gli effetti sul tempo sono dell’ordine di un milionesimo di secondo nell’arco di una vita – ma ci sono oggetti astronomici (come le stelle di neutroni ed i buchi neri) in grado di deformare lo spazio-tempo circostante in modo così pronunciato che un’orbita di qualche mese intorno ad essi equivarrebbe ad un periodo di migliaia di anni sulla Terra.
Oltre ai già menzionati elettromagnetismo, stelle di neutroni e buchi neri, la relatività einsteiniana (a differenza della meccanica newtoniana) riesce a descrivere e prevedere la formazione degli elementi chimici pesanti (nella tabella periodica, dopo il ferro) che ha luogo nei momenti finali della vita delle stelle, quando esplodono in supernove.
Insomma, Einstein aveva ragione e la rilevazione diretta delle onde gravitazionali non fa che dargli ulteriore (se non definitivo) credito. Newton nel cassetto, dunque?
Non del tutto: la meccanica newtoniana, infatti, è una “parte” della meccanica relativistica: è la meccanica delle piccole distanze e degli intervalli temporali ridotti, il che astronomicamente parlando significa che è in grado di descrivere e prevedere accuratamente i fenomeni terrestri, rispondendo alla quasi totalità dei nostri bisogni quotidiani.
È proprio il caso di dirlo: Einstein ci ha dato la chiave di lettura delle leggi che governano l’Universo, Newton ha segnato un’epoca scientifica ed ha plasmato, con le sue formule, un’era di progresso tecnologico.
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[…] La storia della gravità, da Galileo a Einstein – Lo scorso 14 settembre 2015 le onde gravitazionali, previste per via teorica da Albert Einstein nel 1916, sono state rilevate per la prima volta in modo diretto. Si tratta della conferma diretta di una delle previsioni più “rischiose” della teoria della relatività generale: ci sono voluti 100 anni, il progresso tecnologico e la perseveranza di generazioni di scienziati per arrivare a questa scoperta, che oggi mette d’accordo la comunità scientifica internazionale sulla validità della teoria di Einstein e del modello cosmologico che vi è stato costruito sopra. L’umanità, in poche parole, potrebbe essere molto vicina alla comprensione definitiva delle leggi fisiche che governano l’universo. Leggi tutto […]